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Bambini, adolescenti e Covid-19

Il nostro medico Carlo Alfaro, Dirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi, rassicura spiegando perché bambini e adolescenti siano meno colpiti dalla Sars-CoV 2 

Covid-19 e bambini, tutto quello che sappiamo: 20 risposte a 20 domande

  1. I bambini si infettano di meno?

Tutti i dati a nostra disposizione concordano sul fatto che bambini e adolescenti manifestano una minore suscettibilità a infettarsi rispetto agli adulti, anche se si obietta che l’incidenza reale potrebbe essere maggiore dato che più spesso sono asintomatici o con sintomi lievi per cui possono sfuggire alla diagnosi.

Nella casistica cinese, meno dell’1% di tutti i casi riguardava bambini di età inferiore ai 10 anni, percentuale che arrivava al 2% includendo i ragazzi fino a 19 anni.

Uno studio basato su un modello matematico elaborato dalla London School of Hygiene and Tropical Medicine in base ai dati dei contagi in 6 Paesi (Cina, Italia, Giappone, Singapore, Canada e Corea del Sud), pubblicato su Nature Medicine, suggerisce che sotto i 20 anni ci sia la metà del rischio di contrarre il Covid-19. Concorda su questo anche una revisione sistematica degli studi a cura dell’Università di Pavia pubblicata su Jama Pediatrics, secondo la quale l’infezione da Sars-CoV 2 colpisce meno frequentemente i bambini e gli adolescenti (0-19 anni) e decorre con un andamento molto meno grave e letale degli adulti.

  1. Contagiano di meno?

Oggetto di dibattito è anche in quale misura i bambini siano fonte di infezione per gli altri. Mentre infatti si potrebbe pensare che, essendo spesso asintomatici e paucisintomatici, i bambini possano amplificare la diffusione del virus, l’analisi degli studi scientifici orienta a concludere che raramente siano loro i “carrier” del Covid: all’incirca nell’8% dei casi i bambini sono coloro che portano l’infezione in famiglia (“caso indice”), mentre lo sono ad esempio nel 50% dei casi nell’influenza aviaria H5N1. In pratica, i bambini tendono molto più a ricevere l’infezione dagli adulti conviventi piuttosto che essere loro a recarla in casa: la maggior parte dei casi pediatrici si sono verificati in gruppi familiari con infezioni moderate o gravi tra i loro familiari. Inoltre, raramente i bambini innescano focolai: quando infetti, sono quasi sempre casi sentinella di contagi intra-familiari. Questo si spiega col fatto che poiché i bambini spesso presentano pochi sintomi hanno bassa carica virale e dunque ridotto rischio di trasmissione.

Una vasta metanalisi pubblicata a fine settembre sulla rivista JAMA Pediatrics su un campione di 41.600 bambini e adolescenti, più 269.000 adulti, conferma che la maggior parte dei casi pediatrici risulta all’interno di cluster familiari e si verifica una bassa trasmissione del Covid-19 tra bambini e/o da bambino ad adulto.

Non tutti gli studi sono però concordi sul fatto che i bambini, oltre ad ammalarsi di meno, si infettino anche di meno e siano, dunque, meno contagiosi. Secondo uno studio statunitense condotto su 192 soggetti di età compresa tra 0 e 22 anni e pubblicato sul Journal of Pediatrics, i bambini possono avere un’alta carica virale, anche in caso di infezione asintomatica, e fin dai primi giorni dal contagio. Secondo un altro studio americano pubblicato su Jama Pediatrics, che ha analizzato i tamponi effettuati a Chicago nel periodo marzo-aprile in 145 individui con Covid-19 di età compresa tra 1 mese e 65 anni, i bambini sotto i 5 anni potrebbero albergare il virus nelle loro mucose nasali in maniera simile agli adulti o fino a 100 volte di più, nonostante siano tra le fasce meno colpite dal Covid-19. Anche lo studio di Drosten in Germania ha trovato lo stesso livello di carica virale in adulti e bambini, anche nel caso di bambini asintomatici.

La positività dei tamponi non significa però automaticamente contagiosità, dato che alcuni positivi hanno solo qualche frammento di materiale genetico virale non in grado di infettare.

Un fattore determinante per l’infettività sarebbe l’età.

Secondo uno ampio studio coreano che ha raccolto i dati sulle infezioni da Covid tra il 20 gennaio e il 27 marzo, il contagio avviene in generale fuori dalla famiglia in 2 casi su 100, e in famiglia in 1 caso su 10, ma i bambini da 0 a 9 anni, oltre al fatto di essere più spesso asintomatici, difficilmente sono i pazienti “zero” all’interno del nucleo familiare (cioè quelli che portano l’infezione in casa), mentre più spesso lo sono gli adolescenti e gli adulti di 60-70 anni.

L’American Academy of Pediatrics nelle sue ultime linee guida sostiene che i bambini sotto i 10 anni avrebbero meno probabilità di contrarre e diffondere l’infezione, mentre quelli di età pari o superiore ai 10 anni potrebbero diffonderla esattamente come gli adulti.

