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‘O fucarazzo, ‘o cippo ‘e Sant’Antuono

di Francesco De Crescenzo

Così sono denominati i falò che la sera del 17 gennaio ardono in onore di Sant’Antonio Abate, santo del fuoco e protettore degli animali.

È un usanza antica, molto sentita a Napoli e in altre località della Campania.

Ma forse non tutti sanno che un tempo questa usanza era radicata in più Paesi d’Europa: si riteneva che il 17 gennaio gli animali potessero addirittura esprimersi con parole umane. Non c’era borgo, paesino o città dove non bruciassero cataste di legna per dare così, simbolicamente, fuoco al vecchio per dare vita al nuovo.

È una tradizione antica, addirittura millenaria, un rito pagano durante il quale si ballava, si cantava e si avvicinavano gli animali al falò affinchè le fiamme scacciassero i demoni e li purificassero.

Poi con l’avvento del Cristianesimo questa tradizione “miracolosamente” è sopravvissuta trovando in Sant’Antonio Abate il nuovo patrono.
È arrivata fino ai giorni nostri: addirittura in alcuni quartieri di Napoli ancora si perpreta questo rito, in particolare int‘o buvero ‘e Sant’Antuono, borgo che si trova nei pressi di via Foria, dove è ubicata l’omonima chiesa dedicata al Santo, che sembrerebbe essere stata edificata, come molte altre a Napoli, sui resti di un tempio pagano.

Anche io da ragazzino partecipavo alla realizzazione di questi falò nel mio quartiere. Cominciavamo settimane prima a girare quasi porta a porta, per raccogliere quante più cose affinchè il nostro fucarazzo fosse il più grande e bello di tutti.

In genere grazie alle festività natalizie che precedono questa data, quello che trovavamo in abbondanza da bruciare erano gli alberi che erano serviti a decorare le case, ma che a festività finite la gente non sapeva come disfarsene, e così li regalavano a noi scugnizzi. Poi finalmente arrivava il giorno del fucarazzo, così lo chiamavamo. Completavamo la pira  ed espletati gli ultimi febbricitanti preparativi ci godevamo la festa.

Era uno spettacolo assistere al fucarazzo, con le fiamme che salivano alte verso il cielo: la notte si illuminava e per l’aria si spandeva il profumo della legna mista a quella della resina dei pini che bruciavano.

Insomma, altri tempi, altre usanze che spero possano essere ancora tramandate, anche se da qualche anno nel mio quartiere questa tradizione sembra sia stata messa da parte. Forse gli attuali scugnizzi preferiscono emulare le gesta dei divi di oggi piuttosto che raccogliere il testimone degli scugnizzi di ieri.

Gomorra docet? Speriamo di no!

(Foto by F.PIgnataro)

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