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La Reale Caccia del demanio di Cardito con la Reale Delizia di Carditello

Il nostro autore racconta che la denominazione Carditello, frazione del comune di San Tammaro, deriva dai cardi che la infestavano: la Reale Delizia fu un esempio dell’illuminata economia rurale del Borbone

di Lucio Sandon

La storia della reggia di Carditello inizia nel XVIII secolo, ed è tutta legata a Carlo di Borbone, alla guida del regno dal 1735, il quale cominciò ad acquisire terreni e feudi per la realizzazione di residenze reali e riserve di caccia, che vennero chiamate Delizie Reali. Esse avevano, come stabilito in un dispaccio del 22 dicembre del 1783, i privilegi degli stati Farnesiani e Medicei, e qui vennero sperimentate modalità di governo più moderne rispetto agli altri territori del regno. Allo scopo, Carlo iniziò ad espropriare i feudi i cui proprietari avevano continuato a sostenere gli Asburgo, e quelli di cui sospettava l’appartenenza alla Massoneria.

La Reale Delizia di Carditello detta anche Difesa di Cardilo seu Carditello venne presa forzosamente in affitto a Giovanni D’Aquino, principe di Caramanico, per la somma di 2.800 ducati l’anno e venne dedicata in modo particolare all’allevamento di cavalli della reale Razza Napolitana, oltre che di bovini per la produzione di latticini e formaggio di tipo parmigiano, di cui il re era conoscitore avendo vissuto fino a 16 anni nel granducato di Parma e Piacenza. All’uopo vennero prelevati casari e caglio dal lodigiano.

La reggia era circondata da oltre duemila ettari di boschi e verdi pascoli, a nord del Volturno.

Oggi è area bonificata, ma all’epoca la zona era acquitrinosa e letteralmente infestata dal cardo selvatico, o cardo mariano, una barriera per chi volesse inoltrarvisi a piedi o a cavallo. Proprio dai cardi, il nome di Carditello.

Progettato dall’architetto romano Francesco Collecini, allievo di Luigi Vanvitelli, il Real Sito è composto da una palazzina centrale sormontata da un loggiato e da un belvedere, e affiancata da altri edifici di servizio oltre che da un ampio galoppatoio ellittico, delimitato da due fontane con obelischi e con un tempietto circolare nel mezzo. Allo splendore di Carditello contribuì il pittore di corte Jacob Philipp Hackert già noto per la sua attività alla Reggia di Caserta e a San Leucio, il quale ebbe l’incarico di occuparsi della direzione delle decorazioni e dell’arredo dell’appartamento reale.

È a lui che si deve il progetto complessivo, non solo delle pitture murali, che ancor oggi sono presenti nel piano nobile, ma anche la modernità e raffinatezza degli arredi, acquistati anche a Parigi, dai mercanti Dominique Daguerre e Martin-Eloy Lignereux, oltre a quelli ordinati appositamente alle maestranze locali e francesi. Fedele Fischetti eseguì la volta dipinta nella galleria centrale, raffigurante l’Apoteosi di Enrico IV. Carlo Brunelli dipinse i monocromi che decorano la chiesa a pianta centrale e la tela (ora alla Reggia di Caserta) dedicata all’Ascensione di Cristo. Angelo Brunelli decorò le volte e i bassorilievi in stucco nelle due scalinate monumentali in marmo grigio di Mondragone. Grazie all’archivio della Reggia di Caserta è stato possibile documentare quanto è rimasto nel Casino reale e quanto è passato altrove, come la ricca quadreria, ora a Caserta, gli arazzi ora al Palazzo Reale di Napoli, i mobili e degli arredi, divisi tra Caserta e Capodimonte. Purtroppo Carditello subì numerosi affronti, a partire dal 1799, quando la corte dovette  spostarsi in Sicilia. La vita del Real Sito, nei decenni seguenti al rientro dei Borbone venne divisa tra le attività produttive, assai fiorenti e le battute venatorie di Ferdinando, che prediligeva per queste proprio Carditello.

.Ferdinando II diede forte impulso all’ammodernamento dell’economia rurale, attraverso colture sperimentali e l’introduzione di macchine agricole. Nel 1860 la tenuta di Carditello venne occupata dai garibaldini che danneggiarono e cancellarono molte immagini in cui erano rappresentati i Borbone, poi passò ai Savoia. Dal 1920 la proprietà fu ceduta all’Opera Nazionale Combattenti, e durante il secondo conflitto mondiale venne requisita dagli americani. Negli anni successivi il sito venne abbandonato e depredato, e salvato dal degrado totale solo per l’intervento del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, che lo ha acquistato nel 2013.

 

Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio.

Notevole è il suo penultimo romanzo, “La Macchina Anatomica”, Graus Editore, un thriller ambientato a Portici, vincitore di “Viaggio Libero” 2019. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario veterinario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal suo ultimo romanzo “Cuore di ragno”, ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto Cuori sui generis” 2019.

Sempre nel 2019,  il racconto “Nome e Cognome: Ponzio Pilato” ha meritatola Segnalazione Speciale della Giuria  nella sezione Racconti storici al Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno, mentre il racconto “Cuore di ragno” ha ricevuto la Menzione di Merito nella sezione Racconto breve al Premio Letterario Internazionale Voci – Città di Roma. Inoltre, il racconto “Interrogazione di Storia”  è risultato vincitore per la Sezione Narrativa/Autori al Premio Letizia Isaia 2109.

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