Dunque, gli adolescenti, benché colpiti, come i bambini, meno degli adulti e con sintomatologia spesso lieve o assente, sarebbero in grado di diffondere il Sars-CoV-2 con pari o addirittura maggiore efficacia rispetto agli adulti. Questo potrebbe dipendere, oltre che da caratteristiche biologiche, dal fatto che in questa fascia di età aumentano le attività sociali e ricreative e spesso sussiste una minore attenzione a regole e precauzioni.

  1. Perché si infettano di meno e in modo meno grave?

Non è chiaro perché i bambini siano meno esposti degli adulti al Sars-CoV-2. Si avanzano diverse ipotesi: minor espressione a livello della mucosa nasale dei recettori ACE2, più attiva risposta immunitaria innata (tra cui figura la glicoproteina lattoferrina, con proprietà antivirali, antibatteriche e antinfiammatorie, che grazie al legame all’eparansolfato, impedisce l’entrata del virus nelle cellule), maggior numero relativo di linfociti rispetto agli adulti, minore tendenza all’infiammazione sistemica (minor produzione di IL-6), protezione da parte dei vaccini del normale calendario vaccinale, presenza simultanea di altri virus che replicano nelle mucose del tratto respiratorio con azione competitiva verso il Covid, minor esposizione al fumo, livelli più elevati di anticorpi contro altri Coronavirus umani stagionali responsabili di comuni raffreddori e sindromi simil-influenzali, molto frequenti in età evolutiva. Quest’ultimo aspetto sta destando molto interesse: nel 10% degli individui sani con una storia recente di infezione da Coronavirus endemici sono stati riscontrati anticorpi (IgG) rivolti verso le proteine S (subunità S2, responsabile dell’ingresso del virus nella cellula) e N del Sars-Cov-2, dotati di attività neutralizzante: questo suggerisce che la cross-reattività della risposta a precedenti infezioni da altri Coronavirus potrebbe bloccare l’entrata del Covid nelle cellule umane. La presenza di difese immunitarie preesistenti alla pandemia Covid-19 è stata rintracciata, secondo i dati raccolti e pubblicati su Science, soprattutto nella fascia d’età 6-16 anni (62%). Gli anticorpi contro i Coronavirus endemici sono rivolti solo contro la porzione S2 della glico-proteina spike, mentre l’immunità generata in individui che hanno contratto Covid-19 è diretta sia verso la porzione S2 che S1 della spike. Ciò spiegherebbe perché i bambini e gli adolescenti possono contrarre il virus, ma in modo asintomatico, perché non penetra facilmente nelle cellule.

  1. Quale età è più colpita?

Tutta l’età evolutiva può essere uniformemente colpita, dall’epoca neonatale all’adolescenza. L’età neonatale rappresenta una fascia di età a rischio per evoluzione più grave rispetto al resto dell’età pediatrica (ma sempre meno grave rispetto agli adulti). Gli adolescenti avrebbero ancor minore rischio di ospedalizzazione dei bambini.

  1. Quali sono le vie di trasmissione?

Poiché i bambini sono spesso asintomatici o pauci-sintomatici, si erano ipotizzate per loro anche vie alternative di trasmissione rispetto alle goccioline di saliva (droplets) con tosse e starnuti. Si è supposta una trasmissione attraverso le lacrime, ma uno studio del Bambino Gesù uscito sul Journal of American Association for Pediatric Ophthalmology and Strabismus ha trovato tra i bambini ricoverati solo raramente tracce del virus nelle secrezioni oculari, dove peraltro la sua sopravvivenza è più fugace che in naso e bocca. Nei bambini sarebbe attiva anche la trasmissione oro-fecale, data l’ampia distribuzione dei recettori ACE2 nell’intestino dei bambini, come suggerisce uno studio cinese pubblicato su Frontiers in Pediatrics, che segnala sintomi gastrointestinali all’esordio in 4 bambini su 5.

  1. Quanto dura l’incubazione?

L’incubazione è riportata essere nei bambini mediamente di 5 giorni (range 2-14 giorni).

  1. Per quanto tempo trasmettono il virus?

Una ricerca americana pubblicata su Jama Pediatrics indica che i bambini possono diffondere il Sars-CoV-2 fino a 3 settimane, anche se asintomatici o dopo la scomparsa dei sintomi.

  1. Quali sono sintomi e decorso?

Il Covid-19 negli adulti manifesta uno spettro quanto mai variegato di sintomi, sia come varietà che come gravità, da forme asintomatiche e paucisintomatiche a forme con polmonite bilaterale che possono portare a insufficienza respiratoria e complicazioni a tutti gli organi.

Esiste molto probabilmente una correlazione tra entità dei sintomi e carica virale che si alberga: i pazienti con sintomatologia grave, generalmente, hanno una carica più alta, mentre gli asintomatici hanno una più bassa carica virale e una clearance virale (eliminazione del virus) più rapida.

