Culturaracconti

La Real caccia di Venafro

Il nostro autore racconta del Molise, tante le meraviglie da scoprire, tra cui il sito borbonico di Venafro ormai fatiscente e la Real caccia

di Lucio Sandon

Scrive Carlo Celano nel suo Notizie del bello, dello antico e del curioso della città di Napoli: «Il vasto recinto della caccia è così ben tenuto, che sembra un delizioso giardino in mezzo ai boschi. Vi sono sparse delle ampie peschiere ed un bellissimo casino, costruito dal Re Cattolico unicamente per suo riposo, poicché del rimanente egli abitava sempre a Venafro, quando a questa caccia conducevasi, nel palazzo dei Principi di Venafro, non improprio per abitazione sovrana. In quanto all’ampiezza, sebbene modernata al possibile, con l’aggiunta di altre fabbriche per renderla maestosa, e di quella costruzione atta all’abitazione di un tanto Principe, avendo anco in questa Città stabiliti de’ varj Uffiziali alla custodia, e buon governo di quest’ampio bosco.»

La Reale Caccia di Torcino e Mastrati è collegata per mezzo di un ampio ponte alla cittadina di Venafro, dove la corte risiedeva nel periodo delle cacce, e in cui Ferdinando IV nel 1771 acquistò il grande palazzo della famiglia Coppa.

In seguito l’antica abitazione venne trasformata in un vero e proprio palazzo reale, commettendone gli affreschi a Francesco Celebrano che vi dipinse Le Cacce, opere oggi purtroppo andate perdute.

Allo stato attuale solo dall’esame delle piante dell’edificio, conservate presso l’Archivio di Stato di Napoli, ci è consentito di ricostruire l’aspetto dell’antica residenza reale che, suddivisa tra diversi proprietari, per essere adattata alle nuove funzioni, ha subito trasformazioni tali che l’originaria fisionomia ne appare totalmente alterata.

Soltanto nella zona d’ingresso, una piccola torre ed alcuni vani in stato di pericolosa fatiscenza, sussiste ancora la primitiva veste architettonica settecentesca e la data del 1702, scolpita sul portone a semplice fascia liscia di pietra locale, conferma la preesistenza dell’edificio all’acquisto borbonico.

Il palazzo reale di Venafro purtroppo oggi è ormai al collasso definitivo, dopo decine di anni di abbandono e di saccheggi.

Carlo III di Borbone aveva già acquistato il bosco di Torcino per adibirlo a riserva di caccia. Probabilmente se ne era già invaghito fin dal 1734 quando, infante di Spagna e duca di Parma e Toscana, mentre l’esercito spagnolo dirigeva su Napoli occupata dalle truppe imperiali, egli si dedicava alla caccia tra Alife, San Germano e Maddaloni.

Per poterla raggiungere più agevolmente, in seguito fece proseguire fino a Venafro la rotabile che collegava la capitale con Capua, e costruì il ponte sul Volturno chiamato “Ponte Reale”.

Vittorio Emanuele II, dopo la battaglia del Garigliano si recò a visitare la tenuta, rimanendo colpito dalla bellezza dei luoghi e della varietà dei panorami. Vi tornò nel Febbraio del 1872 in compagnia del principe Federico di Prussia, probabilmente per essere confortato da un autorevole parere.

Fu così che, per assecondare i reali desideri, lo Stato Italiano mise in vendita Torcino e Mastrati. L’asta fu celebrata il 20 Ottobre 1872 nell’Intendenza di finanza di Campobasso. Rimase aggiudicata per 660.800 Lire alla banca Italo-Germanica, che a sua volta con atto pubblico dichiarò di aver fatto l’acquisto per conto e nell’interesse del patrimonio privato del re.

Di questo periodo abbiamo una suggestiva descrizione della tenuta, redatta dal capitano Rosati, dell’esercito sabaudo: «La Reale Tenuta di Torcino e Mastrati in quel di Venafro venne acquistata da Carlo III. La sua estensione è di circa ettari 1.000 tra il coltivatorio e la selva, ed il perimetro che la circoscrive è di quasi miglia 20. Il bosco è porzione della pianura ed il rimanente si prolunga in una catena di monti e colli, gli alberi che vi allignano sono le querce, i cerri, i pioppi, gli olmi, gli aceri, il pero, il melo etc. Il Volturno per la più grande parte ed i fiumicelli Sava e Lete ne circondano la vallata. Si penetra nella tenuta per un sontuoso ponte chiamato Ponte Reale eretto dal cennato Re. Torcino e Mastrati due paesi ormai distrutti e sono rinchiusi nell’attuale tenuta hanno lasciato il nome alla Reale Riserva. Vari fabbricati, tortuosi viali ed ameni ruscelli interni grandemente adornano questo bel sito di caccia. A pochissima distanza dal Barraccone o Casino di Torcino, si ammira una specie di circo costruito per la cosiddetta caccia “sforzata” che facevasi a cavallo: provocati dai cani i cinghiali entravano impetuosamente nel recinto murato ed ivi a colpi di lancia erano atterrati. Il bosco abbonda di cinghiali della più bella specie, di capri, lepri, volpi, lupi nonché di molti volatili come beccacce ed anitre selvagge di inverno e di starne e pernici nell’està. Molte cacce vi furono fatte negli scorsi tempi da diversi sovrani cioè da Carlo III, da Ferdinando IV, da Gioacchino Murat, da Francesco I, da Ferdinando II. Gli illustri cacciatori si trattenevano per vari giorni nella casina reale di Venafro ove pernottavano ed il mattino si recavano al bosco per la caccia. Anche il nostro prode Re Vittorio Emanuele nel dì 7 novembre del 1860 dopo la battaglia del Garigliano muovendo da Sessa onorava di sua presenza quel mentovato bosco ove si divertì alla caccia per più ore. Rimase sì fattamente impressionato da questa riserva che fra i primi beni assegnati alla lista civile mostrò desiderio di averla.

