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Figli di Portici famosi: il primo architetto di corte Luigi Vanvitelli

di Stanislao Scognamiglio

Si sente spesso parlare di personaggi di Portici per nascita o d’elezione dei quali si sta perdendo la memoria … Ritengo perciò doveroso ravvivarne memoria fornendo un breve profilo biografico tratto dal mio inedito Diario; avvenimenti, cose, fenomeni, uomini, vicende.  Portici e Vesuvio dalle origini a oggi, con il conforto di Autori di ogni tempo.

Lodewijk van Wittel, italianizzato in Luigi Vanvitelli, è nato a  Napoli il 12 maggio 1700, da Gaspard van Wittel e da Anna Lorenzani.

Inizialmente, intenzionato a seguire l’attività pittorica del padre, famoso pittore olandese di vedute, giunto in Italia nel 1675, ha appreso i rudimenti delle tecniche della pittura.

Spinto da una forte inclinazione per l’architettura, ben presto ha abbandonata la pittura.

Nel 1715, ha cominciato a studiare sotto la guida dell’architetto e scenografo siciliano Filippo Juvarra (Messina, 2 marzo 1678 – Madrid, 31 gennaio 1736).

Da quest’ultimo, «… suo principale riferimento artistico», è stato definitivamente indirizzato a dedicarsi allo studio dell’architettura.

Ha poi proseguito per suo conto, osservando e misurando i monumenti antichi e moderni di Roma, seguendo le tesi dell’architetto e scrittore romano, Marco Vitruvio Pollione (Marcus Vitruvius Pollio: 80 a.C. circa – dopo il 15 a.C. circa) e dei trattatisti del Cinquecento.

Nel periodo giovanile, sebbene sia ritenuto pittore di modesta importanza, ha eseguito «… la decorazione absidale della chiesa del Suffragio, a Viterbo, gli affreschi della cappella delle reliquie in S. Cecilia a Roma e un quadro a olio rappresentante la Santa, nella cappella stessa. Più tardi eseguì, per qualche tempo, cartoni per la riproduzione in musaico di quadri della basilica di S. Pietro, a Roma».

Dopo un timido inizio come scenografo e pittore, nel 1726, «… nominato aiuto architetto di G. Antonio Valerio a San Pietro» in Roma, si è avviato nella sua luminosa carriera di architetto.

Suoi primi lavori di architettura sono stati «… il restauro del palazzo Albani e le chiese di S. Francesco e di S. Domenico a Urbino, ma probabilmente si trattò di opere fatte in collaborazione con F. Barigioni, come, più tardi, insieme con Antonio Valeri, innalzò a Pesaro la chiesa di S. Pietro».

Uomo raffinato e brillante, nel 1728, a dispetto della sua avversione al mestiere della scrittura, è stato introdotto nell’Accademia dell’Arcadia, «… con l’evocativo nome pastorale di Cleante Fidiaco, poi mutato intorno al 1764 in Archimede Fidiaco».

A Roma, con l’amico e coetaneo Nicola Salvi (Roma, 6 agosto 1695 o 1697 – ivi, 8 febbraio 1751) ha lavorato al prolungamento della berniniana facciata del palazzo Odescalchi e all’esecuzione dell’acquedotto di Vermicino;

Nell’anno 1732, con suoi disegni ha partecipato ai due concorsi, banditi dal governo pontificio, per la realizzazione della facciata della basilica di San Giovanni in Laterano e per l’esecuzione della Fontana di Trevi.

Pur «… non riuscendo a vincerli, i suoi progetti riscossero giudizi favorevoli, tanto da guadagnarsi il primo incarico importante, commissionato direttamente da papa Clemente XII».

Dal sommo pontefice, infatti, nel 1733, ha ottenuto l’incarico della sistemazione e l’ampliamento del porto e la costruzione del Lazzaretto di Ancona..

Nello stesso anno 1733, è stato ammesso all’Accademia di San Luca.