La sintomatologia comunque non è specifica, clinicamente indistinguibile da quella delle altre infezioni respiratorie o virali e in particolare dalla sindrome influenzale. L’ampiezza dello spettro clinico dell’infezione da Covid-19 è tale che potenzialmente qualunque sintomo ad esordio acuto, in condizioni di epidemia, può far sospettare la malattia.

Queste considerazioni valgono anche in età evolutiva, anche se i bambini e adolescenti hanno più spesso una clinica silente o poco espressa, con rare complicanze ed esito favorevole. La mortalità generale non arriva allo 0.5%.

Nei pazienti sintomatici, la febbre risulta essere la manifestazione clinica più comune, accompagnata a sintomi per lo più a carico dell’apparato respiratorio (mal di gola, tosse secca, congestione nasale, dolore toracico, dispnea). La polmonite è riportata in uno studio cinese nel 64,9% dei bambini diagnosticati.

Rispetto ai pazienti adulti, i casi pediatrici hanno mostrato una percentuale più elevata di sintomi gastrointestinali quali nausea, vomito, dolore addominale e diarrea, talvolta anche in assenza di sintomi respiratori.

Comuni i sintomi generali quali astenia, dolori muscolari, cefalea, difficoltà di alimentazione, ipersonnia.

Comuni in età pediatrica anche le manifestazioni cutanee (rash), ma non c’è nessuna correlazione con i geloni (Erythema Pernio Like), a differenza di quanto si era supposto inizialmente, interpretandoli come espressione di acro-dermatite associata a vasculite da Coronavirus: lo ha stabilito uno studio effettuato dal Policlinico di Bari e pubblicato sulla rivista British Journal of Dermatology.

Sintomi più specifici di Covid-19, come la disgeusia e l’anosmia, sono osservati più spesso negli adolescenti che nei bambini.

La recente letteratura ha segnalato che in età pediatrica l’infezione può manifestarsi anche con quadri di tipo neurologico (cefalea, convulsioni, encefalopatia) e neuropsichiatrico, in tal caso secondario sia all’infezione da Covid che a disturbi funzionali (tic, disturbi del movimento, distonie, psicosi, ansia, fobie, depressione, mutismo, disturbi della sfera alimentare).

I casi asintomatici sono stati nelle casistiche cinesi dal 4 a oltre il 15%. Riguardo ai sintomi nelle casistiche cinesi, in uno degli studi il 90% dei casi pediatrici aveva sintomi lievi o moderati, il 5% importanti con dispnea, cianosi, ipossia e lo 0,6% ha sviluppato una malattia “critica”, cioè pericolosa per la vita; in un altro studio sui bambini ricoverati sono riportate forme lievi nel 18% dei casi e moderate nell’82% e solo l’1.7% dei casi ha avuto insufficienza respiratoria che ha richiesto terapia intensiva, ed erano bambini con condizioni patologiche gravi preesistenti.

Uno studio uscito sul British Medical Journal, condotto in 138 ospedali britannici, ha concluso che tra tutti i ricoverati per Covid-19 tra il 17 gennaio e il 3 luglio meno dell’1% (651 casi) era rappresentato da soggetti al di sotto di 19 anni e la mortalità (6 casi) ha riguardato solo pazienti già affetti da patologie gravi.

Un altro studio, pubblicato su Lancet Child & Adolescent Health, che ha incluso 582 bambini e adolescenti di età compresa tra 3 giorni e 18 anni di 82 ospedali in 25 Paesi europei dall’1 al 24 aprile, ha rilevato che, sebbene il 62% fosse ricoverato in ospedale, meno di 1 su 10 ha avuto bisogno del trattamento in terapia intensiva, confermando che nei bambini e adolescenti il Covid-19 si presenta generalmente in modo non grave. Il 16%, la maggior parte dei quali testati a causa del contatto ravvicinato con un caso noto, non hanno manifestato alcun sintomo. La mortalità è stata dello 0,69%.

Uno studio americano pubblicato su JAMA network open conferma che nella fascia da 0 a 19 anni il Covid-19 è meno frequente e ha un decorso clinico più favorevole. Nello studio, confrontando 315 bambini con Covid-19 esaminati tra il 25 marzo e il 15 maggio e 1.402 bambini con influenza stagionale diagnosticati tra il 1° ottobre 2019 e il 6 giugno 2020, sono emersi sintomi del tutto sovrapponibili, tassi di ospedalizzazione simili (17% nei pazienti Covid, contro il 21% nei pazienti con influenza) percentuali simili di ammissione alle unità di cure intensive (6% nei pazienti Covid, contro il 7% nei pazienti con influenza) e di ricorso alla ventilazione meccanica (3% vs 2%), nessun decesso.

