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Il Racconto, Gli asinelli di Allah

di Lucio Sandon

Il racconto Gli asinelli di Allah è tratto da un libro inedito dell’autore.

Per spostarsi da Herat a Bala Murghab, è necessario percorrere circa trecento chilometri di strada sterrata, la cosiddetta Lithium. Un nome che è tutto un programma: più che una sterrata infatti, è un deserto di pietre.

In teoria si tratta di nient’altro che trecento chilometri di strada poco agevole ma assolutamente priva di traffico.

Il tragitto si dovrebbe normalmente poter coprire in circa sei ore, ma i convogli militari italiani che compiono tale percorso, seguendo quell’infuocato nastro di sassi e polvere, attraversando un paesaggio che sembra essere poco meno alieno di quello lunare, ci impiegano invece normalmente cinque giorni.

Certo, cinque giorni per trecento chilometri. Ma solo se tutto va bene.

Funziona in questo modo: davanti al convoglio procedono gli specialisti sminatori: loro vanno a piedi, lentamente, e osservano con attenzione il percorso per individuare le tracce di eventuali ordigni artigianali.

IED, è un acronimo inglese, e sta per Improvised Explosive Device Ordigno Esplosivo Improvvisato. Può essere fatto da semplici involucri contenenti esplosivo e innescati da una molla, fino a sofisticati sistemi come pietre finte di plastica imbottite di tritolo, e fatte esplodere con una chiamata di cellulare.

Se i soldati a piedi non notano nulla di rilevante, avanzano i veicoli chiamati Maxxpro, che sono degli smisurati autocarri corazzati, i quali portano nella loro parte anteriore un marchingegno con dei pesanti rulli che servono a far esplodere eventuali mine immerse profondamente nella strada, e ricoperte dalla terra battuta.

Dopo che sono passati i Maxxpro, seguono i Buffalo.

I Buffalo sono dei veicoli provvisti di un lungo braccio meccanico che può prendere le bombe nascoste, anche da bordo della strada o sugli argini, disarticolarle e toglierle dal percorso della carovana: se pure qualche bomba dovesse scoppiare durante la manovra, al Buffalo gli farebbe il solletico.

Dietro i Buffalo, vengono i Cougar a sei ruote motrici, i corazzati che trasportano i reparti cinofili, con i cani addestrati a fiutare gli esplosivi e le apparecchiature elettroniche che fanno da detonatori.

Nella parte centrale del convoglio ci sono mezzi da trasporto per i civili, ai quali seguono i blindati Freccia e i cingolati Dardo, usati per proteggere le spalle del convoglio dagli attacchi dei talebani armati, anche se ormai, dopo i primi attentati, i terroristi locali non ci provano quasi più ad attaccare le truppe con il tricolore.

Quasi nessun italiano immagina che le forze armate del suo paese siano una delle più potenti e attrezzate del mondo: le valutazioni sono piuttosto discordanti, ma nessuna di esse pone il nostro esercito fuori dei primi sei o sette in assoluto, appena dopo la Gran Bretagna e certamente prima di stati che sembrano all’apparenza molto più bellicosi dell’Italia.

L’Italia tra l’altro è uno dei primi Paesi produttori di armi: la classifica mondiale la vede al nono posto per quantità di armi esportate. Quasi il tre per cento delle armi di tutto il mondo.

Il segreto sta nel “sembrare” buoni, avere un basso profilo.

Evitare di esporsi troppo.

Anche il servizio sanitario italiano è uno dei migliori, e il giovane medico di questo ne era consapevole ed orgoglioso, mentre procedeva scomodamente seduto sui duri strapuntini del mezzo blindato, che procedeva a passo d’uomo, nei quarantadue gradi del deserto Afghano.

Il dottor Paolo Aquilani non viaggiava certo per suo diletto nel deserto dell’Afghanistan. Insieme a lui, si arrostiva al sole del medio oriente, tutta l’attrezzatura necessaria ad organizzare un ospedale pediatrico.

E non era nemmeno solo, il figlio dell’ispettore Angelo Aquilani.

Namir il Leopardo, immobile sulla strada che attraversava il deserto, osservava il convoglio militare transitare lentamente davanti alla sua impolverata motocicletta cecoslovacca più vecchia di lui, e rappezzata con il filo di ferro.

