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AIDS: non abbassare la guardia, in attesa della Giornata Mondiale dell’1 dicembre

di Carlo Alfaro

Epidemiologia. Dall’insorgenza dell’epidemia, nel 1982, l’AIDS ha registrato nel mondo, al 2017, 78 milioni di casi, con 35 milioni di morti. In Italia, si stimano, dall’inizio dell’epidemia fino al 2014, circa 69.000 casi e quasi 50.000 morti.

L’AIDS resta a tutt’oggi un grave problema di salute pubblica mondiale. Nel mondo vivono attualmente, secondo dati aggiornati alla fine del 2016, 36,7 milioni di persone con infezione da HIV (PLWHA: People Living With HIV/AIDS). Di queste, 34,9 milioni sono in età adulta (17,8 milioni donne) e 1,8 milioni sono bambini.

Il 63% delle persone infette vivono in Africa (25,6 milioni). Nella regione africana si verificano anche quasi i due terzi del totale di nuove infezioni nel mondo. Nelle regioni dell’Africa orientale e del sud, 3 nuove infezioni su 4 nella classe d’età 10-19 anni si registrano tra le ragazze.

Riguardo l’Italia, secondo l’ultimo bollettino del Centro Operativo Aids dell’Istituto Superiore di Sanità (Coa- Iss), i cui dati si riferiscono al 2016, attualmente si stimano almeno 120mila sieropositivi. Con un’incidenza del 5,7 per 100.000 abitanti, l’Italia si posiziona al 13esimo posto tra i Paesi dell’Europa occidentale, a parità con la Grecia. Le Regioni italiane con tasso di incidenza più alta sono Lazio, Marche, Toscana e Lombardia, l’incidenza più bassa si ha in Calabria. Il 70% dei nuovi casi si è verificata in uomini, ma è in aumento l’incidenza tra le donne, che rappresentano oggi circa un terzo dei casi, mentre dieci anni fa erano un quarto.

E aumentano anche le diagnosi di HIV tra gli stranieri che vivono in Italia: sono il 35,8%, pari a un terzo del totale, e contraggono per lo più l’infezione nel nostro Paese. Si stima che attualmente nel mondo solo il 70-75% delle persone con HIV conoscano il loro stato. Alla 16esima European AIDS Conference, a ottobre 2017, l’European Center for Disease Prevention and Control ha riferito che ben 122.000 persone in Europa (il 15% del totale dei sieropositivi) hanno l’HIV senza saperlo.

Anche in Italia almeno una persona con HIV su quattro non è consapevole di essere infetta. Dei 36,7 milioni di persone che vivono con l’HIV in tutto il mondo, nel 2016, 19,5 milioni sono in trattamento permanente con i farmaci antiretrovirali. Di tutti i casi diagnosticati, circa uno su quattro non sta ricevendo trattamento. Aggiungendovi una persona su nove che, pur in trattamento, non ha raggiunto la soppressione virale, e i casi non diagnosticati, il rischio di trasmissione continua ad essere alto.

In Italia oggi sono in terapia più di 100mila pazienti. La riduzione dei nuovi casi di AIDS è stato del 40% dal picco dell’epidemia del 1997 a oggi, e le morti si sono ridotte di un terzo, grazie alle terapie anti-retrovirali. Tuttavia, l’epidemia appare oggi in una fase di stabilizzazione, non più di inversione di rotta. La UNAIDS (agenzia delle Nazioni Unite dedicata a HIV/AIDS), in occasione della 22esima Conferenza internazionale sull’Aids di Amsterdam di luglio 2018, ha reso noto che nel 2017 sono state 1,8 milioni le nuove infezioni nel mondo. Da almeno 5 anni il numero delle nuove infezioni si è stabilizzato nella maggior parte dei Paesi.

I dati forniti dall’ECDC (Centro Europeo per il controllo delle Malattie), riportano che dal 2005 al 2015 la diffusione dell’HIV nei Paesi dell’Unione Europea e dello Spazio Economico Europeo (EU/EEA, in tutto 31 Paesi) è rimasta sostanzialmente immutata, con 29.747 nuove diagnosi di infezione da HIV nel 2015. Secondo l’OMS, addirittura si sta registrando dal 2010 al 2015 un trend in risalita in diverse regioni del mondo: Europa dell’Est e Asia centrale, regione caraibica, Nord Africa, America Latina. In Italia da almeno 5 anni l’incidenza di nuove infezioni non tende a diminuire, restando costante (dati Coa- Iss dicembre 2015), intorno mediamente a circa 4 mila l’anno.