Uno studio statunitense su 46 pazienti ricoverati in ospedale di età compresa tra 1 mese e 21 anni, pubblicato sul Journal of Pediatrics, riporta, in controtendenza, una più alta probabilità di sviluppare malattia grave nei bambini con Covid-19 di quella generalmente mostrata: su 67 pazienti esaminati, tra il 15 marzo e il 13 aprile, il 31,3% è stato gestito in maniera ambulatoriale, mentre il 72% dei 46 pazienti ammessi in ospedale è stato ricoverato nell’unità di pediatria generale e il 28% nell’unità di terapia intensiva pediatrica, in particolare quelli che avevano alti livelli di proteina C reattiva, procalcitonina e peptide natriuretico cerebrale, conta piastrinica bassa e (anche se il dato non ha significatività statistica) malattie di base come obesità e asma grave.

In Italia, secondo dati recenti dell’Istituto Superiore di Sanità, dall’inizio dell’epidemia sono stati 43.841 (pari al 3,6% del totale) i casi diagnosticati nella fascia di età da 0- 9 anni e 105.378 quelli diagnosticati nella fascia 10-19 (8,6%), con una incidenza totale di oltre il 12% da 0 a 19 anni. Tra i bambini da 0 a 1 anno, gli asintomatici sono il 64,3% dei casi, il 32% sono paucisintomatici o con sintomi lievi, solo il 3,4 % ha avuto sintomi seri. Nella fascia di età tra i 2 e i 19 anni, gli asintomatici sono oltre il 70%, la restante parte è paucisintomatica o lievemente sintomatica (rispettivamente: 8,6% paucisintomatici e 15,2% lievemente sintomatici nella fascia 2-6 anni; 10% paucisintomatici e 19,4% lievemente sintomatici nella fascia 7-19). Rari i sintomi severi in questa fascia di età (0,3%-0,4%). Sono stati 8 i decessi registrati da 0 a 19 anni dall’inizio dell’epidemia, in pazienti in condizioni di base già molto compromesse.

I risultati di un ampio studio multicentrico pediatrico della Società Italiana di Pediatria e dalla Società Italiana di Infettivologia Pediatrica (Sip-Sitip) su 759 pazienti esaminati in 70 Centri Clinici infettivologici italiani, mostrano che l’infezione da Sars-CoV-2 nell’infanzia avviene prevalentemente in modo asintomatico o paucisintomatico. Sono stati ricoverati il 65%, con una frequenza maggiore nei più piccoli, e in particolare sotto l’anno di età. L’età media dei casi risulta 5 anni. Il 19,6% dei bambini ha sviluppato complicanze quali polmonite interstiziale, insufficienza respiratoria e vasculite. L’indagine ha messo in evidenza un pattern tipico di presentazione in rapporto all’età: mentre i bambini sotto l’anno presentano più frequentemente tosse e rinite, i ragazzi più grandi, in età adolescenziale e preadolescenziale, hanno sintomi più simili a quelli dell’adulto: alterazioni del gusto e dell’olfatto, astenia, mal di testa e dolore toracico.

  1. Come sono gli esami del sangue?

Come indici di laboratorio, nei bambini spesso si trovano alterazioni modelle o nulle, a differenza degli adulti: riportati raramente linfopenia e aumento PCR, talvolta alterazioni degli indici di funzionalità epatica, aumento di LDH e D-dimero, specie nei casi più gravi.

  1. Come risultano gli esami radiologici?

Per la diagnosi di polmonite interstiziale è più utile la Tac ad alta risoluzione rispetto alla sola Radiografia del torace (ma da evitare se la Radiografia è fortemente suggestiva in associazione alla clinica). L’ecografia polmonare è utile per screening e monitoraggio della polmonite. Nello studio cinese su bambini ricoverati la TAC ha rivelato nell’82% dei pazienti ombre irregolari ad alta densità, ma al contrario di quanto osservato negli adulti, solo nel 3% le caratteristiche opacità a vetro smerigliato. Le lesioni alla TAC non correlavano con la clinica, molto più scarsa rispetto al quadro radiologico.

  1. Come si fa la diagnosi?

Il test diagnostico è il tampone rino-faringeo per la ricerca degli acidi nucleici virali, come nell’adulto, ma nei bambini sembra più probabile la presenza di falsi negativi, per cui in caso di forte sospetto vanno considerati tamponi ripetuti, se negativi. Il test antigenico rapido su tampone è gravato da una bassa sensibilità e quindi è inadeguato come screening e come guida per eventuale immissione in comunità. Sui test sierologici al momento in età infantile non si dispone di criteri di interpretazione univoca. Autori cinesi suggeriscono di ricercare il virus anche su campione di feci, in caso di negatività del tampone rinofaringeo.

