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120 battiti al minuto, la recensione

di Renato Aiello

All’ultimo Sky Arte Festival a Napoli Oliviero Toscani, ospite della kermesse, fece notare che oggi non si parla più di Aids. Una delle foto proiettate nel corso dell’incontro dedicato al fotografo italiano della Benetton era il gigantesco preservativo che ricoprì un giorno l’obelisco di Place de la Concorde a Parigi. Una manifestazione provocatoria che viene ricordata anche nel film 120 Battiti al Minuto di Robin Campillo, regista a lungo collaboratore di Laurent Cantet e montatore per lui, tra l’altro, della Classe (e il suo tocco si nota anche qui nelle riprese a mano montate con tensione emotiva).

Candidata dalla Francia per la cinquina del miglior film straniero agli Oscar, la pellicola è passata di recente in sala e, come spesso capita ai film d’autore, ci è rimasta poco, salvo cineforum salvifici come quello curato al Duel Village di Caserta dall’associazione Caserta Film Lab, che l’ha inserito e proiettato la settimana scorsa al multiplex di via Borsellino.

Un peccato visto che sono già poche le opere che concentrano l’attenzione sul virus dell’HIV sul grande schermo. Addirittura in questi anni è stata più la televisione a offrire queste storie – e solo sulla pay tv -, come i passaggi sul satellite di interessanti mini serie tv e film come The Normal Heart e When We Rise, mentre l’ultimo film al cinema risale a 3 anni fa, Dallas Buyers Club.

Sarà per le tematiche difficili o per l’ostilità spesso manifesta dalle parrocchie, proprietarie delle sale d’essai in Italia, ma questi film faticano a trovare spazio, e se si combinano temi come omosessualità e sieropositivi la presenza nelle sale è ancora più problematica. Eclatante fu il caso di Weekend, storia di un amore gay combattuto, distribuito solo l’anno scorso dall’indipendente Teodora Film, la stessa che si è occupata di 120 Battiti.

Il film di Campillo, che chiuderà il MedFilm Festival di Roma, dura poco più di due ore e per lo spettatore la visione è sicuramente impegnativa: tempi lenti, lunghi dibattiti e dialoghi, scene esplicite che non si vedevano dai tempi della Vita di Adele di Kechiche – motivo per cui questo film non sarà mai trasmesso in chiaro sulla tv di Stato, a patto di tagli in stile Brokeback Mountain -, ma le lotte di Act Up avvincono, tra azioni di disturbo sui palchi di convegni medici e raid con sangue finto negli uffici di Big Pharma.

L’associazione, nata sul modello degli omologhi americani, e di cui ha fatto parte lo stesso Campillo a suo tempo – che nel film dissemina qua e là aneddoti e fatti veramente accaduti come la vestizione del compagno morto -, viene raccontata nelle sue discussioni di gruppo a suon di schiocchi di dita per le approvazioni, e negli amori omosessuali, nonché nel sostegno materno. Esemplare la scena della professoressa del liceo che contraddice il preside sull’utilità o meno dei profilattici a scuola per i minori, portati dalle streghe eretiche di Act Up.

In questo film madri e figli combattono insieme contro le case farmaceutiche, si sporcano le mani e sporcano le vasche da bagno col sangue finto per le dimostrazioni. I giovani si incontrano e si scontrano, litigano per i volantini del Gay Pride e per la mission generale, corrono per i boulevard e si baciano in metrò, si amano e ballano al ralenti in discoteca mentre in dissolvenza, sul pulviscolo, appare il virus, lugubre come una Death Star delle guerre stellari dichiarate all’Impero della disinformazione e della negligenza. Il tramonto scende sui loro sogni perduti e sulla Senna rosso fuoco, macchiata di sangue innocente, pur sempre finto ma disturbante.

La Francia era il paese più colpito d’Europa negli anni ‘90 eppure si ritardava su scoperte scientifiche, distribuzioni di farmaci e cure ai cittadini. E il ministero della Sanità faceva poco e niente per la sensibilizzazione sul tema e sulla distribuzione di condom e siringhe sterili. Un po’ come la Iervolino in Italia quando era in carica all’Istruzione, che si oppose alla divulgazione nelle scuole del fumetto di Lupo Alberto, una pubblicità progresso a favore dei contraccettivi in lattice. E da allora è cambiato ancora poco da noi, perché siamo sempre in ritardo come paese rispetto al resto d’Europa.

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