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Covid-19, quando usciremo dal tunnel?

Carlo Alfaro, Dirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi (Na), ove è titolare di Incarico professionale di consulenza, studio e ricerca di Adolescentologia: il tunnel del Covid-19 a quasi due anni dalla sua funesta comparsa

Dicembre 2021 sancisce un drammatico anniversario per l’umanità: sono due anni che il Sars-CoV 2 ha aggredito l’uomo e da questo tunnel ancora non si vede la luce.

Era il mese di dicembre 2019 quando le autorità sanitarie cinesi si accorsero di un anomalo focolaio di gravi casi di polmonite di origine sconosciuta a Wuhan. Un virus nuovo, mai affrontato dall’intera umanità, che quindi era completamente suscettibile al contagio. Ne conseguì il divampare di un’epidemia che in un solo mese colpì l’intero globo, complice l’ormai totale globalizzazione che ha annullato i confini.

E iniziò la lunga e nota epopea che ci ha resi la Generazione “V”, quella del virus pandemico. Con un bilancio spaventoso. Colpa anche della peculiarità del virus, capace di legarsi al recettore ACE 2, diffuso in tutto il corpo umano e in particolare nelle cellule degli alveoli polmonari, dove l’infezione soffoca gli scambi gassosi.

Attraverso le sue ondate successive come quelle del sasso gettato in uno stagno, con illusorie remissioni e peggiori recrudescenze, la pandemia ha rubato oltre 28 milioni di anni di vita solo nel 2020, come rammenta uno studio pubblicato sul British Medical Journal, condotto dall’Università di Oxford.

Il Covid-19 ha ridotto la speranza di vita in una misura tale che non si vedeva dalla seconda guerra mondiale in Europa occidentale. Il primo novembre c’è stato il superamento della soglia di ben 5 milioni di morti nel mondo. E poi gli effetti della pandemia vanno oltre la salute, terribili le sue conseguenze a livello delle nascite, con amplificazione del fenomeno delle culle vuote, della società con aumento della povertà, della disoccupazione e delle disuguaglianze, dell’istruzione con regressione degli apprendimenti, del benessere psico-fisico delle popolazioni.

Attualmente, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), è l’Europa ad essere epicentro della pandemia: quasi due terzi delle nuove infezioni a livello mondiale stanno avvenendo nel nostro continente. Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, Ecdc, denuncia al 14 novembre che ormai da 6 settimane sono in costante crescita nella Regione europea il tasso complessivo di notifica di nuovi casi (soprattutto tra i gruppi di età inferiore ai 50 anni), di ricoveri ospedalieri, di occupazione delle terapie intensive e di mortalità.

L’Ecdc ha elaborato durante tutta la pandemia delle “mappe di rischio” in base al tasso di notifica cumulativo dei casi, periodicamente aggiornate, per monitorizzare l’andamento dell’epidemia e regolare le eventuali limitazioni alla circolazione tra gli Stati membri. La mappa pubblicata l’11 novembre 2021 sancisce ufficialmente che la quarta ondata divampa in Europa.

La situazione più grave si registra nell’Est europeo (Croazia, Serbia, Cechia, Ungheria, Polonia, Romania, Bulgaria, Ucraina, Estonia, Lituania, Slovenia), dove c’è una minore diffusione della vaccinazione. Il Paese con la maggiore incidenza è la Slovenia che ha superato i 2.000 casi ogni 100mila abitanti. Ondata virale pesantissima anche in Germania, Austria, Grecia, Gran Bretagna, Belgio, Danimarca, Paesi Bassi, Russia, Paesi scandinavi.

L’Austria ha reagito prima attivando il “lockdown dei non vaccinati” e poi rendendo obbligatorio il vaccino. Anche nei Paesi Bassi è entrato in vigore un lockdown parziale.

Il Regno Unito invece punta tutto sui vaccini (è in corso la terza dose per tutti) e non fa marcia indietro sul non obbligo di mascherine e di Green pass e sulla continuazione del lavoro in presenza.

Italia, Spagna, Francia, Portogallo sono i Paesi viceversa a più bassa preoccupazione secondo l’Ecdc.

L’Italia nella mappa di rischio dell’Ecdc presenta solo 4 Regioni in rosso (Provincia autonoma di Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Marche e Calabria), 3 in verde (Valle d’Aosta, Sardegna e Molise) e tutte le restanti in arancione.

Anche Eurostat rende noto un evidente rialzo dell’eccesso di mortalità in Europa da Covid-19, soprattutto in Stati come Romania, Grecia e Lituania che superano il 30% e Bulgaria che arriva al 50 %.

Anche in Italia, seppur con valori molto inferiori, si è registrato un incremento, passando dal 3,3 di eccesso di mortalità di luglio 2021 al 6,6 ad agosto e al 6,4 a settembre.

