Culturaracconti

Il Racconto, Vil denaro

di Lucio Sandon

Il convento di Santa Maria degli Angeli alle Croci fu costruito ai piedi della reggia di Capodimonte in puro stile barocco intorno al 1580 come luogo di culto francescano, ma a causa di alterne vicende, dopo un paio di secoli venne destinato da Ferdinando IV di Borbone a diventare sede della scuola di veterinaria, dove gli ufficiali di carriera potevano imparare a curare i cavalli dell’esercito.

I terreni del convento si incontravano con quelli della reggia di Capodimonte, che scendevano giù dal bosco per la discesa del Moiariello, passando per l’osservatorio astronomico e inglobando il Real Orto Botanico, mentre i pascoli per i cavalli si estendevano quasi fino all’Albergo dei Poveri.

Praticamente un ospizio, ancor oggi uno dei più grandi edifici del mondo, più conosciuto come ‘o Serraglio dal popolo napoletano.

Il giovanotto appena laureato si attardava a osservare gli affreschi che impreziosiscono i porticati della certosa che costituiva il cortile interno della facoltà, dipinti da Belisario Corenzio, l’architetto e pittore bergamasco che  aveva decorato anche il palazzo della regina Giovanna a Portici.

Sognava ad occhi aperti le colline e le praterie della Nuova Zelanda, dove le mucche e le pecore pascolavano libere in prati verde smeraldo, le città erano composte di ville con piscina, e i veterinari erano una merce rara e preziosa. In quel momento una mano sulla spalla lo strappò bruscamente dalle sue fantasie: «Dottore! nel mio ufficio e subito!»

Il professore, bassino e atticciato, era il terrore della facoltà. I suoi esami erano tra i più temuti, ma in fondo era un brav’uomo e poi aveva preso a benvolere quel volenteroso studente che aveva dato prova, durante la compilazione della tesi, di essere in grado di tradurre testi dal francese e dall’inglese e che lui aveva elevato quasi al rango di assistente portandolo a far parte della commissione d’esame già qualche mese prima della laurea. La voce del docente era in grado di esprimere tutte le gradazioni del disappunto con tre parole e un aggrottare di sopracciglia, in tal modo il dottor Gardenia si rese conto che la mattinata aveva già preso una brutta piega. Mentre trotterellava mogio verso l’istituto pensava fra sé e sé a quale danno poteva aver causato con la sua distrazione patologica: magari aveva messo le provette nel frigo invece che nell’incubatore o aveva buttato nell’inceneritore una coltura preziosa. « Mah, sono cavoli miei, oggi.» pensava abbattuto, mentre si presentava davanti all’imponente porta dell’ufficio del docente.

«Vieni, vieni dentro caro. Ma cosa mi combini? Sono venuto a sapere che tutti i pomeriggi lavori in un ambulatorio dove si curano cani e gatti!»

«In effetti…Non credevo ci fosse nulla di male, è un lavoro onesto.»

«Ma cosa ti salta in mente? Sei impazzito?»

«Ma veramente…»

«Un assistente del mio istituto scientifico che cura i cani! Mai si è sentita un’eresia del genere!»

Il tono di voce del docente assumeva una gradazione vicina a quella del punto di fusione dell’acciaio, e anche il suo collo ne aveva assunto il medesimo colore rosso cupo.

«Scusi tanto professore, non credevo…» Il sussurro del dottor Gardenia andava spegnendosi, come la vita del malcapitato.

Con tono più calmo il luminare sorse dalla monumentale scrivania, si avvicinò al discepolo e chiese: «Qual è il problema mio caro, come mai mi ti rendi colpevole di queste nefandezze? E poi, dovevi dirmelo tu direttamente, non farmi arrivare la voce da chissà chi!»

Chissà chi. Il dottor Gardenia lo sapeva benissimo.

«Mi perdoni professore, non immaginavo che fosse una cosa grave, sa avrei il problema di mantenermi e pagare la benzina per venire in facoltà… Non voglio più pesare sulle spalle di mio padre, lui ha già fatto tanti sacrifici per me!»