  1. Sono importanti le comorbilità?

Anche per i bambini e gli adolescenti, come per gli adulti, le comorbilità rappresentano un fattore di rischio per un decorso più grave, benché, secondo uno studio pubblicato su JAMA Pediatrics, sui 48 pazienti da 1 mese a 21 anni con Covid-19 ricoverati nelle terapie intensive pediatriche nordamericane, il decorso clinico della malattia sia stato meno grave rispetto agli adulti anche nei bambini in condizioni di base compromesse. Tra i fattori di rischio per decorso complicato, obesità (che peraltro è aumentata in esito ad alimentazione scorretta e sedentarietà indotte indirettamente dalla pandemia) e diabete mellito di tipo 1 (anche questo aumentato dall’inizio della pandemia: uno studio inglese ha rilevato che il tasso di diagnosi è quasi raddoppiato durante il picco della pandemia, facendo presumere che il Covid possa attaccare le cellule del pancreas). I bambini immunodepressi, in quanto affetti da patologia neoplastica o immunodeficienza congenita o in trattamento immunosoppressivo come nel caso di glomerulopatie o trapianto, sembrano invece avere un’evoluzione più favorevole rispetto alla popolazione generale e ai pazienti con altre comorbilità, poiché probabilmente la risposta immune più debole comporta la prevenzione della fase iper-infiammatoria collegata al decorso più aggressivo del Covid.

  1. Come si profila l’epidemia italiana per i bambini?

Nella prima ondata dell’epidemia italiana da Covid-19, i bambini e gli adolescenti sono stati colpiti molto poco, grazie soprattutto al lockdown che li ha preservati: in infanzia e adolescenza dal 20 febbraio all’8 maggio, ci sono stati, come riportato dal Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) in uno studio pubblicato su Pediatrics, circa 4.000 casi, pari a meno del 2% del totale dei contagiati (1,8, per l’esattezza), con un’età media di 11 anni, e ricovero ospedaliero nel 13,3% dei casi (ma nella fascia 0-1 anno in 1 caso su 3). Sul totale dei casi in età pediatrica della prima ondata, il 5,4% aveva delle comorbidità. La malattia è stata lieve nel 32,4% dei casi e grave nel 4,3%, in particolare nei bambini di età ≤6 anni (10,8%); tra i pazienti ospedalizzati, il 3,5% è stato ricoverato in terapia intensiva e si sono verificati 5 decessi nei bambini dai 0 ai 9 anni, tutti che soffrivano di patologie sottostanti gravi, nessuno tra i 10 e i 18 anni. I maggiori fattori di rischio per la malattia grave sono risultati l’età inferiore a 1 anno e la presenza di comorbidità preesistenti.

Questi dati concordano abbastanza con quelli dell’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc), che riferisce una incidenza in età evolutiva in Europa nella prima ondata che supera appena il 2%, con un tasso di ospedalizzazione di meno del 5% e di letalità dello 0,3%.

Anche lo studio coordinato dall’Ospedale Burlo Garofolo di Trieste, condotto in 28 centri di 10 Regioni italiane su 130 bambini con accertata infezione da Covid-19, conferma che la malattia ha avuto uno scarso impatto in età pediatrica nella prima ondata: il 75,4% era asintomatico o con sintomi lievi.

Già 14 luglio in Italia, dopo la fine del lockdown, secondo i dati dell’Iss, la percentuale di casi pediatrici (0-18 anni) è salita al 2.2% del totale, di cui il 12.4% di età inferiore o uguale ad 1 anno, il 18.5% tra 2 e 6 anni e il 69% tra 7 e 17 anni.

Nella seconda ondata, i bambini appaiono molto più colpiti. A metà settembre, la percentuale dei casi documentati di positività al Sars-CoV-2 è passata in età evolutiva, come documenta la Società Italiana di Pediatria, al 12,8%, di cui circa un terzo tra 0 e 9 anni. Sono proporzionalmente aumentati anche i casi con una sintomatologia più importante, in particolare nei bambini molto piccoli (sotto i 3 mesi) e in quelli affetti da malattia cronica. La maggior parte dei soggetti comunque ha avuto forme lievi, e il tasso di letalità si mantiene bassissimo.

 

  1. Quali gli effetti indiretti della pandemia?

Le strategie di contenimento e la chiusura delle scuole sono risultate efficaci nel limitare la diffusione del Covid-19 per i bambini, che però hanno subito le conseguenze dell’isolamento sviluppando sintomi come disturbi del sonno, alimentazione non corretta, sedentarietà, regressioni, disturbi dell’apprendimento, ritiro sociale, dipendenze comportamentali, disturbi psico-somatici e psichiatrici, con maggior impatto sulle fasce più vulnerabili per fragilità socio-economica, malattie croniche o disabilità. Inoltre, sono emerse altre problematiche quali l’aumento degli incidenti domestici e della violenza familiare. Un grave effetto indiretto della pandemia è stato la riduzione dell’assistenza sanitaria ai bambini. È stato un fatto positivo l’importante diminuzione degli accessi al pronto soccorso inappropriati, ma purtroppo in alcuni casi il ricorso tardivo alle cure ospedaliere, per la paura del contagio, è stato dannoso: 1 famiglia su 3 di fronte a un evento critico acuto del bambino (come una crisi epilettica) ha deciso di non accedere a un servizio di emergenza, ma di gestirlo in proprio, certamente con più rischi. Secondo stime SIMEUP | Società Italiana di Medicina Emergenza Urgenza Pediatrica durante la pandemia il calo medio dell’utenza pediatrica nei pronto soccorso è stato del 40%, con punte dell’80% in alcuni territori. Il minor accesso ai servizi sanitari ha influito sul ritardo diagnostico anche per patologie in cui la tempestività della diagnosi può essere decisiva per evitare complicanze gravi, come nel caso del diabete tipo 1 che può evolvere in come chetoacidosico: secondo la SIEDP |Società Italiana Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica il numero di chetoacidosi gravi riscontrate all’esordio del diabete è passato dal 36% del totale nel periodo pre-Covid al 44% durante il lockdown: quasi in un caso su due quindi l’accesso del paziente al pronto soccorso è stato tardivo. Anche l’AIEOP | Associazione Italiana Ematologia Oncologia Pediatrica ha rilevato che nel periodo marzo-maggio a causa del Covid-19 le diagnosi di tumore pediatrico si sono ridotte rispetto al corrispondente periodo del 2029. Altro punto, i bambini con patologie croniche complesse durante le fasi del lockdown si sono trovati nell’impossibilità di essere seguiti adeguatamente.