Un sorriso crudele gli attraversava il viso bruno, nascosto sotto il velo candido.

Presto, amici italiani, pensava.

Presto la vendetta divina vi incenerirà.

I due asinelli si chiamavano Zeina e Abdel. Erano due somarelli normali, di quelli piccoli, tranquilli e con il musetto bianco.

Secondo un’antica fiaba araba, l’asinello è il più buono e paziente fra tutti gli animali. Quando viene portato al pascolo non si ribella se i bambini crudeli lo bastonano, gli tirano le pietre per gioco, o gli salgono in groppa cinque o sei alla volta e lo fanno correre a perdifiato.

L’asino, docile e remissivo, li lascia fare senza opporsi e sopporta sempre, senza mai tentare di ribellarsi.

Narra la leggenda che un bel giorno, alcuni angeli si rivolsero al Signore dei Mondi e gli dissero:

«Signore, osserva l’asino: è l’immagine della pazienza e della resistenza. Non pensi che anche lui avrebbe diritto ad entrare in Paradiso?»

Allah diede subito ragione ai suoi angeli, e senza esitare ordinò che l’asino venisse immediatamente condotto in paradiso.

Gli angeli allora volarono dall’asino per cantargli la buona notizia, prenderlo e accompagnarlo all’ingresso del paradiso, e l’asino andò tranquillamente con loro.

Però appena arrivati davanti alla grande e lucente porta del regno dei cieli, quando il bravo animale sporse il muso verso l’interno come per entrare, immediatamente si irrigidì, e non ci fu più verso di farlo proseguire.

Gli angeli non capivano, non si spiegavano cosa succedesse nella testa della povera bestiola dalle lunghe orecchie.

Provarono e riprovarono, prima delicatamente poi con forza a spingere la bestia al di là della porta, ma niente, l’animale aveva puntato le quattro zampe e nessuno riuscì a convincerlo ad entrare in quel luogo di delizie.

L’asino appena arrivato aveva messo dentro alla porta del paradiso solo il muso e dato un’occhiata all’interno, e subito si era bloccato, come paralizzato, mettendo poi in atto tutta la sua proverbiale testardaggine.

Non passò molto tempo che gli angeli capirono il motivo di tanta paura: a spaventare l’asino tanto da non farlo proseguire, era stato il gran numero di bambini che l’animale aveva visto sporgendosi dall’ingresso del regno dei cieli.

Enorme era il terrore che l’asino aveva dei bambini: aveva subito troppi maltrattamenti da loro, e ora non voleva più vederli.

Gli angeli così dovettero rinunciare a far entrare l’asino fra i prediletti del paradiso, e lo riaccompagnarono al suo pascolo.

Quando il mite animale tornò sulla terra però, tutti si accorsero del cambiamento che era avvenuto nel suo aspetto: l’asinello non era entrato con tutto il corpo in Paradiso ma ci aveva infilato a malapena il muso.

Solo quella parte del suo corpo era stata illuminata dalla folgorante luce divina, ed era diventata bianca come la neve.

L’asino ora aveva il muso bianco, e fu così che da allora tutti gli asini nacquero con quella caratteristica.

Zeina e Abdel erano i più pazienti tra tutti gli asinelli dell’Afghanistan e non ebbero alcuna difficoltà nel farsi bardare e nel farsi caricare sulle loro robuste schiene il pesante carico destinato all’ospedale italiano di Bala Murghab.

Il piccolo Hannibal non aveva mai maltrattato i suoi asinelli, e nemmeno aveva intenzione di comportarsi crudelmente verso Zeina e Abdel, anzi voleva loro un gran bene e non mancava mai di portar loro qualche fascio di erba fresca raccolta appositamente lungo l’argine del fiume.

Namir guardava da lontano il bambino e i due asinelli.

Rivolse una silenziosa preghiera di ringraziamento a chi gli aveva suggerito l’idea, e gli aveva spiegato cosa fare.

La signora che gli sussurrava nella notte non diceva mai sciocchezze.

 

Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio. Appassionato di botanica, dipinge,  produce olio d’oliva e vino, per uso famigliare. Il suo ultimo romanzo è “La Macchina Anatomica”, un thriller ambientato a Portici. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal romanzo “Cuore di ragno”, in prossima uscita, ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto Cuori sui generis” 2019.

 

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