«Quindi il tuo cruccio è solo il vile denaro. Embè, potevi dirmelo subito: ci penso io ai miei assistenti! Ecco tieni qui: quando ti servono soldi è a me che devi chiederli, non svilirti a fare vaccinazioni ai gatti!»

Il luminare infilò la mano destra nella tasca dei pantaloni, e dopo un breve rovistare estrasse un grosso rotolo di banconote che sbatté nella mano penzoloni dell’attonito collaboratore, chiudendo poi il pugno collassato dell’allievo con l’altra sua mano, quasi a suggellare un patto eterno, dopodiché il professore si girò e sedette dietro la scrivania ingombra di libri e dossier.

«Accomodati, ti vedo pallido, devo parlarti.»

Incredulo, il ragazzo si sedette in punta di sedia davanti allo scienziato, il quale gli stava già parlando di una borsa di studio presso il prestigioso Istituto Pasteur di Lille in Francia, e mentre parlava consultava febbrilmente una grossa agenda.

«Et voilà, trovato.» Compitò faticosamente sul disco del telefono un lungo numero, quindi si lanciò in una esilarante conversazione in francese maccheronico con il dirigente dell’istituto di Lille, magnificando oltremodo i meriti dell’assistente che avrebbe colà spedito, assistente che nel frangente era sia occupato a reprimere il ghigno divertito che gli ispirava la conversazione del suo mentore, che a tentare contemporaneamente di contare i soldi che aveva in tasca usando le punte delle dita, in quanto un dubbio atroce cominciava ad attanagliargli lo stomaco.

«Ok allora, siamo d’accordo: parti il mese prossimo. Per le spese provvedo io, tu integri un pochino con fondi tuoi, e quando torni ti faccio avere una bella borsa di studio così recuperi tutto. Ciao caro, ora ho da fare.»

Uscendo a ritroso e inchinandosi più volte, il dottor Gardenia chiuse dolcemente la porta, e non potendo trattenersi oltre, cacciò la mano in tasca e cominciò a contare il malloppo, quando una voce alle spalle lo fece trasalire: «L’ha fatto anche con te!»

L’assistente ufficiale, il maledetto delatore, ghignava divertito picchiettando l’indice sullo stomaco di quello in pectore: «Guarda bene, ci sono due banconote da cinquantamila lire, tre o quattro da diecimila, ma le altre sono tutte mille lire. Eh, “Lui” non vuole che si lavori negli ambulatori, ma qui di soldi… se ne vedono pochini!» E sottolineò il concetto scuotendo la mano con l’indice e il pollice tesi a forma di pistola.

Frastornato, inquieto, dubbioso e deluso, il dottor Gardenia decise di tornare a casa, dato che si era fatta ormai una certa ora. Sua madre, immemore dei decenni trascorsi in Campania, cucinava solo piatti tipici della tradizione veneta, così il sentore polenta e baccalà riempiva l’aria del circondario e rinfocolava la fame atavica del giovanotto.

«È pronto, vieni a mangiare… Ah, ha telefonato il presidente dell’ordine dei veterinari, lì c’è il numero, dice che vuole essere richiamato al più presto.

L’ansia gli formò istantaneamente un groppo in gola, e l’appetito sparì in un batter d’ali.

«Ecco, ora che ho fatto, pure il presidente ci voleva. Vuoi vedere che è vietato visitare i cani e fare l’assistente all’università!» Nonostante l’apprensione però, prese con cautela il foglietto sul tavolo, compose  il numero e chiese del presidente, presentandosi con nome e cognome.

Dopo qualche momento il vocione dell’anziano collega gli rimbombò nell’orecchio.

«Carissimo come stai? Si erano in verità visti solo una sola volta e l’altro non gli aveva nemmeno dato la mano. «Sei sempre impegnato con l’egregio professore o hai la possibilità di aiutarmi?»

A quell’epoca i medici degli animali erano talmente pochi che si conoscevano tutti personalmente, ma il dottor Gardenia non immaginava che il presidente avesse qualcosa da chiedere proprio a lui, invece…

«Ci sarebbe una sostituzione da fare ad un collega che ha la condotta di un paese del vesuviano e da anni non trova nessuno che possa sostituirlo per poter andare in ferie. E poi sai com’è, una cosa tira l’altra, per lui la pensione è vicina e potresti trovarti a prendere il suo posto per sempre… Che ne dici? Guarda che non devi rispondermi subito: pensaci sopra e telefonami tra mezz’ora.»

Ci pensò dieci minuti, Lille era una bella città, il lavoro si prospettava interessante, ma di chiedere i soldi al padre per stare fuori un paio d’anni non se ne parlava proprio, e poi stava cominciando a frequentare una bella brunetta…

«Attraversai il Sarno al ponte de La Scafata, proprio vicino al luogo dove il re dei Goti, fu sconfitto e ucciso, nel 553, dal generale Narsete. La località è oggi conosciutissima per la sua chiesa, dedicata a una Madonna che compie i suoi miracoli nell’acqua: nel giorno della sua solennità viene scavato nei campi adiacenti uno stagno che si riempie quasi istantaneamente di acqua, e migliaia di devoti fanno il bagno per curare varie malattie

Questo scriveva della ridente cittadina, l’inglese Henry Swinburne, nel suo libro di viaggio nelle due Sicilie. Ora il paese è sede di innumerevoli fabbriche che inscatolano pomodori pelati per le maggiori industrie italiane. Il mattatoio era nascosto in mezzo ad un bosco di frassini e costruito sulla riva del fiume, per poter effettuare una più agevole pulizia dei locali e per potervi facilmente sversare i residui delle lavorazioni.

L’anziano collega era impaziente di andare in villeggiatura e quindi il colloquio con il neolaureato fu brevissimo: «Sei fresco di studi, quindi sai tutto sulla macellazione, le leggi, i rapporti con il personale e con il sindaco, i cani randagi e tutto il resto…Che te lo dico a fare? Il comune ti paga su emissione di fattura, ci vediamo tra un po’ di mesi, dunque se hai qualche dubbio chiedi a Pippuccio il custode del mattatoio, lui sa tutto e non rompere i maroni a me, che tanto al mare non ho il telefono.»

Addio.

Il giorno dopo, di buon mattino il dottor Gardenia raggiunse il mattatoio, che da lontano aveva l’aspetto di uno stabilimento bombardato, ma da vicino non aveva le stesse comodità, e chiese lumi al custode riguardo le attività da svolgere.

«Egregio dottore, la prassi prevede l’arrivo del direttore alle ore otto, alle otto e mezza c’è la cerimonia del caffè alla presenza delle maestranze, seguita dalla timbratura dei capi di bestiame già macellati e sezionati, poi verso le nove c’è l’uscita per il controllo delle macellerie cittadine con sosta al municipio per il controllo del buon andamento del pagamento degli stipendi del personale, seguita da un meritato riposo nel bar in piazza con aperitivo in compagnia del sindaco e delle autorità, seguito dal controllo delle pescherie cittadine con prelievo di pesci e frutti di mare da sottoporre al controllo delle qualità sanitarie ed organolettiche. Alle dodici e trenta leggero spuntino presso l’ufficio, in compagnia degli impiegati, seguiti da quattro passi per il controllo del canile municipale con annesso inceneritore, poi fine del servizio previa cerimonia del caffè alla presenza del personale al completo: lei dottore non si preoccupi di nulla, pensiamo a tutto noi, si limiti a firmare i documenti ufficiali.»

Tutti quei controlli gli diedero il capogiro, e i documenti ufficiali gli fecero venire una febbre da cavallo repentina.

Il giorno dopo però, la vita rilassata dell’ufficio veterinario subì un brusco scossone. Il novello sostituto cominciò con il presentarsi alle cinque di mattina per visitare i bovini vivi e seguirne tutte le fasi della macellazione, con disperazione degli operatori e dei macellai abituati ad agire di testa loro, e ad eliminare le visite esterne non necessarie che privavano gli impiegati della fornitura gratuita di carne e pesce, oltre che limitare fortemente le pause per caffè, spuntini, aperitivi e passeggiate di salute.

Dopo qualche settimana il seme della rivolta cominciava a germogliare in quella che era sempre stata un’oasi dallo stress lavorativo, quando il destino volle metterci una pezza e far tornare la pace tra quelle scrostate mura… Un caldo mattino d’estate, alla guida della sua centoventisette rosso corallo prossima al decesso, che ansimava faticosamente verso il macello, il condotto sostituto vide che nel piazzale di fronte alla fatiscente costruzione si era radunata una folla enorme che il custode Pippuccio stentava a trattenere. Cosa strana, tutti i manifestanti erano provvisti di cani al guinzaglio e tutti gli esemplari erano di razze da caccia, e all’arrivo del giovane veterinario si lanciarono all’assalto della vecchia utilitaria.

«Ohhh…Ma che vuole ‘sta gente, Pippuccio?»

«Dicono che domani si apre la stagione di caccia, e le autorità hanno decretato che tutti i cani devono essere vaccinati contro la rabbia, una cosa mai vista: il suo collega doveva andare in giro per le campagne a pregarli, ora hanno tutti il pepe al culo!»

A quei tempi i vaccini antirabbici venivano forniti gratuitamente ai veterinari in grosse confezioni multidose da mezzo litro, ed il novello professionista ne aveva notato parecchi flaconi nel frigorifero dell’ufficio, desolatamente abbandonati. Dopo una breve telefonata al sindaco, che diede l’assenso per motivi di ordine pubblico, venne organizzata una postazione di vaccinazione rapida nel cortile del mattatoio.

Sotto un grosso ombrellone da spiaggia venne sistemato un traballante tavolino dove un affannato impiegato compilava i certificati antirabbici con i dati declamati a voce alta dagli astanti, mentre Pippuccio si faceva garante per diretta conoscenza dei cacciatori tutti rigorosamente privi dei documenti. Intanto il giovane veterinario effettuava la vaccinazione, sordo alle richieste di soprassedere all’iniezione lamentate ad alta voce da molti dei cacciatori, che paventavano la perdita del fiuto dei loro beniamini a causa del vaccino, il quale veniva conservato in un secchio pieno di ghiaccio a guisa di una bottiglia di champagne. Un altro solerte impiegato provvedeva a raccogliere i denari per la prestazione, stabiliti pubblicamente per acclamazione popolare nella somma di cinquemila lire. Le banconote, per semplicità e trasparenza venivano accumulate in un secchio metallico sotto l’occhio vigile del vigile urbano di servizio. La fila di cacciatori e cani non si esaurì che a tarda sera: i flaconi vuoti di vaccino giacevano abbandonati in un cartone, mentre il secchio di contanti era stato riempito e svuotato diverse volte in un capiente contenitore, non prima che le banconote fossero state lisciate, contate, pressate e ridotte in mazzette regolari dal ragioniere dell’ufficio.

Quando l’ultimo ritardatario ebbe abbandonato il polveroso cortile ora costellato di escrementi, gli stanchi ma soddisfatti compari si spartirono il malloppo: gli impiegati posero in atto un maldestro tentativo di rifiutare compensi, ma il dottor Gardenia con una breve insistenza li convinse a capitolare e accettare una somma corrispondente all’incirca a una settimana del lavoro di ciascuno di essi, poi lasciò un fondo spese per l’ufficio e infine destinò una cifra sufficiente per un banchetto luculliano alla trattoria lì vicino. Il resto se lo mise in tasca soddisfatto, dimentico del professore e della città di Lille.

Le tensioni lavorative vennero messe da parte per sempre.

 

Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio. Appassionato di botanica, dipinge,  produce olio d’oliva e vino, per uso famigliare. Il suo ultimo romanzo è La Macchina Anatomica, un thriller ambientato a Portici. Ha già pubblicato il romanzo Il Trentottesimo Elefante; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: Animal Garden e Vesuvio Felix, e una raccolta di racconti comici: Il Libro del Bestiario.

 

 

 

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