Il recente rapporto dell’Unicef Women: at the heart of the Hiv response for children lancia l’allarme sul rischio AIDS in particolare per gli adolescenti e soprattutto le adolescenti del mondo: secondo i dati aggiornati alla fine del 2017, circa 1,2 milioni di adolescenti tra i 15 e i 19 anni convivono l’HIV, di cui 3 su 5 ragazze; ogni ora circa 30 adolescenti fra 15 e 19 anni sono stati contagiati dall’HIV, uno ogni due minuti, di cui due terzi sono ragazze. Dal 2010 le morti sono diminuite per tutte le fasce di età tranne che per gli adolescenti fra 15 e 19 anni. Nella fascia tra 10 e 19 anni, nel 2017 sono morti circa 130mila individui, mentre 430.000 (50 ogni ora) hanno contratto il virus dell’HIV. Il rapporto conclude che gli adolescenti continuano a sopportare il peso di questa epidemia, causa rapporti sessuali precoci, rapporti sessuali forzati, povertà, disinformazione e mancanza di accesso a servizi di consulenza e test riservati: l’AIDS prospera tra i più vulnerabili e ai margini, e le ragazze adolescenti del mondo sono al centro di questa crisi.

I motivi del riemergere della patologia sono molteplici:

  • aumento in tutto il mondo delle infezioni sessualmente trasmissibili, che conferiscono a chi le contrae maggiore suscettibilità a contrarre l’HIV;
  • diffusione della rete e delle app che favoriscono gli incontri a rischio;
  • sempre più esteso ricorso a sostanze, vecchie e nuove droghe e alcol, che abbassano la percezione e il controllo dei comportamenti a rischio;
  • abbassamento generale della guardia sull’HIV.

Il successo della terapia anti-HIV ha generato l’errata percezione di un problema risolto, con un calo di interesse, sia nella popolazione generale sia da parte delle istituzioni, e progressiva limitazione dei finanziamenti pubblici che ha rallentato la ricerca e ridotto gli investimenti per le campagne di informazione. L’ANAIDS ammonisce che abbassare la guardia sul fronte della prevenzione e degli stanziamenti internazionali per garantire l’accesso alle cure è estremamente pericoloso, col rischio concreto di riaccensione della pandemia globale, attraverso la diffusione di epidemie locali.

Secondo l’OMS, 1 su 3 persone nel mondo ricevono la diagnosi in fase di malattia avanzata, con basso numero di CD4 e alto rischio di malattie gravi e morte. Secondo l’European Center for Disease Prevention and Control, in Europa passano mediamente 3,8 anni prima che un nuovo contagio da HIV sia diagnosticato. In Italia, più della metà dei casi (6 su 10) viene diagnosticata già in fase avanzata di malattia, e il 40% delle persone alla diagnosi risulta essere inconsapevole di essersi esposta all’HIV, soprattutto in caso di trasmissione per uso iniettivo di sostanze, rapporto eterosessuale, residenti nel Nord Italia, genere femminile, età avanzata.

La terapia oggi consente una stabile cronicizzazione dell’infezione, con normale qualità di vita. Le nuove terapie hanno fortemente ridotto gli effetti collaterali, il numero di compresse (oggi una o due al giorno), e aumentato l’efficacia. Tuttavia se viene sospesa la terapia in un soggetto infetto, indipendentemente da quanti anni sia in trattamento con viremia soppressa, dopo alcune settimane il virus torna a replicarsi e l’immunità ricomincia a scendere, per cui le terapie devono essere somministrate tutta la vita. Il problema è il virus di deposito, che è latente nei linfociti dell’ospite, e non è raggiungibile dagli antiretrovirali che colpiscono il virus quando si replica. Finora in un solo paziente al mondo, il famoso Timothy Ray Brown, la malattia è guarita definitivamente. Le speranze di eradicazione puntano su approcci combinati tra farmaci che bloccano la replicazione virale (come quelli già disponibili oggi) e farmaci capaci di “stanare” il virus dalla latenza nelle cellule in cui viene conservato, per farlo eliminare dagli anti-retrovirali.