Secondo una survey condotta da SIMGePed, Uniamo e Associazioni amiche di Telethon, circa il 40% dei bambini con cronicità ha interrotto i controlli. Un altro problema è stato il significativo calo delle coperture vaccinali. Secondo un’indagine condotta da SIP e Pazienti.it, oltre 3 genitori su 10 hanno rinviato le sedute vaccinali dei propri figli, con il rischio di una possibile ripresa di patologie infettive prevenibili. Un problema non solo italiano: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’UNICEF, almeno 80 milioni di bambini nel mondo sono a rischio di contrarre malattie prevenibili con le vaccinazioni per ritardo vaccinale in seguito alla pandemia. In particolare, nei primi 4 mesi dell’anno, per la prima volta dopo 28 anni, si è verificato a livello globale un calo sostanziale del numero di bambini che hanno completato le 3 dosi di vaccino contro difterite, tetano e pertosse.

  1. C’è rapporto con la Malattia di Kawasaki?

La Kawasaki è una vasculite sistemica che si manifesta con febbre elevata persistente, congiuntivite bilaterale senza secrezioni, arrossamento delle labbra (cheilite) e della mucosa orale, eruzione cutanea polimorfa, linfoadenopatia cervicale monolaterale, e può complicarsi con infiammazione delle coronarie. In Lombardia, Gran Bretagna, New-York, è stato segnalato un incremento di malattia di Kawasaki in concomitanza con l’epidemia di Covid-19, talvolta con un quadro atipico, resistenza al trattamento convenzionale con immunoglobuline endovena e tendenza a complicarsi con la sindrome di attivazione macrofagica, che ha richiesto talora il ricovero in terapia intensiva pediatrica, e una quota di questi bambini aveva tampone e/o sierologia positivi per Sars-CoV-2. Per esempio, lo studio dell’Ospedale di Bergamo apparso su The Lancet, ha riferito 10 casi di bambini con Kawasaki ricoverati tra l’1 marzo e il 20 aprile: un aumento dei casi pari a 30 volte rispetto all’incidenza abituale. Ben 8 dei 10 bambini sono risultati positivi al Coronavirus. I bambini di questa casistica erano in media più grandi (età media 7,5 anni vs 3 anni) e con sintomi più gravi rispetto al passato, con complicanze cardiache nel 60% dei casi, rispetto al 10% dei casi prima della pandemia. Attualmente sono 36, in Italia, i bambini che dall’inizio dell’epidemia hanno avuto la diagnosi di Kawasaki, distribuiti in tutto il Paese.

  1. Cosa è la sindrome infiammatoria multisistemica dei bambini (Mis-C)

La Sindrome infiammatoria multipla dei bambini (Multisystem inflammatory syndrome in Children, Mis-C) correlata a Sars-CoV-2 è un grave stato infiammatorio generale descritto in Europa e Nord-America in pazienti da 0 a 21 anni cui è stata diagnosticato Covid-19 o che sono stati esposti al virus, come possibile complicazione tardiva (dopo 2-4 settimane), che colpisce due o più sistemi di organi. Un articolo sul New England Journal of Medicine ne descrive oltre 200 casi. Quasi 4 casi su 5 di quelli ricoverati in ospedale hanno richiesto cure in terapia intensiva, con una mortalità del 2%. I sintomi della malattia sono vari, alcuni coincidenti con quelli della Kawasaki quali febbre per oltre 3 giorni, ingrossamento delle linfoghiandole, congiuntivite, infiammazione orale, rash mani-piedi, aumento dei markers infiammatori, ma altre diverse quali interessamento gastro-intestinale (dolore addominale, diarrea, adenomesenterite), polmonare (dispnea), coinvolgimento cardiaco caratterizzato da miocardite o pericardite senza le alterazioni coronariche (aneurisma/dilatazione) tipiche della Kawasaki. La sindrome può portare scompenso cardiaco acuto, shock settico, danni di tutti gli organi inclusi reni e fegato (disfunzione multi-organo). Gli esami di laboratorio hanno evidenziato iposodiemia, ipoalbuminemia, elevati indici di flogosi, D-dimero e troponina.

