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Allegra | Gli anni della latenza

 Alle nostre madri: senza di esse non saremmo state così… E noi, cosa siamo diventate noi? Le prime della classe, come Allegra  e i suoi anni della latenza

Per due anni non ho più rivisto mio padre. Mi mancava molto e mi faceva soffrire il fatto che lui non mi cercasse e anzi che addirittura evitasse di incontrarmi.

Mi chiedevo come fosse possibile essere così duro con la propria creatura, quella stessa che da bambina aveva tenuto sulle ginocchia e aveva fatto volare in alto facendo svolazzare i volant bianchi del suo bel vestitino. Una bambina che aveva accompagnato per mano in riva al mare a raccogliere conchiglie, a cui aveva asciugato le lacrime quando era stata sgridata ingiustamente dalla madre.

E ora? Chi asciugava le mie lacrime? Chi si prendeva cura di me? Chi leniva le mie ferite? Vincenzo non ne era capace, lui era vittima quanto me di quell’assurdo matrimonio. Faceva quel che poteva ma io sapevo in cuor mio che non saremmo mai stati uniti veramente, che ci eravamo condannati ad una sofferenza che sarà poi durata oltre cinquant’anni.

Lui è stato più bravo di me però, è riuscito a ritagliarsi il suo spazio vitale, è riuscito a difendersi anche da me, dalla mia ostinazione, dalla mia inquietudine, dalla mia sofferenza profonda. È riuscito a farsi amare più di quanto non sia riuscita a farlo io, perché si è sempre presentato come era, semplice, buono, accogliente ma rimanendo sempre sulla superficie, mai andando in profondità di sentimenti, di pensieri, di azioni.

Io al contrario avevo sempre bisogno di sviscerare, capire, comprendere anche quando non c’era nulla da comprendere. Come quando incontrai per caso mio padre, dopo due anni, quando camminando per strada con il mio fagottino in braccio mi imbattei in lui. Fu così che aveva deciso di vedere per la prima volta sua nipote.

Che cosa strana! Non ho mai capito questa stramba modalità di conoscere la figlia di sua figlia, come se fosse il frutto del caso, di un incontro fortuito. Quanti danni può fare l’orgoglio, quanto dolore può generare l’incapacità di dire: ho sbagliato, ma anche tu lo hai fatto, l’importante è ritrovarci, l’importante è riprendere da dove avevamo lasciato con una consapevolezza diversa.

Invece sia io che lui ci siamo guardati con profondo imbarazzo, celato dalla freddezza dello sguardo e abbiamo scambiato due parole come se fossimo degli estranei. Così poi è andato avanti per anni il nostro rapporto, asettico, freddo senza pathos.

Io dall’altro canto avevo deciso di mettere da parte tutti i miei sogni, le mie aspirazioni ed entrare in un periodo di latenza, mettendo a tacere tutto.

Furono gli anni in cui ho partorito altri figli e ho provato a fare la moglie e la madre secondo quelli che erano gli schemi stabiliti dalla società e in primis secondo i canoni della mia famiglia.

 

Bianca Sannino, docente appassionata nella scuola statale italiana, vive e insegna a Portici da più di vent’anni.

Dopo aver attraversato perigliosi mari in vari ambiti e settori ed essersi dedicata alla redazione di libri saggistici e specifici del settore dell’insegnamento, esordisce oggi nel genere novellistico.

 Due lauree, corsi di specializzazione, master non sono bastati a spegnere la sua continua, vulcanica e poliedrica ricerca della verità. 

Da sempre, le sue parole che profumano di vita e di umanità, arricchite dalla sua esperienza e sensibilità, restituiscono delicati attimi di leggerezza frammisti a momenti di profonda riflessione.

Nel 2021 inizia la collaborazione con LoSpeakersCorner pubblicando una serie di novelle, tutte al femminile.

 

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