Nei Paesi europei, secondo i dati dell’European Centre for Diseases Prevention and Control, sono in aumento le nuove diagnosi tra adulti sopra i 50 anni: in 12 anni, più di 54mila nuove diagnosi di HIV hanno interessato persone con più di 50 anni, con un tasso medio di 2,6 diagnosi ogni 100mila persone, 1,05 ogni 100mila persone tra le donne e 4,3 ogni 100mila tra gli uomini. All’interno di questo gruppo, le diagnosi sono aumentate del 2,2% tra gli uomini eterosessuali, 1,3% tra le donne, 5,8% tra gli omosessuali. L’infezione in questa fascia di età è contratta prevalentemente attraverso contatto sessuale. Ciò va attribuito al fatto che, assieme all’allungamento della vita media, anche la vita sessualmente attiva si è oggi prolungata, grazie al miglioramento della salute, i cambiamenti di stile di vita e la disponibilità di farmaci contro l’impotenza. Questa fascia di età risulta anche ad altro rischio di avere una diagnosi in ritardo.

Secondo gli ultimi dati forniti dall’Istituto superiore di sanità, riferiti al 2016, anche in Italia si è osservato un aumento dell’età media alla diagnosi: 38 anni per i maschi e 34 anni per le femmine, anche se la fascia tra i 25 e i 29 anni riporta il picco di incidenza (14,8 nuovi casi per 100.000 residenti); Le diagnosi in soggetti con più di 50 anni di età rappresentano circa il 20% delle nuove diagnosi in entrambi i sessi, mentre fino a 5 anni fa rappresentavano soltanto il 14%.

Modalità di contagio e fattori di rischio. Le modalità di contagio variano a seconda dell’area geografica. In Europa dell’Est e Asia centrale, il 51% delle nuove infezioni si registra tra le persone che fanno uso di droghe iniettive, nella comunità omosessuale, tra le prostitute e i loro partner. In Europa centrale e occidentale, come in Nord America, la diffusione è prevalentemente per via sessuale, al 50% tra la popolazione etero- e omo-sessuale. In Italia, i dati dell’Istituto Superiore di Sanità evidenziano che mentre nel primo decennio dell’epidemia oltre il 70% dei casi veniva acquisito attraverso la tossicodipendenza per via endovenosa, oggi questa via interessa meno del 10% dei nuovi infetti; la trasmissione avviene invece attraverso i rapporti sessuali non protetti nell’84% dei casi, eterosessuali nel 43,2% e omosessuali nel 40,9%.  L’UNAIDS invita pertanto ad adottare un approccio di prevenzione “locale” e mirato alle diverse popolazioni a rischio.

Determinante per combattere la diffusione dell’infezione da HIV è portare la prevenzione nelle aree geografiche a maggior rischio e nelle popolazioni chiave, cioè i gruppi a maggior rischio di contrarre l’HIV rispetto alla popolazione generale, indipendentemente dal contesto locale. Le aree geografiche cui è attribuito a livello mondiale il 47% delle nuove infezioni sono: Europa orientale, in cui il diffondersi esplosivo dell’uso di droghe in vena sta facendo da volano a una nuova epidemia da HIV/AIDS che ricorda, in peggio, quanto accaduto in Italia negli anni ‘80 del secolo scorso, e varie aree del continente africano dove i finanziamenti per le cure e gli interventi di prevenzione sono in flessione marcata.

Secondo il rapporto dell’ONU del 2017 «Un lungo cammino resta da percorrere»: solo il 26% dei bambini e il 41% degli adulti hanno avuto accesso alle cure nell’Africa Occidentale e Centrale, e il 59% dei bambini e il 66% degli adulti nell’Africa Orientale e Meridionale.

Le “popolazioni chiave” in cui si registrano il 35% delle nuove infezioni, includono: omosessuali maschi, sex-workers, persone transessuali da maschio a femmina, tossico-dipendenti endovena, detenuti, persone che fanno uso di droghe illecite o hanno dipendenza da alcool. I comportamenti e le condizioni che mettono gli individui a maggior rischio di contrarre l’HIV comprendono: sesso non protetto (nella graduatoria del rischio di trasmissione, in relazione alla modalità del rapporto, nell’ordine: rapporti anali recettivi, vaginali recettivi, anali insertivi, vaginali insertivi e infine i rapporti orali recettivi). Altra infezione a trasmissione sessuale; condivisione di aghi e siringhe; iniezioni non sicure, trasfusioni di sangue, trapianti di tessuti, procedure che comportano taglio o piercing non sterili, lesioni accidentali da punture d’ago, anche tra gli operatori sanitari.

