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Il racconto, Villa Inglese

di Lucio Sandon

Quando Lord William Douglas Hamilton venne nominato ambasciatore  della Corona Inglese presso la corte Borbonica di Napoli, gli fu assegnato dal ministero degli esteri britannico un bel palazzetto istituzionale nel centro di Napoli con tutte le comodità, lui però preferiva vivere nella provincia vesuviana.

Il diplomatico, collezionista di opere d’arte e di reperti archeologici, per quanto fosse versatile sia nel canto, con cui si dilettava in duetti con lo stesso sovrano, che nelle scienze naturali, aveva alcuni gravi difetti, tra cui quello di essere un gran cornuto, ma quello non era tanto causa sua ma più che altro della sua signora, Emma Lyon, di ventisei anni, che lui aveva sposato dopo averne compiuto sessanta,  prelevandola direttamente da un bordello di Londra.

La giovane donna amoreggiava   tranquillamente con l’ammiraglio Nelson sotto gli occhi compiaciuti dell’ambasciatore, cosa nota nell’ambiente, tanto che Alexandre Dumas ne trasse l’ispirazione per il suo libro Le confessioni di una favorita.

Altri difettucci dell’emissario britannico, consistevano nell’eccessiva parsimonia e nella propensione alla millanteria. All’epoca, le case di lusso a Portici costavano molto care, essendo  di moda presso i nobili possedere una villa nelle vicinanze della reggia del Granatello, località allora molto chic, così  lui acquistò una grande dimora molto lontano dai luoghi più ricercati: all’estrema periferia di Torre del Greco dove i prezzi erano  meno salati.

Di questa villa parlava però agli amici in patria come della “Sweet House of Portici”, casa in cui durante le lunghe assenze della moglie dimorava  la bella pittrice svizzera Angelica  Kauffman  per cui la villa con panorama su Capri e sul Vesuvio, immersa nei giardini e vigneti, restò nella storia come “Villa Angelica”.

Con la fine del regno Borbonico e la partenza dell’eclettico ambasciatore, che si esprimeva con piacere in napoletano fluente,  della dimora si sono quasi perse le tracce lasciando però nella fantasia popolare una precisa indicazione geografica, infatti ancora oggi la zona che si stende tra Torre del Greco e Torre Annunziata verso il mare, viene chiamata “Villa Inglese”.

«Dottò, cortesemente… Dovreste venire a casa mia a villa inglese, la capretta non si sente bene, miagola e non mangia!»

«Va bene, le mando Alessandra, la mia collaboratrice, lei è molto più pratica di me con i ruminanti domestici, poi è ferrata nelle lingue straniere.»

«No, dottò non avete capito. La mia capra non è un ruminante, non so come devo spiegarvi. È come una pecora, però ha le corna, ma è domestica, non attacca! E poi dottò, questo è un lavoro da uomini, fatemi il piacere non mi mandate la signorina! Dottò, se venite voi, vi regalo una cassa di vino di Gragnano, e poi vi faccio anche conoscere la mia vicina, che sta qui da poco e vuole far visitare il suo cane… Dottò, la mia vicina è quella che esce per televisione, quella straniera, avete capito chi?»

Capito, e al volo: quella bellezza giunonica lui la vedeva spesso passare nei pressi del suo studio, e non vedeva l’ora di conoscerla da vicino.

Villa Inglese ha l’aspetto di un paesaggio lunare: da un lato della strada che serpeggia tra le ginestre, si intravedono vigneti di lacryma christi e siepi di fichi d’india, dall’altro vi sono degli immensi crateri scavati dall’uomo per cavarne materiale da costruzione, occupati da cataste di veicoli rottamati e discariche comunali. Altri crateri sono stati lasciati da antiche eruzioni di bocche secondarie del Vesuvio.

Laggiù in fondo, una torre di guardia sorveglia ancora gli sbarchi dei  pirati saraceni, mentre un poco più in là i bambini giocano sulle spiagge e nelle piscine sul bordo del mare. Le case sono più che altro delle masserie, ma vi sono anche delle ville di lusso.

Proprio in una di esse abitava la bella soubrette, dove il veterinario venne accompagnato dal capraio, dopo che il medico gli ebbe prescritta la terapia per la sua bestiola. Fatte le presentazioni,  il contadino lasciò soli ballerina e dottore, non senza aver dato un amichevole spintone a quest’ultimo, quasi ad incitarlo a compiere delle avances: purtroppo però lui era  perdutamente affascinato dalle labbra e dalle forme sinuose della giovane attrice, e non riusciva a spiccicare una parola, perché il cuore minacciava di salirgli in gola.

«Va bene qui per visitare il cane, dottore?» La voce della ragazza era bella come tutto il resto, il veterinario invece non riusciva ad usare la sua e fece sì con la testa.

«Le dispiace attendere due minuti così mi metto più comoda e l’aiuto a visitare Tommy…Si metta pure comodo, gradisce un limoncello?»

Altro scuotimento di testa, ci mancava solo il liquore, già gli girava tutto.

La prorompente bruna si allontanò ancheggiando e dando un ulteriore picconata alle coronarie del giovane medico, che si sedette all’ombra boccheggiando per il caldo e per l’emozione, senza sapere che il destino stava per colpirlo alle spalle: la donna, entrata in casa, si era diretta velocemente verso la sua camera da letto, che aveva la finestra spalancata per il caldo aperta sul patio, e  forse inconsapevolmente o forse anche no, si liberò con un movimento sinuoso dell’abito sfilandolo dalla testa, dando modo all’attonito veterinario di ammirarla in tutta la sua scultorea bellezza. La donna prese poi una maglietta dal cassetto, e solo in quel momento parve accorgersi dell’uomo che aveva assistito allo striptease estemporaneo e gli elargì un sorriso malizioso.

Lui già immaginava una conclusione trionfale della visita al bastardino che gli scodinzolava intorno estasiato dall’odore delle sue scarpe, quando si udì un rombo potente ed uno sbattere di cancelli, dopodiché nel giro di un minuto si presentarono nel patio la bella showgirl rivestita in modo più che decente, sottobraccio al fidanzato, brutto come la peste, ma di fisico robustissimo e di aspetto violento.

«Scusi il ritardo dottore, le presento il mio compagno… Allora il piccolo Tommy è già qualche giorno che non si sente bene…»

Il ritorno verso lo studio fu triste e sconsolato, le forme della giovane showgirl gli balenavano ancora nella mente, il suo profumo speziato gli stuzzicava ancora le narici, e la delusione gli bruciava nel petto. Arrivato all’ambulatorio fu apostrofato da Alessandra, non senza una punta di ironia.

«Com’è andata la visita? Tutto bene la capretta?»

«La capretta sta benissimo, era solo una piccola ferita alla zampa.»

«E il figlio prediletto di Greta Garbo?»

«Niente di che, un’indigestione. Ho dovuto spiegare alla padrona che non deve dargli la parmigiana di melanzane e gli spaghetti con vongole. Non morirà»

«E tu? La bellezza non è caduta preda del tuo fascino?»

«Lascia perdere dai, che non è giornata.»

E se ne andò a casa, a smaltire la rabbia con una doccia fredda.

Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio. Appassionato di botanica, dipinge,  produce olio d’oliva e vino, per uso famigliare. Il suo ultimo romanzo è La Macchina Anatomica, un thriller ambientato a Portici. Ha già pubblicato il romanzo Il Trentottesimo Elefante; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: Animal Garden e Vesuvio Felix, e una raccolta di racconti comici: Il Libro del Bestiario.

 

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