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Chiamami col tuo nome, l’Italia torna agli Oscar con Guadagnino

di Renato Aiello

Nell’Italia degli anni ’80, sotto il sole cocente d’estate e tra profumi di frutta e antichità si celebra la storia d’amore di Elio e Oliver. Il primo è il figlio del professore che ospita Oliver, lo studente americano, per sei settimane nella sua villa in Lombardia.

I due si conoscono, si scrutano, si scontrano, si scoprono e si amano. Di un amore puro, sincero, profondo come sanno essere le vere amicizie, quelle consumate velocemente e ostacolate solo dal tempo, tiranno infallibile.

Un affetto ritratto con garbo e sensualità in Chiamami col tuo nome da Guadagnino, regista siciliano che alla quinta regia centra l’obiettivo e si porta a casa quattro nomination all’Oscar, dopo quattro film non proprio esaltanti e molto discussi, nonché criticati. Io sono l’amore con Tilda Swinton già catturò l’attenzione americana, tradottasi in una candidatura a suo tempo per i costumi della Cannarozzi, ma è quest’opera, scritta da James Ivory che l’ha adattata da un romanzo dal titolo omonimo, ad aver finalmente conquistato critica e pubblico americano, e addirittura l’Academy.

Nell’anno che ci vede assenti in cinquina per il film straniero insieme alla Francia, che ci tallona da decenni, un piccolo film silenziosamente guadagna il suo posto al sole nell’Olimpo americano.

Armie Hammer, protagonista con Timothée Chalamet di Call me by your name – titolo americano dell’ultima fatica di Guadagnino – assomiglia molto al primo Paul Newman: bellezza dagli occhi di ghiaccio, classe innata e fascino a profusione, charme a cui non sa resistere il giovanissimo figlio del prof. Perlman, diciassettene e perciò minorenne, cosa che ha fatto insorgere in Italia il solito sacerdote di provincia, padre Andrea Cassinelli – lo riporta Il Fatto quotidiano on line , ma anche in America i più puritani, reduci magari dall’ondata #MeToo e #TimesUp contro gli scandali su abusi e molestie nella Mecca del Cinema.

Il Boston Globes punta il dito infatti contro l’esaltazione degli assalti sessuali, dimenticando però la relazione assolutamente consenziente sviluppatasi tra i due ragazzi. Persino i genitori nel film avallano o in un certo senso rispettano le scelte dei due ragazzi, e lo conferma il bellissimo discorso di Michael Stuhlbarg al figlio Elio, il padre che vorrebbero tutti, o che avrebbero desiderato tutti quelli che si sono scontrati con il rifiuto gretto e ipocrita in famiglia.

Personalmente Guadagnino non mi aveva mai fatto impazzire, Melissa P. è dimenticabile, I am Love con la Swinton non lo capì quando lo vidi e lo trovai ridondante e sciropposo: stavolta invece la scrittura asciutta ed efficace di quel mostro sacro di James Ivory, autore del più bel film sull’omosessualità giovanile che fu Maurice, aiuta e sostiene benissimo la regia, incantevole nella gestione degli spazi, nel lirismo della natura, dipinta con efficaci inquadrature e nella direzione degli interpreti.

Hammer era stato già bravo nel doppio ruolo dei gemelli atleti in The Social Network di Fincher, senza dimenticare il J Edgar di Eastwood e Mine, e per la seconda volta si affida a un regista italiano dopo l’esperienza nel deserto nordafricano per il film di guerra dei due Fabio, Resinaro e Guaglione. Qui gioca di sottrazioni, sguardi e finezze da attore ormai maturo, e non è da meno Chamalet, il suo compagno sul grande schermo.

Tutti parleranno a lungo della scena della pesca, degna dei peggiori American Pie – forse di cattivo gusto, ma alla fine funzionale alla storia e al rapporto instauratosi -, mentre sarà difficile dimenticare gli occhioni lucidi di Elio davanti al camino di casa mentre fuori nevica e la famiglia ebrea festeggia Hannukkah – la festa della luce, equivalente della nostra vigilia di Natale del 24 dicembre.

Tutti polemizzeranno e si scandalizzeranno per la passione travolgente tra un diciassettenne e un venticinquenne, ma non erano forse i greci a tollerare la pederastia? E nella sceneggiatura non si parla di ritrovamenti bronzei di statue romane o di sculture di Prassitele su diapositiva? La bellezza è negli occhi di chi guarda, così come siamo noi a vedere il male secondo Sant’Agostino. Speriamo almeno che la bellezza ci salvi da questo mondo, se proprio non riesce a salvarlo.

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