Strategia dell’OMS per eradicare l’infezione. Nel 2014 le Nazioni Unite si sono impegnate a porre fine all’epidemia di AIDS entro il 2030. Secondo UNAIDS, nel 2017 sono morte un milione di persone in meno per AIDS rispetto a 13 anni fa. Inoltre, il numero di persone che ha contratto il virus dell’HIV è calato di circa 100 mila unità tra il 2016 e il 2017, ma l’obiettivo è ancora lontano se non si riesce a interrompere la trasmissione. L’ONU giudica possibile e praticabile la sconfitta dell’Aids entro il 2030 purché si centri entro il 2020 il target espresso dalla formula90-90-90”: rendere consapevoli del proprio stato sierologico il 90% delle persone con HIV, assicurare al 90% di costoro loro un accesso adeguato alle terapie e far sì che il 90% delle persone con HIV raggiunga un livello non rilevabile di carica virale, condizione che le rende non infettive. Secondo l’ultimo rapporto UNAIDS, attualmente nel mondo solo poco più della metà (57%) delle persone con infezione da HIV è consapevole del proprio stato, solo il 46% ha accesso alla terapia antiretrovirale e solo il 38% è in uno stato di soppressione virale che consente loro di vivere in salute e di non correre il rischio di trasmettere ad altri l’infezione. Cifre ancora molto lontane dai target dell’OMS 90-90-90.

La strategia globale dell’OMS, co-sponsor del Programma congiunto delle Nazioni Unite contro l’HIV per il periodo 2016-2021, include 5 target strategici che devono guidare le azioni prioritarie dei Paesi membri: 1) informazioni per l’azione mirata (conoscere l’epidemia); 2) interventi per l’impatto (approntare tutta la gamma di servizi necessari); 3) agire secondo equità (coprire tutta la popolazione); finanziamento per la sostenibilità (copertura dei costi dei servizi); innovazione per una accelerazione (guardando al futuro).

L’OMS elenca, quali approcci chiave per la prevenzione dell’HIV:

