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Il Racconto, Abrasioni

di Giovanni Renella

Ora che passava buona parte del suo tempo in una pressoché totale inattività, le tornavano in mente, una ad una, tutte le volte in cui era stato richiesto il suo intervento risolutore.

Aveva vissuto un’esistenza caratterizzata da una grande disponibilità nei confronti degli altri: maschi e femmine, di qualunque età, credo o colore della pelle, prima o poi, tutti erano dovuti ricorrere ai suoi servigi.

Intimamente democratica, si era dimostrata sempre disponibile a rivedere e modificare un’opinione, un pensiero o un’idea espressa male; e grande, ogni volta, era la sua soddisfazione nel notare quanto riuscisse ad incidere sul risultato finale.

Ora che suo malgrado era a riposo, riaffioravano i ricordi più lontani e forse i più belli, di sicuro quelli che più la inorgoglivano.

Fra questi, ad uno era particolarmente legata, risalente a più di settant’anni fa.

Il secondo conflitto mondiale era finito da poco e anche in Italia qualcuno provava a rianimare quello spirito di comunità dissolto prima da una dittatura e poi da una guerra.

I padri costituenti erano alle prese con la posa di quella che sarebbe stata la pietra d’angolo su cui edificare il nuovo Paese, ma c’erano ancora delle sfumature sintattiche che non li trovavano d’accordo.

Qualcuno aveva ecceduto e bisognava rimodulare interi periodi, per non dare adito a fraintendimenti: i principi che le parole erano chiamate ad esprimere dovevano essere inequivocabili!

Così fu richiesto il suo intervento e lei si ritrovò proiettata sulle pagine della storia.

Dopo un’attenta lettura, con gesti rapidi e precisi, eliminò ogni indecisione che potesse dare adito a dubbi, cancellando le incertezze e sgombrando il campo da malintesi che avrebbero potuto generare interpretazioni arbitrarie.

Lavorò di cesello giorno e notte, senza risparmiarsi, fino a ridursi al lumicino.

Quando ebbe finito, restava solo un pallido ricordo di ciò che era stata e rischiava di finire nel cestino dei rifiuti.

Una mano pietosa e riconoscente conservò nella tasca quella gomma per cancellare l’inchiostro, con cui era stato corretto il manoscritto della Costituzione italiana.

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