Uno studio uscito su Circulation ha descritto inizialmente 35 bambini (età media 10 anni) ricoverati in ospedali in Francia e in Svizzera tra il 22 marzo e il 30 aprile con disfunzione sistolica ventricolare sinistra acuta o shock cardiogeno e stato infiammatorio multisistemico associato, di cui 31 (88%) sono risultati positivi al test per Sars-CoV-2. Il 28% presentava comorbilità, come asma e obesità, e l’80% aveva sintomi gastrointestinali.

Uno studio multicentrico condotto da 200 pediatri in tutta Italia sotto l’egidia della Società italiana di pediatria durante la prima ondata epidemica, ossia dal 1 febbraio al 31 maggio 2020, ha esaminato 149 pazienti, di cui 53 affetti da sindrome multi-infiammatoria sistemica e 93 affetti da malattia di Kawasaki. La percentuale di pazienti positiva al virus era nettamente più alta nella popolazione con sindrome multi-infiammatoria (75%) rispetto alla popolazione affetta da Kawasaki (20%). Inoltre, le forme multi-infiammatorie sistemiche si sono accumulate temporalmente circa un mese dopo il picco dell’epidemia, a conferma della stretta correlazione, anche perché i pazienti si sono concentrati prevalentemente nel Nord Italia, soprattutto in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna, le Regioni dove ci sono stati più casi di Covid-19. La popolazione affetta da sindrome multi-infiammatoria sistemica, rispetto a quella affetta da malattia di Kawasaki, ha presentato età media più alta (intorno ai 7 anni), maggior probabilità di aver bisogno della terapia intensiva pediatrica, maggiore necessità di sostegno ventilatorio, maggior probabilità di manifestare sintomi atipici per la Kawasaki quali quelli gastro-intestinali e polmonari, maggior probabilità di avere miocardite o insufficienza cardiaca. Per quanto riguarda gli esami di laboratorio, la sindrome multi-infiammatoria sistemica si caratterizzava per maggiori alterazioni degli indici di flogosi (PCR), linfopenia, piastrinopenia, aumento di ferritinemia e di enzimi cardiaci. Nella casistica italiana non si sono registrati decessi.

Uno studio dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù con il Karolinska Institutet di Stoccolma, denominato “CACTUS”, Immunological studies in children affected by Covid and acute diseases” e pubblicato su Cell, chiarisce ulteriormente la distinzione tra Mis-C e Kawasaki, patologie con manifestazioni simili (entrambe sono vasculiti sistemiche), ma caratteristiche immunologiche differenti. Nello studio sono stati coinvolti 101 bambini, di cui 13 con Covid che hanno sviluppato la Mis-C, 41 con Covid non complicato, 28 con patologia di Kawasaki insorta in epoca pre-Covid e 19 sani. Sia nella Kawasaki che nella Mis-C, è stata rilevata un’alterazione dei livelli delle citochine infiammatorie, ma con delle differenze: ad esempio l’interleuchina 17a (IL-17a) è risultata particolarmente aumentata nei bambini con malattia di Kawasaki ma non in quelli con Covid e Mis-C, mentre, rispetto ai bambini con Kawasaki, nei pazienti affetti da Covid che sviluppano Mis-C è stata individuata un’elevata presenza di auto-anticorpi contro due specifiche proteine (endoglina e RPBJ) che possono determinare il danno vascolare e cardiaco tipico della Mis-C. Lo studio dà indicazione di trattamento con immunoglobuline endovena ad alte dosi (come la Kawasaki) in associazione però con anakinra (antagonista dei recettori dell’interleuchina-1) e cortisone.

Si ipotizza che il Covid-19, inducendo una risposta infiammatoria importante, possa scatenare malattie su base auto-infiammatoria anche a distanza di tempo dall’infezione. Probabilmente le Mis-C non sono condizioni diverse dalla malattia di Kawasaki, ma fanno parte di un unico spettro di patologia che va da forme meno gravi ad altre più gravi.

  1. Quali sono i criteri di gestione?

In caso di sospetto diagnostico (bambino con sintomatologia compatibile con infezione da Covid-19 ed esposto a familiare/convivente accertato), il pediatra curante del bambino prescrive il tampone rino-faringeo molecolare e, nel caso di positività, può decidere di gestirlo in isolamento al proprio domicilio oppure, se ritiene necessario il ricovero, può mettersi in contatto col centro di riferimento identificato dalla Regione, attraverso un numero telefonico dedicato. Il centro regionale per la gestione del COVID in età pediatrica svolge attività di coordinamento, triage, consulenza, valutazione clinico-microbiologica e di eventuale ricovero per i pazienti di età 0-14 anni con infezione sospetta o accertata da SARS-CoV-2. In caso di urgenza, il pediatra di famiglia può invece ravvisare la necessità di inviare il bambino in pronto soccorso, contattando personalmente il medico di guardia per concordare l’accesso, secondo le attuali linee-guida che promuovono il massimo potenziamento dell’integrazione ospedale-territorio.