  • Uso del preservativo maschile e femminile. Anche le raccomandazioni del gruppo USA International Antiviral Society stressano l’importanza di un approccio di prevenzione basato su educazione all’uso del preservativo, test HIV esteso ed eseguito ad intervalli regolari di almeno 3 mesi, profilassi pre-esposizione, soppressione virale per le persone infette.
  • Diffusione del test per HIV e altre infezioni sessualmente trasmissibili, da effettuare secondo 5 principi: consenso informato, riservatezza, counseling, risultati corretti, connessione (collegamento a cura, trattamento e altri servizi), cui va aggiunta la raccomandazione della notifica del/dei partner sessuali, che hanno una maggiore probabilità della media di essere sieropositivi. Il self-test, da dicembre scorso disponibile anche in Italia senza obbligo di ricetta, potrebbe incoraggiare la diagnosi e ridurre la percentuale, attualmente 11-15%, delle persone che non conoscono la propria sieropositività.
  • Collegamento alla cura della tubercolosi, prima causa di morte tra le persone con HIV (1 su 3 decessi associati all’HIV): lo screening della TB dovrebbe essere parte integrante del management dell’HIV.
  • Circoncisione maschile medica, che riduce il rischio di infezione da HIV eterosessuale di circa il 60% ed è sostenuta dall’OMS dal 2007 in 15 Paesi dell’Africa orientale e meridionale con alta prevalenza di HIV.
  • Terapia antiretrovirale (ART), capace di bloccare la replicazione virale, prevenire le complicanze ed evitare la forma conclamata della patologia, garantendo così una prospettiva di vita a lungo termine del paziente, e riducendo notevolmente la possibilità di trasmettere l’infezione. Per essere efficace ed evitare/ridurre il rischio d’insorgenza di resistenze, la ART deve essere condotta scrupolosamente nel rispetto delle indicazioni, esigendo per questo una totale aderenza del paziente, ed iniziata il più precocemente possibile: la International Antiviral Society statunitense raccomanda nelle sue nuove linee guida, pubblicate su JAMA, di iniziare la ART il prima possibile dopo la diagnosi dell’HIV, se possibile anche lo stesso giorno. A metà del 2017, nel mondo 20,9 milioni di persone affette da HIV stavano ricevendo l’ART. Il 54% degli adulti e il 43% dei bambini che vivono con l’HIV sono attualmente sottoposti ad ART permanente. La copertura globale della ART per le donne in gravidanza e in allattamento che vivono con l’HIV arriva al 76%. Tuttavia, sono necessari ulteriori sforzi per aumentare le cure, in particolare per bambini e adolescenti. Nel 2016, l’OMS ha pubblicato la seconda edizione delle linee guida sull’uso dei farmaci antiretrovirali per il trattamento e la prevenzione dell’infezione da HIV, che raccomandano di fornire ART per tutta la vita a tutte le persone che vivono con l’HIV, compresi bambini, adolescenti e adulti, donne in gravidanza e che allattano, indipendentemente dallo stato clinico o dalla conta delle cellule CD4. Entro la metà del 2017, ben 122 Paesi hanno già adottato questa raccomandazione. Se una persona sieropositiva aderisce a un regime ART efficace, il rischio di trasmettere il virus al suo partner sessuale non infetto può essere ridotto del 96%. Secondo i dati dell’OMS del 2017 sulla resistenza ai farmaci antiretrovirali, in 6 degli 11 Paesi censiti in Africa, Asia e America Latina oltre il 10% delle persone che hanno iniziato la terapia aveva un ceppo di HIV resistente ad alcuni dei farmaci più diffusi. Il modello matematico stima ulteriori 135.000 morti e 105.000 nuove infezioni nei prossimi cinque anni se non si intraprende alcuna azione contro la resistenza ai farmaci per l’HIV, in quanto i pazienti con resistenza ai farmaci potranno trasmettere virus resistenti ai farmaci ad altri individui, mettendo a rischio il controllo finora conseguito dell’infezione. Attenzione particolare va prestata alle popolazioni a rischio di maggiore resistenza, quali i bambini, gli adolescenti, le donne in gravidanza e le categorie a rischio. Nei Paesi in via di sviluppo, l’accesso alle terapie è problematico, 10 milioni di persone sono ancora in lista d’attesa della terapia antiretrovirale, e c’è inoltre bassa aderenza alla terapia, intorno al 60%. Per ogni 2 pazienti trattati, si registrano 5 nuovi casi di infezione: l’impegno, per i Paesi più ricchi, deve essere rendere accessibili a tutti le terapie.
