Cultura

Il Libro, Lacarmèn

NAPOLI – Alla Libreria Feltrinelli in via Santa Caterina a Chiaia mercoledì 1 febbraio alle 18 la Kairòs Edizioni presenterà Lacarmèn di Enzo Moscato, terzo volume della collana teatro della Serie Oro, ideata e diretta dalla scrittrice e giornalista Anita Curci.

Il libro vede la prefazione del regista Mario Martone, che sarà presente insieme all’autore e Cristina Donadio, che curerà il reading di alcune pagine di Lacarmèn. 

Il dibattito sarà moderato da Stefano de Stefano.

Lacarmèn è una drammaturgia che si legge come un lungo racconto. Che incrocia e mette a confronto più piani narrativi. Stratificando tempi e ambientazioni diversi per una storia che ha la forza dell’archetipo.

Ha un valore specifico proprio, indipendente dalle finalità di messa in scena per cui è stato concepito. Un valore aggiunto che è quello della scrittura stessa di Moscato, e che da sempre fa la differenza nei suoi testi, “oggetti letterari” prima ancora che “oggetti teatrali”. Sostenuti da un linguaggio rigoglioso, evocativo, che si fa portatore di una cultura antica, ma riproposta sempre in chiave originale e modernissima.

Qui Napoli incontra Carmen, altra figura forte e ricca di rimandi simbolici. Che, partendo dal racconto di Prosper Mérimée, è stata resa immortale dalla celeberrima opera di Bizet.

Moscato parte proprio dal racconto originale e mette in scena lo stesso autore, Mérimée. Trasportandolo, però, in una Napoli che oscilla dai tempi dell’immediato dopoguerra a quelli del post terremoto del 1980.

Questi ascolta il racconto di José (Cosé, nel testo di Moscato) e attraverso un fluido meccanismo di flash back teatrali ne rivive la vicenda. Ma con uno spirito nuovo. Come se cercasse a Napoli, e in Napoli, un’altra espressione della sua Carmen, e una conferma, insieme, della sua universalità. E così la città, e Carmen con essa, si esprime attraverso i suoi linguaggi specifici, e le sue forme (compresa quella della sceneggiata, variante estrema del melodramma), trovando in questi un punto ideale di congiunzione.

Anche in questo testo Moscato tende a una sintesi estrema attraverso la forma linguaggio. Che si riduce alla sua essenza di puro suono, vibrazione intima e profonda di un’intera cultura e di una plurisecolare tradizione. Così, nel lungo assolo-epilogo, affidato proprio a Mérimée, fino a quel punto un più che discreto e riservato ascoltatore, avviene la definitiva identificazione tra lo scrittore-personaggio e Moscato stesso. Attraverso la evocativa fluidità di quella stessa lingua napoletana, in cui il detto monologo si articola.

Un testo, insomma, che si legge e si “vede” allo stesso tempo. Un flusso di linguaggio in cui balenano lampi di folgorante teatralità. Come chiarisce anche, nella sua partecipe e pertinente introduzione, Mario Martone che di questo testo è stato l’ispiratore-committente, e dal quale ha tratto uno spettacolo bello e importante, cogliendone, appunto, quei lampi, folgoranti sì, ma anche struggenti, di puro, ineguagliabile teatro. (Antonio Tedesco)

L’opera.

Non so perché, a scriverla, Lacarmèn, mi sia venuta fuori una storia così: torbida e fluttuante.

Eh, sì, proprio fluttuante: tra verità e menzogna, stereotipi e guizzi di autenticità, passato remoto e passato prossimo, presente e senz’altro poco rassicurante futuro.

Una vicenda, poi, piena zeppa non tanto di cose o fatti realmente concreti, a guardar bene, ma piuttosto di ricordi – veri e finti – di deliri, visioni, allucinazioni, apparizioni di fantasmi, di oniriche creature.

Una storia, soprattutto, che prende a prestito un classico della letteratura e della musica: cioè il doppio capolavoro di Merimée/Bizet, Carmen.Prestito, che diventa pretesto, per buttar giù un ‘sommario di decomposizione’, avente per argomento il cosmo-Napoli. Dunque, ecco per me la causa, la motivazione a monte, il senso-spinta per scrivere Lacarmèn: la sua lingua, la lingua di Napoli e quella del mio testo; ma credo il ‘distinguo’ sia artificioso, dal momento che io-Napoli-scrittura siamo la stessa cosa, e lo dico senz’alcuna vanagloria o prurito auto-referenziale non alieno da folclore!

«Chesta lengua di pietre cadute e mare, che nessuno può toccare, né dissolvere, annullare. Pena, folgorazione immantinente ‘e chi ne avesse mai a toccarla l’ardimento!Lengua, che io, straniero, forestiero, per opera ‘e magia, o de pietà/grandezza ‘e Dio, senza volerlo, per istinto e per ragione, parlandola, cantandola – ‘a sentite? – ho fatto mia! »

                                                                                                                 Enzo Moscato

Stralcio dalla prefazione.

Quando ho pensato di dare vita con l’Orchestra di Piazza Vittorio a una Carmen napoletana,  secondo i modelli del teatro musicale popolare  che vanno da Raffaele Viviani alla sceneggiata, mi è apparso subito chiaro che si trattava di una felice occasione per tornare a lavorare con Enzo Moscato. Chi, se non lui, poteva scrivere il testo di uno spettacolo del genere? Gli chiedevo un copione in cui ci fossero dialoghi e personaggi ispirati alla tradizione, ma guardando alla novella di Mérimée oltre che all’opera di Bizet. Quel che mi ha sempre affascinato della novella è il fatto che la vicenda è tutta evocata: Mérimée immagina che Don Josè gliela racconti in prigione, la sera prima di morire impiccato. Enzo, accettando l’invito, ha colto al volo questo rapporto tra passato e presente e ha scritto un testo bellissimo e vastissimo, che ha intitolato Lacarmèn, in cui i tempi passati e presenti sono quelli della Napoli del dopoguerra (un tema assai caro a Moscato negli ultimi anni) e quelli del dopoterremoto degli anni ’80.

                                                                                                  Mario Martone

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