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Il Racconto, Il pestaggio

di Giovanni Renella

L’ultimo colpo ricevuto lo aveva stordito facendogli quasi perdere i sensi.

Mentre mani pietose lo portavano fuori, sostenendolo sottobraccio, ancora non riusciva a farsi una ragione dell’isteria collettiva che aveva caratterizzato il trascorrere di quelle ultime ore.

Non era sicuro che ce l’avessero con lui, motivo per cui continuava a chiedersi perché quegli uomini lo avessero colpito.

Aveva provato a decifrare gli incitamenti di quella folla urlante, sperando che potessero essergli d’aiuto per comprendere cosa stesse accadendo, ma lo sforzo si era rivelato vano.

A ben guardarlo, chi ora lo stava conducendo al riparo gli sembrava la stessa persona che in precedenza non lo aveva perso d’occhio neanche per un minuto.

Tutto era cominciato per gioco, ma gli era bastato poco per capire che erano tutti d’accordo a metterlo in mezzo.

Avevano cominciato con qualche colpetto leggero, così, tanto per farci la bocca.

Lo avevano portato un po’ in giro, spingendolo da un punto all’altro, ma preoccupandosi sempre di colpirlo con forza e precisione.

Apparentemente non lasciavano segni visibili, ma, non nascondendo di volersi far gioco di lui, nondimeno ne segnavano l’anima.

Ci andavano giù pesante, con vere e proprie mazzate che lo scaraventavano da un estremo all’altro, incuranti della sua sofferenza, fisica e morale.

Lo colpivano con calci, ginocchiate, testate, che a volte erano delle vere e proprie incornate, cui seguivano schiaffi o pugni.

Non ce ne era uno cui avesse mai torto un capello, né fatto il benché minimo sgarbo; eppure si accanivano tutti a dargliele di santa ragione, spesso vibrando precise legnate con grande maestria.

Leggeva nei loro occhi la delusione, se lo mandavano a sbattere contro quelle travi di legno che gli giungevano addosso all’improvviso; ma sapeva anche che ci avrebbero riprovato di lì a poco, continuando, con accresciuta rabbia, a prenderlo a calci.

Intanto le urla continuavano a fare da colonna sonora alla sua agonia, mentre i fischi scandivano i tempi del supplizio.

Intontito, ma ancora lucido, aveva notato che erano proprio quei fischi, che avvertiva distintamente anche in quel frastuono, a dettare il ritmo delle percosse che riceveva: immediatamente dopo ogni sibilo, arrivava un colpo ben assestato, che lo scaraventava a metri di distanza.

Gli ultimi tre fischi, in rapida successione, decretarono la conclusione della partita e misero fine al pestaggio del pallone, che fu riconsegnato all’arbitro.

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