  • Profilassi pre-esposizione (PrEP) per il partner HIV-negativo. La PrEP consiste nella somministrazione di Emtricitabina/Tenofovir a un soggetto HIV-negativo per ridurre il rischio di contrarre l’infezione a seguito di rapporti sessuali a rischio che potrebbero averlo esposto al virus HIV (rapporto in coppia siero-discordante). Il trattamento non è rimborsabile nella maggior parte dei Paesi, eccetto Francia, Norvegia, Scozia, Canada e Australia. Prima di iniziare il trattamento è necessario accertarsi della negatività al virus HIV per il rischio di creare resistenza.Il paziente va informato che l’utilizzo di Emtricitabina/Tenofovir potrebbe non essere sufficiente a prevenire il contagio da HIV, per cui deve continuare a seguire pratiche sessuali sicure. La dose raccomandata di Emtricitabina/Tenofovir è una compressa al giorno, da assumere con il cibo. E’ importante non saltare le dosi. Tossicità renale, elevazione della creatinina, ipofosfatemia e tubulopatia prossimale (sindrome di Fanconi) sono state segnalate con l’uso di tenofovir disoproxil fumarato, un componente di Emtricitabina/Tenofovir. Valutare pertanto la clearance della creatinina (CrCl) in tutti gli individui prima di prescrivere Emtricitabina/Tenofovir, ed escludere l’utilizzo se clearance della creatinina <60 ml/min; prevedere in ogni caso monitoraggio della funzione renale dopo 2‐4 settimane di utilizzo, dopo 3 mesi e, in seguito, ogni 3‐6 mesi. Va evitato l’uso concomitante di Emtricitabina/Tenofovir con farmaci nefrotossici. Dopo l’inizio della somministrazione di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) multipli o a dosi elevate, sono stati segnalati casi di insufficienza renale acuta in pazienti infetti da HIV‐1 trattati con tenofovir disoproxil. Un’altra precauzione riguarda i pazienti infetti da HBV, che dopo aver interrotto la terapia con Emtricitabina/Tenofovir devono seguire un follow‐up per diversi mesi per il rischio di epatopatia grave. Nelle donne che stanno pianificando una gravidanza o che sono incinte o in allattamento, deve essere valutato il rapporto rischio/beneficio, anche se l’OMS ha esteso la raccomandazione di utilizzo anche a loro; vanno rilevati eventuali effetti teratogeni da segnalare su un registro dati internazionale. La Prep, se usata correttamente, è in grado di diminuire il rischio di contagio dell’86%. In Nord America, Europa occidentale e Australia, la diffusione del metodo ha visto i tassi di trasmissione di HIV calare drasticamente tra i gay. Per effetto della terapia, per esempio, a San Francisco le nuove infezioni sono calate del 43% in tre anni, in Australia del 35% in due anni. Il principale motivo di fallimento della PrEP è, infatti, proprio la capacità della persona di aderire completamente al programma richiesto.
  • Profilassi post-esposizione per HIV (PEP): consiste nell’uso di farmaci ARV entro 72 ore dall’esposizione accertata all’HIV e per 28 giorni di seguito. L’OMS raccomanda l’uso di PEP per esposizioni professionali e non professionali e per adulti e bambini.
  • Riduzione del danno per le persone che iniettano e usano droghe. La ripresa dell’incremento, in tutte le fasce di età, dell’eroina e altri oppioidi endovena rappresenta un campanello d’allarme sper il ritorno di infezioni da HIV da siringa. Nel 2015 il 25% delle nuove diagnosi in quattro Paesi della UE/SEE è stato imputabile alle droghe iniettabili. Le persone che fanno uso di droghe possono prendere precauzioni contro l’infezione da HIV utilizzando strumenti di iniezione sterili, inclusi aghi e siringhe, per ogni iniezione e non condividendo il farmaco. Il trattamento della dipendenza, in particolare la terapia sostitutiva con oppioidi, aiuta anche a ridurre il rischio di trasmissione dell’HIV.
  • Eliminazione della trasmissione dell’HIV da madre a figlio. La trasmissione verticale o da madre a figlio dell’HIV può avvenire durante la gravidanza, il travaglio, il parto o l’allattamento al seno. In assenza di qualsiasi intervento durante queste fasi, i tassi di trasmissione dell’HIV da madre a figlio possono essere compresi tra il 15 e il 45%. L’AIDS da trasmissione verticale può essere quasi completamente prevenuto se sia la madre che il bambino ricevono i farmaci ARV il prima possibile in gravidanza e durante il periodo dell’allattamento al seno. Nel 2016, il 76% delle circa 1,4 milioni di donne incinte che vivono con l’HIV hanno ricevuto trattamenti ARV per prevenire la trasmissione ai loro bambini. Un numero crescente di Paesi sta raggiungendo tassi molto bassi di trasmissione verticale e alcuni (Armenia, Bielorussia, Cuba e Tailandia) sono stati formalmente riconosciuti per aver eliminato la condizione come problema di salute pubblica.