La tenuta di Torcino è custodita da un Luogotenente di caccia, da un sergente, da due caporali e da nove guardie, tutti a cavallo. Ma detta forza è insufficiente per frenare le contravvenzioni di caccia e forestali che ogni giorno avvengono, specialmente le ultime. I naturali di Venafro, sia detto a loro lode, sono i soli che rispettano scrupolosamente questa riserva per la quale hanno una specie di culto. Fra le tante contravvenzioni che si sorprendono nel corso dell’anno vi è da scommettere con sicurezza che non avvenne alcuna a carico di un venafrano. I contravventori alla caccia sono per lo più dei comuni di Sesto Campano e di Ciorlano, quelli forestali di tutti i paesi della vicinanza. La guardiania è divisa nei due punti principali della tenuta: al Barraccone ed a Mastrati, ma per ben custodire questa riserva ci vorrebbe un terzo posto sulla montagna e precisamente nel punto chiamato Formicone.

I cinghiali di Venafro sono della più bella specie che forse sia in Italia: di pelo grigio, di grosse zanne, di istinto feroce, essi nei momenti di “rostra” non lasciano di destare una certa emozione tra i cacciatori e di mandare indietro molti cani feriti. Il lupo è comunissimo in Torcino specialmente nel verno, si nasconde a preferenza nel più forte del Selvone. Di notte però non si astiene dal recarsi urlando sin sotto alle finestre delle guardie al Barraccone di dove fugge poi inseguito dalla immensa schiera di cani da mandria che ivi dormono al sereno. In una delle notti poi in cui S.A. Reale il Principe Umberto si trovava in Torcino per le cacce tutti gli invitati furono desti da questa musica importuna: erano tre lupi che si erano avvicinati di troppo all’abitato. Pagarono il fio della loro tracotanza perché vennero uccisi nelle battute del giorno dopo.

Anche il caprio di Torcino è della più bella razza e la carne è squisitissima.

Il bosco di Torcino è talmente folto e selvaggio che la banda del famoso brigante Fuoco vi ebbe stanza per molti anni senza potervi essere sorpresa malgrado che nei due posti di Torcino e di Mastrati vi fossero accasermati distaccamenti di truppa regolare che facevano continuata perlustrazione in compagnia delle Guardie caccia reali le quali poi erano oggetto di odio profondo per quei briganti i quali scorgevano in esse le guide dei soldati. E in effetti parecchie volte le povere Guardie caccia si intesero colpire a tradimento da dietro a qualche macchia. Ma ora che il feroce bandito venne ucciso con i suoi compagni quella riserva reale è ritornata nell’abituale sua calma e vi si può accedere con tutta sicurezza sì di giorno che di notte.»

Ai margini della tenuta reale, il monte Pratella fornisce una fonte d’acqua minerale molto apprezzata, e oggi imbottigliata con un logo molto famoso. Nell’area compresa tra le Mainarde e il Matese, il Volturno penetra una fitta coltre boschiva igrofila, frazionata dai rami secondari del fiume che circoscrivono isole impenetrabili dalle caratteristiche uniche. Le sue acque lente favoriscono lo sviluppo di un canneto che borda anche le sponde del bacino di regolazione.

La vegetazione che un tempo abbracciava l’intero corso del fiume, è in questo tratto, ancora ben conservata. Nei fossi e nei canali che tagliano il bosco e negli specchi d’acqua effimeri è presente flora semisommersa: giunco, sparto, nasturzio e veronica. I salici affondano le loro radici nel greto creando isole di vegetazione, e dominano il bosco allagato insieme al pioppo e all’ontano. Nei margini esterni più asciutti compaiono ornielli, olmi, aceri campestri e qualche esemplare di farnia, residuo delle antiche selve che si estendevano sulla Piana di Venafro.

Il bacino lacustre e il bosco costituiscono l’habitat ideale per la fauna acquatica: in primavera vi nidificano germani reali e gallinelle d’acqua, folaghe e svassi. Vi svernano moriglioni, fischioni, alzavole, marzaiole, morette, codoni, l’airone cenerino, l’airone rosso, e la garzetta, il tarabusino e il cavaliere d’Italia. Tra i rapaci si incontrano il nibbio bruno, la poiana, l’astore e il gufo di palude.

(Foto tratte da: www.francovalente.it, per gentile concessione)

 

Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio.

Notevole è il suo penultimo romanzo, “La Macchina Anatomica”, Graus Editore, un thriller ambientato a Portici, vincitore di “Viaggio Libero” 2019. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario veterinario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal suo ultimo romanzo “Cuore di ragno”, ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto Cuori sui generis” 2019.

Sempre nel 2019,  il racconto “Nome e Cognome: Ponzio Pilato” ha meritatola Segnalazione Speciale della Giuria  nella sezione Racconti storici al Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno, mentre il racconto “Cuore di ragno” ha ricevuto la Menzione di Merito nella sezione Racconto breve al Premio Letterario Internazionale Voci – Città di Roma. Inoltre, il racconto “Interrogazione di Storia”  è risultato vincitore per la Sezione Narrativa/Autori al Premio Letizia Isaia 2109.

Articolo correlato:

https://wp.me/p60RNT-4kS

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *