Culturaracconti

Il Racconto, Splendide sembianze

di Giovanni Renella

Gli era stato affidato il compito di rappresentare il lavoro, “valore e diritto essenziale di ogni società”, e lui lo aveva svolto con un’abnegazione senza pari per più di quarant’anni.

Prima di allora la sua non era certo stata una bella esistenza.

Ripudiato alla nascita dalla madre per il suo brutto aspetto, era stato accolto ed allevato da due caritatevoli donne.

Sin da piccolo aveva manifestato una particolare attitudine nel forgiare i metalli e ben presto aveva cominciato a creare preziosi gioielli, donandoli a chi si era preso cura di lui.

Giunto in età adulta, riuscì a sposarsi, grazie ad un matrimonio combinato, con una bellissima donna, che però non perse occasione per tradirlo sistematicamente.

Stanco dei continui sbeffeggiamenti per il suo aspetto fisico e per l’infedeltà della consorte, si ritirò a vivere da eremita.

Per cui, quando nel 1954, lo scultore Giuseppe Romagnoli gli propose di posare nudo per lui, garantendogli che lo avrebbe raffigurato come uno splendido dio greco, non gli parve vero ed accettò.

Fu ritratto nel gesto di forgiare una lama d’aratro, per esaltare il lavoro industriale, emblema, in quegli anni del dopoguerra, di pace e prosperità.

Divenne, così, l’immagine dell’uomo artefice, che forgia il futuro con le proprie mani, il simbolo di un popolo impegnato a costruire, con energia e dignità, una grande nazione.

Durante il corso della sua esistenza non dette, però, gran peso al significato morale che gli era stato affidato, ma si compiacque solo delle splendide sembianze con cui era stato ritratto: finalmente era bello e nessuno poteva più deriderlo per le sue deformità!

E quanto gli piaceva che la sua nudità fosse riprodotta, di anno in anno, in milioni di esemplari.

Né se ne fece un cruccio quando, per risparmiare sui costi di produzione, nel 1990 le sue dimensioni furono ridotte.

Fu così che il dio Vulcano, nudo e ritratto di spalle, restò fino al 2001, anno in cui la Zecca di Stato cessò di coniare la gloriosa moneta da cinquanta lire, che sul retro riproduceva quelle fattezze che avrebbe sempre desiderato avere.

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