Strategie in Europa e in Italia. Gli esperti presenti alla 16esima edizione della European Aids Conference hanno deciso di dedicare l’ultima giornata del Congresso alle sfide epidemiologiche del futuro. L’appuntamento con l’edizione numero 17 è per il 2019, a Basilea. La prevenzione e l’incidenza dell’Hiv nella regione europea variano ampiamente: questa disomogeneità rappresenta la vera sfida per la futura risposta globale europea all’Hiv. Per ridurre il numero delle nuove infezioni l’Europa deve concentrare tutti i suoi sforzi in tre aree principali: dare priorità ai programmi di prevenzione, facilitare la diffusione del test dell’Hiv e, naturalmente, agevolare l’accesso al trattamento per chi è stato diagnosticato.  Le Direttive strategiche dell’Action plan for the health sector response to HIV in the WHO European Region perseguono obiettivi e target che sono supportate dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, dalla Strategia Multisettoriale per il 2016-2021 del programma congiunto delle Nazioni Unite sull’HIV/AIDS, dalla Strategia Globale del settore sanitario per l’HIV per il periodo 2016-2021 e da Health 2020, Politiche europee per la salute e il benessere.  La “Global health sector strategy on HIV, 2016-2021” pone la risposta all’HIV come fondamentale per il raggiungimento della copertura sanitaria universale, uno degli obiettivi chiave di salute degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, adottati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2015. La strategia promuove un approccio centrato sulle persone, basato sui principi dei diritti umani e dell’equità in sanità, puntando a consentire alle persone di conoscere il loro status di sieropositività, a fornire una terapia antiretrovirale e una continuità di cura a tutte le persone che vivono con HIV e a sconfiggere lo stigma e la discriminazione legate a tale infezione. In Italia, la Società italiana di malattie infettive e tropicali (SIMIT), in collaborazione con le Sezioni per la lotta contro l’Aids del Comitato tecnico-sanitario del Ministero della Salute, ha redatto le nuove Linee Guida italiane per la prescrizione della terapia antiretrovirale e per la gestione dei pazienti con infezione da HIV, che il Ministero della Salute ha diffuso sul suo sito istituzionale. Il “Piano Nazionale di interventi contro l’HIV e AIDS (PNAIDS)”, approvato nell’ottobre 2017 dalla conferenza Stato/Regioni, è fondato sull’analisi della situazione attuale dell’epidemia nel nostro Paese e sulla valutazione basata sull’evidenza dei risultati conseguiti. Il Piano si propone di delineare il miglior percorso possibile per conseguire gli obiettivi indicati come prioritari dalle agenzie internazionali (ECDC, UNAIDS, OMS), rendendoli raggiungibili nella nostra Nazione. In particolare, è stata focalizzata l’attenzione alla lotta contro la stigmatizzazione e alla prevenzione altamente efficace, come suggerito dalle agenzie internazionali, basata sulle evidenze scientifiche e ancorata a principi e azioni che oltre a comprendere le campagne di informazione, l’impiego degli strumenti di prevenzione e gli interventi finalizzati alla modifica dei comportamenti, si estendano all’uso delle terapie ARV come arma per la riduzione delle nuove infezioni. Il piano è caratterizzato da iniziative volte a raggiungere le popolazioni chiave a rischio, con il fondamentale supporto delle associazioni di volontariato e LGBT. Il piano prevede anche il ripristino, ove siano state abolite, delle commissioni regionali AIDS. Parole chiave del piano sono epidemiologia, strategie di prevenzione, presa in carico, cura, assistenza, ma soprattutto comunicazione alla popolazione, in particolare i più giovani. Il Piano sottolinea la necessità di delineare e realizzare progetti finalizzati alla definizione di modelli di intervento che riducano il numero delle nuove infezioni, facilitino l’accesso al test e l’emersione del sommerso, garantiscano a tutti l’accesso alle cure, favoriscano il mantenimento in cura dei pazienti diagnosticati e in trattamento, migliorino lo stato di salute e benessere delle persone con HIV e tutelino i loro diritti sociali e lavorativi, lottando contro lo stigma e promuovendo l’empowerment e il coinvolgimento attivo delle popolazione chiave e coordinando i piani di intervento sul territorio nazionale. L’intesa prevede anche che il Ministero della salute, in collaborazione con le Regioni, promuova iniziative di formazione e aggiornamento degli operatori coinvolti nella cura e nell’assistenza nei luoghi di cura e sul territorio delle persone con infezione da virus HIV e con sindrome da AIDS e definisca strategie di informazione in favore della popolazione generale e delle persone con comportamenti a rischio (popolazioni chiave). La scarsa conoscenza è uno degli obiettivi primari in tema di prevenzione. La diagnosi precoce rappresenta un dovere verso sé stessi e verso gli altri, in quanto il sommerso delle diagnosi tardive porta a un aumento del rischio individuale e collettivo, e passa necessariamente attraverso la conoscenza e percezione del rischio. I dati circa l’impreparazione dei più giovani rispetto alla prevenzione di HIV e IST sono allarmanti. Per esempio, lo scorso 30 novembre, in occasione del World Aids Day e delle iniziative per il trentennale dell’associazione, Lila Onlus ha presentato a Roma “Lila Report 2017”, un rapporto basato sull’analisi dei circa 12mila contatti censiti, in modo assolutamente anonimo, dai servizi di helpline, dai servizi di testing per l’HIV e nel corso delle attività di prevenzione nelle scuole. Il quadro che ne emerge è quello di una percezione del rischio confusa e di una conoscenza delle vie di trasmissione lacunosa in tutte le fasce d’età, segno di come le campagne di informazione e prevenzione pubbliche continuino a segnare il passo. Altissima, non a caso, è la domanda di informazioni di base giunte alle Helpline Lila: in particolare su modalità di trasmissione (60%) e test l’HIV (46%, più del doppio rispetto allo scorso anno). Per quanto riguarda i giovanissimi, esemplificativi sono i dati emersi dal progetto scuole EducAids di Lila Cagliari: Dai questionari somministrati in modo anonimo a 3.389 studenti di istituti superiori della provincia, di età compresa tra i sedici e i diciotto anni, si rileva come ben il 74,4% dei ragazzi sessualmente già attivi non usi il profilattico o non lo usi con costanza; Permane inoltre una preoccupante confusione tra contraccezione e prevenzione dell’Hiv o di altre IST. l’Italia è tra i pochi paesi Europei a non aver inserito nei programmi scolastici percorsi di educazione alla sessualità e all’affettività. Un’indagine di Anlaids resa nota a giugno 2017 e basata su 12.685 questionari anonimi somministrati negli ultimi cinque anni in 67 istituti scolastici pubblici di Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna, nell’ambito del Progetto Scuola dell’associazione, ha evidenziato come il diradarsi dell’informazione sulla prevenzione ha generato sacche di limitata conoscenza sulle modalità di trasmissione del virus e di protezione individuale del problema, specie nelle fasce più svantaggiate degli studenti, come quelli con uno o entrambi i genitori stranieri. Proprio per aumentare l’informazione dei più giovani, l’ultima campagna del Ministero “Con l’Hiv non si scherza, proteggi te stesso e gli altri” ha previsto degli spot televisivi con gli attori Dario Vergassola e Giulia Michelini, trasmessi dall’1 dicembre sulle reti Rai e, per il target dei giovanissimi, a titolo sperimentale anche una campagna su Youtube, per la quale sono stati arruolati alcuni tra i maggiori youtuber italiani, come Willwosh e i Theshow, ragazzi che hanno in media più di un milione di iscritti sui rispettivi canali.