Intorno al 1735, nominato architetto di S. Pietro, tenuto a risiedere a Roma, ha curato «... la costruzione del convento degli Agostiniani, la trasformazione del tepidarium delle Terme di Diocleziano nella chiesa di S. Maria degli Angeli (lavoro già cominciato da Michelangelo), il progetto di una cappella per il re del Portogallo».

Sempre ad Ancona, ha costruito «… l’arco Clementino (1735), la cappella delle reliquie di S. Ciriaco (1738 o ’39) e la chiesa del Gesù (1746)».

Trentasettenne, ha sposato la giovane «… Olimpia Starich, figlia di un contabile della fabbrica di San Pietro».

Il matrimonio, celebrato a Roma nel 1737, è stato coronato dalla nascita di otto figli: Carlo, nel 1739; Pietro, nel 1741; Gaspar, nel 1743;Tommaso, nel 1744; Anna Maria, nel 1747; Maria Cecilia, nel 1748; Maria Palmira, nel 1750.

Dal 1740, a Perugia, su suoi disegni, ha portato avanti i lavori «… per la chiesa e il convento degli Olivetani, a Macerata quelli per la chiesa della Misericordia, a Loreto si completava il campanile della Basilica».

Restauratore e ingegnere esperto di strutture, nel 1742, ha dimostrato tutto il suo sapere suggerendo il consolidamento della cupola della basilica vaticana di San Pietro in Roma.

Nell’anno 1751, mentre era «… impegnato nel restauro del loggiato bramantesco nel santuario di Loreto», è stato chiamato alla corte napoletana di Carlo di Borbone (Carlos Sebastián de Borbón y Farnesio; Madrid, 20 gennaio 1716 – ivi, 14 dicembre 1788).

Dal sovrano napoletano, su consiglio del primo ministro Bernardo Tanucci (Stia, Arezzo, 20 febbraio 1698 – San Giorgio a Cremano, Napoli, 29 aprile 1783), è stato richiesto il suo intervento per porre ordine nei cantieri di lavoro a Portici.

Accettato l’incarico, ha apportato alcune modifiche ai disegni, ma, prima di avviare i lavori suggeriti, ha richiesto la firma d’avallo dell’architetto romano Antonio Canevari (Roma, 1681 – Napoli, 1764). Questi ha portato a compimento la costruzione del palazzo reale porticese, iniziata dal «… mediocre architetto» Giovanni Antonio Medrano (Sciacca, Agrigento, 11 dicembre 1703 – Napoli, 1760), colonnello del genio borbonico.

Nello stesso anno 1751, ha presentato al re di Napoli un progetto per l’edificazione di una nuova più  prestigiosa quanto sicura reggia.

Avuta l’approvazione reale, ha avviato «… la più consistente e onerosa “impresa” della costruzione […] di un nuovo Palazzo nella piana di Caserta»: un «… vastissimo palazzo concepito come elemento di una intera sistemazione paesistica, d’impronta severamente classica, pur con qualche ricordo barocco (scala regia)».

Contemporaneamente, ha diretto anche la realizzazione dell’imponente acquedotto Carolino, terminandolo nel 1773. Il manufatto, in tre ordini di arcate, è stato costruito per alimentare il complesso di San Leucio e fornire l’apporto idrico alla Reggia di Caserta, prelevando l’acqua alle falde del monte Taburno.

Nel 1753, per incrementare la portata d’acqua alla reggia di Portici, poiché il vecchio acquedotto di Pugliano nella vicina Resina non è più sufficiente a far fronte alle maggiori esigenze della corte, ha diretto i l avori per la costruzione di uno nuovo.

L’acquedotto, «… costituito da tubi in terra cotta», attingeva da sorgive poste in agro di Sant’Anastasia.

Il sabato 19 gennaio 1754, rispondendo al fratello Urbano Vanvitelli, che da Roma gli raccomandava uno scultore da impiegare nelle decorazioni della reggia di Caserta, ha scritto: «… ancora non vi è apertura per accomodare scultori mediocri; il tempo verrà et ancora lui averà la sua parte, ma ora non posso presentarlo, né altri, essendo che ve ne sono tre o quattro che fanno paura, il meglio dei quali è l’infelice Bolognese che stava all’Armata, che fa cose da chiodi a Portici».

