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Il Libro. Diario di bordo, viaggio all’interno di una classe di detenuti

La Cultura come strumento di redenzione: il libro di Antonella Ferri, una sorta di Diario di bordo, spiega un processo complesso e non sempre facile

di Maurizio Longhi

Una professoressa e i suoi studenti. Può sembrare la storia ordinaria di una docente e la sua classe, invece, quando la classe è di detenuti, allora il contesto cambia. Diario di bordo è un libro scritto dalla professoressa Antonella Ferri, presentato sabato 16 novembre alla libreria Libridine.

Con l’autrice ne hanno parlato Benedetta Fontana, anch’ella insegnante dell’istituto carcerario e moderatrice dell’evento, e Maurizio Capozzo, avvocato penalista nonché assessore alla Sicurezza del Comune di Portici.

Le pagine di questo libro subito catturano il lettore anche per l’impostazione con cui è stato curato. La professoressa Ferri racconta le sue emozioni e lo fa insieme ai suoi studenti, dei quali viene fuori la personalità, lo stato emotivo, la voglia di riscatto.

Tra l’insegnante e questa classe, la III G, si crea un legame così profondo che, quando lei decide di dedicarsi alle prime ritenendo i suoi alunni ormai indipendenti a differenza di chi quel percorso scolastico deve ancora iniziarlo, viene accusata di tradimento.

C’è un mondo ai più sconosciuto in Diario di bordo che tocca le parti più profonde dell’animo umano, come se scavasse fino ad arrivare negli abissi più reconditi. La professoressa narra come ha iniziato ad interagire con i suoi studenti, come si è guadagnata la loro fiducia perché, quando si ha a che fare con detenuti, anche assegnare una mansione, può essere visto come un disegno da parte di qualcuno per estorcere segreti e confessioni. Allora i sospetti diventano reticenze e la reticenza porta ad un muro che bisogna saper scardinare. Con amore e pazienza tutto è possibile. Basta solo questo per capire con quanta delicatezza bisogna rapportarsi con studenti che devono scontare una pena.

Antonella Ferri ha proposto loro di raccontarsi attraverso un alfabeto autobiografico, anche perché quando qualcuno è chiamato a dire qualcosa di sé, vengono sempre fuori aspetti autentici, non si può copiare dalle vite degli altri.

Gli studenti con i quali ha avuto a che fare l’autrice hanno le età più disparate, c’è il giovane così come l’adulto, ma lei non ha mai voluto conoscere le storie dei loro reati, il suo compito era quello di tracciare davanti a ciascuno un orizzonte diverso che cancellasse le ombre del passato. Un antidoto tra i più efficaci, non a caso l’autrice è una insegnante, è la cultura, non esiste medicina migliore per curare i mali da cui è afflitta questa società, gli stessi mali che sono alla base di vite sbandate e deviate.

Così, può succedere che anche in carcere la cultura salvi delle vite, succede che un detenuto inizi ad amare la lettura iniziando ad appassionarsi a romanzi erotici. Cosa avrebbe dovuto fare l’insegnante? Vietargli quel genere? Nient’affatto, anzi, proprio partendo da quei romanzi si è arrivati ai classici della letteratura. Cosa dire quando la professoressa viene addirittura “accusata” dai suoi stessi alunni di insegnargli cose che altri detenuti (quelli che rifiutano l’istruzione) non capiscono e di cui, all’esterno delle mura carcerarie, fanno fatica a parlare per lo stigma sociale che si portano dietro. Come se chi è stato condannato dalla giustizia non avesse la dovuta credibilità per parlare di determinati argomenti che richiedono abilità di pensiero e capacità critica.

La cultura, poi, ha varie forme, oltre a quella contenuta nei libri, c’è anche il teatro, che si configura come un importantissimo strumento di immedesimazione ed espressione di sé.

L’assessore Capozzo, avendo letto il libro, ha chiesto alla Ferri: «Ho letto gli scritti dei detenuti raccolti nel libro, la qualità di scrittura mi è sembrata eccellente, immagino che da parte sua ci sia stata una attenta revisione.»Considerazione legittima, ma la professoressa ha tenuto a precisare: «Gli scritti non sono stati toccati

Allora non resta che leggerli su Diario di Bordo, dove c’è quasi un passaparola tra l’insegnante e dei detenuti, molti dei quali diventati studenti modello grazie anche alla capacità di fare rete con altre figure che operano nel sistema carcerario.

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