Lotta allo stigma. Lo stigma che ancora ingiustamente colpisce a livello mondiale le persone con HIV/AIDS resta uno dei principali ostacoli alla lotta all’AIDS. Il tema della criminalizzazione gioca un ruolo importante nel minare gli sforzi di prevenzione e diffusione del test HIV. Il Brief dell’ECDC del maggio 2017 evidenza che la paura di essere isolati, stigmatizzati, giudicati limita l’accesso a diagnosi e cure. Qualche mese fa la Lila è stata allertata perché un bando pubblico di un’Asl per l’assunzione di un farmacista ospedaliero escludeva dalla selezione, in modo esplicito, chiunque fosse affetto da HIV.  In Italia è prevista l’esclusione da molti impieghi, come dall’esercito, o da altri ruoli della pubblica sicurezza. Voices from the Blogs, start-up dell’Università di Milano specializzata nell’analisi delle conversazioni online, ha presentato in occasione del lancio dell’iniziativa #HIVnoPregiudizio, un suo studio che ha preso in esame oltre 30mila post pubblicati su Twitter fra gennaio 2017 e marzo 2018: circa il 40% dei commenti in cui si parla di HIV e AIDS sono denigratori e dispregiativi. In moltissimi commenti “sieropositivo” diventa un insulto. Dallo studio emerge che a Napoli sul totale dei contenuti generati su Twitter a tema HIV la percentuale che denota uno stigma o pregiudizio è del 23%, più alta di 10 punti rispetto al 13% della media nazionale e leggermente più elevata di Roma e Milano (rispettivamente di 2,8 e 3,2 punti percentuale). Proprio a Napoli sono stati presentati grazie al supporto di Gilead Sciences due progetti che hanno l’obiettivo di contrastare lo stigma: la prima tappa 2018 del progetto teatrale HImoVie ideato da Arcobaleno Aids e la presentazione del video “Non per gentilezza” di NPS Italia Onlus girato proprio tra le vie di Napoli.

 

Il medico pediatra e adolescentologo sorrentino Carlo Alfaro, classe 1963, è Dirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi, Consigliere Nazionale della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA) e Responsabile del Settore Medicina e Chirurgia dell’Associazione Scientificò-culturale SLAM Corsi e Formazione. 

Per passione Carlo Alfaro è giornalista pubblicista, direttore artistico, organizzatore e presentatore di eventi culturali, attore di teatro e cinema, poeta pubblicato in antologie, autore di testi, animatore culturale di diverse associazioni sul territorio.

 

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(Foto di copertina by Rita Vicari – Unsplash)

 

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