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Il Racconto, Black Christmas

di Giovanni Renella

Questa è una storia di Natale un po’ triste, di quelle che non si possono raccontare ai bambini, e che affonda le radici nella notte dei tempi.

E anche questa, purtroppo, parte da un femminicidio impunito.

Tutto era cominciato a Napoli, quando ancora la superstizione, figlia dell’ignoranza, prevaleva sulla ragione.

La credenza popolare, infatti, l’aveva designata quale capro espiatorio, e come tale si preparava ad affrontare il sacrificio previsto per la notte della Vigilia.

A lei era stata addossata la colpa del misfatto e a lei sarebbe toccato il compito di rimediare all’imprudenza dei due amanti sconsiderati.

Aveva provato a difendersi proclamando la sua innocenza e la sua totale estraneità ai fatti.

Aveva portato, a sua discolpa, le pubblicazioni di illustri erpetologi, che dimostravano le diversità morfologiche sussistenti fra lei e il responsabile di quello scriteriato fattaccio: un diavolo tentatore che aveva agito sotto mentite spoglie.

Ma tutto si era rivelato vano: il popolo voleva la sua testa!

E così sarebbe stato in quella serata che, per tutti gli altri, era un momento di festa.

La poverina si rammaricava che a nulla sarebbe valso neanche il bel gesto del Signore che, per porre rimedio alla situazione, proprio in quella notte avrebbe addirittura mandato suo figlio sulla Terra, condannandolo a morte certa, pur di redimere l’umanità dal peccato.

Niente da fare, non volevano sentire ragioni.

Quei cocciuti dei napoletani la volevano morta; o meglio decapitata e tagliata a pezzi!

Per loro la femmina dell’anguilla, comunemente chiamata ‘o capitone, era il simbolo delle sembianze assunte da Satana per tentare Eva con il frutto proibito; e il mozzarle la testa equivaleva, né più né meno, ad esorcizzare il male.

Per questo, a Napoli, la sera della Vigilia, mangiare il capitone, immagine metaforica di “quel serpente tentatore”, si trasformava in un gesto scaramantico, che avrebbe tenuto lontano la jella fino al successivo Natale.

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