Il monitoraggio settimanale del Ministero della salute relativo alla settimana 8-14 novembre documenta un aumento per la quarta settimana consecutiva del numero dei casi, che è arrivato a 98 casi per 100 mila abitanti (quasi il doppio della soglia di rischio di 50 casi settimanali per 100mila abitanti e del 25% in più rispetto alla settimana precedente) e dei tassi di occupazione sia in area medica che in terapia intensiva (ma senza raggiungere la soglia per il passaggio in zona gialla che è del 15% e del 10%, rispettivamente), con indice di trasmissibilità Rt (calcolato sui casi ospedalizzati) di 1,21 (dunque al di sopra della soglia epidemica, che sancisce la sussistenza della fase di epidemia e potrebbe preludere a una recrudescenza dei contagi).

Tutte le Regioni risultano classificate a rischio moderato, in particolar modo quelle del Nord-Est (Bolzano, Friuli Venezia Giulia). Secondo la Fondazione Gimbe, che dall’inizio dell’epidemia italiana fornisce un monitoraggio settimanale indipendente, da novembre l’Italia è in piena quarta ondata, con progressiva crescita dei nuovi casi, dei ricoveri in ospedale e nelle terapie intensive.

Tuttavia, sebbene questi dati indichino che il Coronavirus ha ripreso a circolare, non c’è, al momento, una crescita così repentina della curva da creare criticità. La curva osservata in Italia appare coerente con Ia tipica stagionalità delle infezioni da Coronavirus, che aumentano in autunno, inverno, primavera. Questa la storia.

Secondo gli scienziati, alla base della grave ondata in Europa, la combinazione tra la bassa copertura vaccinale in alcune Nazioni, la diminuzione dell’immunità tra le persone vaccinate e la minore attenzione a misure di contenimento come distanza di sicurezza e mascherine.

Sicuramente l’Italia si avvantaggia dell’alto tasso di vaccinazione e dalla strategia del Green pass obbligatorio per accedere ai posti di lavoro per i dipendenti pubblici e privati o alle attività ricreative e sociali.

Il modello del Green pass funziona perché permette di selezionare una popolazione sostanzialmente immune o temporaneamente esente da infezioni, e quindi la creazione di ambienti a minima circolazione virale e a ridotto rischio di infezione. Il Green pass durerà altri 12 mesi per chi fa la terza dose- o la seconda in caso di vaccino monodose o vaccino unico dopo guarigione.

Secondo i dati dell’Ecdc, al 14 novembre 2021, nell’Unione europea (Ue) il 65,2% della popolazione totale ha  ricevuto un ciclo completo di vaccinazione primaria. L’Italia ha vaccinato a ciclo completo (dati al 7 novembre) il 72,1% della popolazione totale, un dato che ci pone sopra della media Ue, all’8° posto dopo Portogallo e Malta, Islanda, Irlanda e Danimarca, Belgio e Spagna.

Al di fuori dell’Europa, nel resto del mondo, le maggiori incidenze di nuovi casi si verificano in Stati Uniti, India, Filippine, Brasile e Turchia. In tutto il mondo, il maggiore incremento di nuovi casi si sta registrando nella popolazione non vaccinata, sia in quella non eleggibile per età (under 12) che in quella non vaccinata per scelta, tanto che si è parlato della “pandemia di non vaccinati”. Si stima che chi non è vaccinato rischi il contagio 5 in più, il ricovero 8 volte in più e la morte 15 volte in più.

La protagonista della quarta ondata nel mondo è la variante “Delta” (B.1.617.2). Emersa a fine 2020 in India, la variante ha cominciato a diffondersi nella scorsa primavera e ormai nella Ue, compresa l’Italia, è responsabile del 99% dei nuovi casi di Covid-19. È caratterizzata da una maggiore trasmissibilità rispetto alle altre varianti: il suo indice di replicazione (R0) è stimato fra 6 e 8, laddove il ceppo di Wuhan era tra 2 e 2,5 e l’Alfa tra 3,5 e 4. Inoltre, è quasi 6 volte meno sensibile agli anticorpi sviluppati da chi ha avuto il Covid-19 e 8 volte meno a quelli sviluppati dopo la vaccinazione. Queste sue caratteristiche rendono difficile l’ottenimento della sperata immunità di gregge. Tuttavia, la protezione immunitaria resta alta nei confronti dei ricoveri e decessi.

Una più elevata copertura vaccinale nella popolazione, il completamento del ciclo-base di vaccinazione e il mantenimento di una elevata risposta immunitaria col richiamo, in particolare nelle categorie a rischio, rappresentano gli strumenti principali per combatterla.  La terza dose di vaccino sembra infatti ripristinare completamente la protezione.

Ulteriore incognita è l’emergere della cosiddetta variante Delta plus (sottovariante AY.4.2) rilevata, al momento, in Usa e in Israele, che sembra essere 10 volte più contagiosa.

Molti esperti annunciano che l’inverno 2021-2022 potrebbe essere l’ultimo in fase di pandemia: dopo, si potrebbe prevedere una convivenza pacifica col virus in una condizione di endemia, cioè con una bassa e costante percentuale di casi, clinicamente modesti. A meno dell’emergere di nuove varianti virali che sfuggendo alle difese immunitarie possano riaccendere significativi focolai epidemici.

Per evitare questo scenario è fondamentale vaccinare anche le Nazioni più povere. Secondo l’Oms, l’obiettivo da centrare è vaccinare il 70% della popolazione mondiale entro novembre 2022. Forse, sarà quella la vera fine dell’incubo.

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