A livello di organizzazione sanitaria generale, la strategia adottata per contenere la pandemia è stata di separare i percorsi “Covid” e “non-Covid”, sia sul territorio che in ospedale, e di ridurre il numero di accessi e attività non urgenti, oltre che di richiedere l’accompagnamento del minore da parte di un solo genitore. In ossequio alle norme di distanziamento fisico, sono stati attivati percorsi di teleconsulto e tele-assistenza basati su supporto telefonico, WhatsApp, email, Skype o altro. Grazie ai moderni smartphone, è facile la videochiamata e la rapida condivisione di materiale audio-video e fotografie. I pediatri di famiglia hanno impostato il loro lavoro consentendo l’accesso dei bambini all’ambulatorio solo dopo triage telefonico ed esclusivamente su appuntamento.

  1. Quali terapie?

La gestione terapeutica dei pazienti Covid in età pediatrica non è al momento standardizzata a livello internazionale. Le indicazioni generali sono di ricorrere a una terapia sintomatica per febbre o malessere (paracetamolo e ibuprofene), antibiotici se segni di infezione batterica, corticosteroidi se subentra difficoltà respiratoria. In caso di necessità di trattamento inalatorio con farmaci cortisonici locali e/o broncodilatatori (es. paziente con broncostenosi), si suggerisce utilizzo di spray pre-dosato, evitando l’uso di nebulizzatori per il rischio di areosolizzazione di particelle con aumento della contagiosità. È importante che le terapie già in corso per patologie di base non siano sospese.

  1. Quali sono i criteri di ricovero?

Criteri di ricovero sono quelli che si applicano in generale ai bambini con malattie acute a rischio di progressione verso quadro critico. Sono indicazioni assolute età < 3 mesi con febbre, persistenza oltre i 5 giorni della febbre di grado elevato, disidratazione o incapacità all’alimentazione che richiede reidratazione endovena, saturazione O2 < 92% o segni di distress respiratorio o tachipnea, alterazione degli enzimi miocardici, dei parametri della coagulazione, degli indici epatici, stato mentale alterato con letargia o disturbi della coscienza, convulsioni o sintomi neurologici, cardiopatie cianogene. Sono indicazioni relative, da valutare caso per caso: età < 12 mesi o fattori di rischio preesistenti o malattie croniche, in presenza di febbre alta persistente da 3-5 giorni, Sat O2 <94% o segni di distress respiratorio o tachipnea, complicanze extra-polmonari, co-infezioni con altri virus o batteri, scompenso della malattia di base, prematurità < 34 sett o peso alla nascita < 2000 grammi.

20. Come funziona l’isolamento domiciliare?

La stragrande maggioranza dei bambini colpiti può essere assistita nelle proprie abitazioni in isolamento domiciliare, sorvegliata dal pediatra curante con monitoraggio a distanza attraverso teleconsulti, fino alla guarigione clinica e alla negativizzazione del tampone nasofaringeo. Le raccomandazioni per la famiglia del bambino in isolamento domiciliare: tenerlo in una stanza singola, ben ventilata; limitare il numero di persone che entrano in contatto con lui, soprattutto minori, anziani o persone con problemi di salute; mantenere sempre una distanza di almeno 1 m dal bambino (eccezione viene fatta per la madre che allatta che deve indossare una mascherina e lavarsi le mani prima e dopo l’allattamento e l’accudimento); limitare gli spostamenti del bambino in casa e ridurre al minimo gli spazi condivisi; lavarsi frequentemente le mani, in particolare dopo ogni contatto; spiegare al bambino, compatibilmente con l’età, la corretta igiene respiratoria che deve essere praticata da tutti: copertura della bocca e del naso durante tosse o starnuto con fazzoletti o nell’incavo del gomito flesso, seguiti dal lavaggio delle mani; evitare il contatto diretto con i fluidi corporei, specie le secrezioni orali, respiratorie e le feci; evitare ogni possibile via di esposizione inapparente (es. condivisione di spazzolini da denti, posate, stoviglie, bicchieri, asciugamani); pulire e disinfettare le superfici del bagno e dei servizi igienici almeno una volta al giorno con una soluzione di acqua e candeggina diluita all’1%; lavare vestiti, lenzuola, asciugamani ecc. usando un sapone da bucato o in lavatrice a 60-90 °C.  Fare inoltre attenzione all’aspetto psicologico del bambino, che non deve sentirsi “evitato perché infetto”: cercare per quanto possibile di proporre l’esperienza come un gioco. Compatibilmente con l’età, informare il bambino delle ragioni delle precauzioni, e dell’importanza di proteggere le persone più fragili di lui. Se e quando le condizioni cliniche lo permettono, incoraggiare il bambino a mantenere attive le sue relazioni sociali per telefono o videochat, con amici e parenti (ma anche con i fratelli presenti in casa) e le attività scolastiche con le lezioni a distanza.

 

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