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Il Racconto, Il picchiatore

Un metodo quasi scientifico, provato e riprovato più volte: il picchiatore ci andava giù pesante, ribattendo gli attacchi colpo su colpo …

di Giovanni Renella

Questa volta c’era andato giù pesante, forse più del solito, e un po’ gli dispiaceva.

Non c’era nulla di personale, eppure quel povero cristo avrebbe pagato cara la conseguenza della sconfitta.

Da un po’ di tempo alcune di quelle vittorie avevano un gusto amaro.

Non che non fosse abituato a colpire duro, ma ora aveva la sensazione che le ferite procurate avrebbero lasciato cicatrici indelebili sulla pelle dell’avversario.

Del resto l’avevano scelto proprio per quella sua spiccata vocazione a picchiare con forza, senza risparmiare colpi bassi.

Gli veniva naturale travolgere gli incauti che provavano a sottrarsi all’obbligo di pagare ciò che dovevano, e si fermava solo quando l’avversario capitolava, non sapendo più come opporsi.

Picchiava con un metodo quasi scientifico, provato e riprovato più volte.

Innanzitutto inquadrava l’ambito in cui il malcapitato aveva scelto di fronteggiarlo, valutando con attenzione la barocca strategia cui questi aveva fatto ricorso.

Confidando più nella forma che nella sostanza, chi gli si opponeva era solito muoversi con la leziosità di un pugile avvezzo a far scena, che il più delle volte finiva con l’essere poco incisivo.

A quel punto per lui era facile far breccia nella difesa dell’avversario e sferrare l’uno – due che l’avrebbe mandato al tappeto.

In anni di pratica sul campo aveva appreso che bisognava picchiare duro sin da subito, senza fronzoli o sterili tecnicismi: l’importante era essere diretto.

Quanto più l’altro girava intorno, tanto più lui andava immediatamente al sodo.

Non guardava mai con antipatia i rappresentanti dei suoi avversari, perché sapeva che il ricorso a quella pantomima serviva a giustificare il costo del loro ingaggio: l’unica cosa che gli invidiava!

Per lui, invece, quei match rientravano fra le mansioni del ruolo che rivestiva e non era previsto alcun premio per la vittoria o gettone di presenza per la partecipazione: poco mancava che dovesse anche ringraziare perché glielo lasciassero fare!

Ma trent’anni prima aveva deciso da che parte stare e non aveva ancora cambiato idea.

Aveva imparato che, per ribattere gli attacchi colpo su colpo, doveva stare sempre sul pezzo, ricorrendo ad un continuo esercizio per rendere più fluido il costrutto del suo fraseggio.

Con la pratica aveva capito quanto fosse necessario evitare le perifrasi e andare subito al dunque.

Gli arbitri delle contese cui partecipava non gradivano il ricorso alle circonlocuzioni, a meno che non fossero loro ad usarle per rendere ridondante il verdetto da emettere; salvo poi adagiarsi sulle argomentazioni più comode o funzionali, dell’una o dell’altra parte, pur di non perdere tempo nella stesura della sentenza.

Udienza dopo udienza, si trascinava così la vita di quel funzionario statale avvezzo a colpire duro chi cercava di evadere le tasse.

 

Giovanni Renella, nato a Napoli nel ‘63, vive a Portici. Agli inizi degli anni ’90 ha lavorato come giornalista per i servizi radiofonici esteri della RAI. Ha pubblicato una prima raccolta di short stories, intitolata  “Don Terzino e altri racconti” (Graus ed. 2017), con cui ha vinto il premio internazionale di letteratura “Enrico Bonino” (2017), ha ricevuto una menzione speciale al premio “Scriviamo insieme” (2017) ed è stato fra i finalisti del premio “Giovane Holden” (2017). Nel 2017 con il racconto “Bellezza d’antan” ha vinto il premio “A… Bi… Ci… Zeta” e nel 2018 è stato fra i finalisti della prima edizione del Premio Letterario Cavea con il racconto “Sovrapposizioni”. Altri suoi racconti sono stati inseriti nelle antologie “Sette son le note” (Alcheringa ed. 2018) e “Ti racconto una favola” (Kimerik ed. 2018). Nel 2019 ha pubblicato la raccolta di racconti “Punti di vista”, Giovane Holden Edizioni. Il libro ha meritato il Premio Speciale della Giuria al Premio Letterario Internazionale Città di Latina.

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