Nell’anno 1756, ha disegnato una scena del Vesuvio in piena attività eruttiva.

L’opera, eseguita con la tecnica della matita su carta, ha titolo Eruzione del Vesuvio vista da Portici,

Nello stesso anno, ha partecipato per breve tempo alla sistemazione dei giardini del palazzo reale di Portici.

Con lettera del 24 aprile, ha descritto i lavori al fratello: «… Carissimo fratello, giovedì mattina andiedi a Portici e livellai il Giardino per quella direzione ove si vuol fare le fontane e la conserva; ci volle la mattina e porzione di dopo pranzo».

Ha disegnato, inoltre, anche i candelabri per la «… Cappella della Real Villa di Portici».

Il 27 maggio 1758, completato lo studio, a Portici, ha presentato ai sovrani il bozzetto del progetto del ponte d’Evoli sul fiume Sele.

Il 27 gennaio 1761, sovrintendendo ai lavori al palazzo reale di Portici, ha scritto al fratello: « mi è venuto un dispaccio di dover’andare a visitare le nuove fabbriche de’ Quartieri di Portici, nelle quali cadono le volte, che indichi d’onde il male proviene e che rimedio si puotrà apprestare per impedire gli ulteriori danni al resto delle fabbriche già fatte».

Il successivo 23 febbraio, accompagnato dal figlio Pietro Vanvitelli, è nuovamente a a Portici per effettuare una verifica allo stato delle fabbriche della reggia.

Nel mese di settembre del 1763, dopo essere stato a letto malato per due settimane, convalescente, su consiglio del ministro plenipotenziario del Regno di Napoli e di Sicilia, marchese Bernardo Tanucci, si è trattenuto a Portici per trascorrervi un breve periodo di riposo e godere dell’aria buona.

Nella giornata dell’1 ottobre 1763, a mezzo lettera, ha esposto al ministro plenipotenziario del Regno di Napoli e di Sicilia Bernardo Tanucci il suo giudizio sul modello delle due statue, oggetto della perizia affidatagli.

Le due allegoriche figure femminili, rappresentanti la Giustizia e la Prudenza, sono state eseguite dallo scultore bolognese Agostino Corsini, per ornare due nicchie dello scalone della reggia di Portici.

Il successivo 22 ottobre, da Portici, ha comunicato al fratello che è ormai in buone condizioni fisiche, tali da porlo in condizioni di poter rientrare a Napoli.

Nel corso della permanenza a Napoli, oltre alla costruzione della reggia casertana e dell’acquedotto, detto Ponti della Valle, ha eseguito «…  la facciata del palazzo Calabritto, la caserma al ponte della Maddalena, la chiesa della SS. Annunziata, il ponte di Eboli, quello di Benevento, l’esedra per il monumento a Carlo di Borbone, la villa del principe di Campolieto a Resina; restaurò il casino di caccia di Persano, rinnovò la chiesa di S. Maria della Rotonda; preparò il progetto per il palazzo d’Angri».

Nel 1769, chiamato a Milano, ha avuto l’incarico della trasformazione del palazzo vicereale meneghino. Purtroppo, lasciando il lavoro incompiuto, ne ha affidato il completamento al suo allievo Giuseppe Giorgio Pietro Baldassarre Piermarini (Foligno, Perugia, 18 luglio 1734 – ivi, 18 febbraio 1808).

Analogamente, pur avendo studiato la sistemazione della gran sala del palazzo Vecchio di Brescia, non ne ha portato a termine la realizzazione.

Tralasciata ogni laboriosa attività, nonostante sia ritenuto «… uno dei più grandi architetti italiani tra il barocco e il classicismo», ormai stanco e afflitto, si è ritirato definitivamente a Caserta.

Duramente provato nel fisico, il primo architetto di corte Luigi Vanvitelli si spegne a Caserta, il 1° marzo 1773.

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