Cultura

La Recensione: Baby driver, il genio della fuga

di Francesco “Ciccio” Capozzi

Atlanta. Un giovane driver imprendibile, che vuole uscire dal giro per amore, si lascia utilizzare per un’ultima rapina. Edgar Wright, inglese, è il regista e sceneggiatore, oltre che produttore, di questo film (USA-UK, ‘17).

È un autore che si è sperimentato in diversi generi cinematografici: ma sempre mantenendo un suo profilo personale. Wright non esita a definire il suo come un film d’azione e musicale, un musical criminale, volendo precisare le coordinate della sua resa stilistica. In particolare, le canzoni ascoltate in continuazione da Baby (il protagonista), in funzione antiacufene, sono molto più che la colonna sonora: scandiscono al secondo la stessa azione. Ne sono la cornice.

Questo rende estremamente particolare e stretto il rapporto con la musica: come un’espansione narrativa aggiunta del comportamento del ragazzo, che si trova a gestire una situazione più grande di lui. Ma che, contemporaneamente, lo spinge a crescere in fretta: a comprendere e farsi carico delle sue responsabilità. La ragazza di cui è innamorato, corrisposto, fornisce solo l’impulso iniziale.

La costruzione del carattere del personaggio si compone davanti a noi. Egli attraversa la sua mancata adolescenza, essendo orfano di ambo i genitori, come librato nell’aria della musica, vera e unica sua dimensione esistenziale/anima profonda, in cui esercita la sua creatività. Egli vive tra un tutore, paralizzato su una sedia, cui è molto legato e con cui parla a segni, perché sordo e muto, e un mondo infido e vasto. Tutore con cui non ha bisogno delle parole dette e può massimamente dare spazio alle sue intenzioni, che risultano particolarmente chiare, oltre che espressivamente più ricche di intensità ed echiemotivi. Come avviene nell’incontro con la ragazza, permettendogli di instaurare un rapporto immediato ed essenziale.

E proprio per tutto ciò è un diverso. Ed è sentito come tale dagli altri membri della banda, sia nel momento in cui fa volgere verso di lui sentimenti positivi di accettazione e considerazione, che di vera e propria insofferenza. Ma in fondo è solo un ragazzo in cerca di un suo posto nel mondo. Il giovane attore Ansel Elgort è stato già notato nella serie di film per young adult Divergent e in Colpa delle stelle. Ne dà una interpretazione allo stesso tempo frizzante, però con elegante ed ironico distacco ancora adolescenziale, e fisicamente energica e nervosa, specie nelle sequenze di guida che ne mettono in luce il sangue freddo e l’autocontrollo.

Nel suo personaggio, però, si manifestano anche quegli elementi di sentimentalità, emergenti come delicate e poetiche sfumature. Insomma, su di lui vi è un tratteggio di sceneggiatura molto sofisticato e in chiaroscuro.

Di similare qualità e finezza è il personaggio di Doc, portato da Kevin Spacey a livelli di dickensiana e sulfurea ambivalenza nei confronti di Baby: c’è una forte componente affettiva e di stima, ma anche di ricatto non tanto mascherato. Lo stesso regista l’ha paragonato al Fagin  di Olver Twist.

Pure assai coinvolgente è il ritratto del gangster folle e survoltato di Jamie Foxx.

Edgar Wright ha controllato questa materia assai composita con un ferreo senso dell’insieme. Ha convogliato le energie cinetiche della messa in scena degli inseguimenti in auto davvero mozzafiato e riusciti: non è solo ordinaria professionalità, quella manifestata in queste performance, ma senso complessivo equilibrato della narrazione, che riusciva ad alternare momenti di azione veloce e drammatica, a momenti più rilassati.

Il regista ha studiato, e anche citato, i classici degli inseguimenti, da William Friedkin, Walter Hill, John Frankheneimer, passando per Michael Mann, fino al recente Nicolas Winding Refn. Ma lo ha fatto apportandovi un gusto e un amore per questi maestri e il loro cinema, che lo rende molto personale: addirittura, in un certo senso, intimo. Il dato, infatti, è che egli vede questo tipo di sequenze non fini a sé stesse – per farvi scorrere, e compiacersene, flussi di adrenalinico shock – ma costruirvi intorno una cornice di, sia pur folle, ma credibile umanità e cura dei caratteri.

La direzione della foto è dell’americano Bill Pope, che è considerato uno dei più innovativi, dotati ed esperti cinematographer americani: in grado di «dar luce alle penombre», come è stato detto. Ha lavorato al meglio con i maestri del mistery e della fantascienza apocalittica: come nella serie di Matrix. In “Baby Driver” ha saputo egregiamente equilibrare lo sfondo delle tinte “aperte” dell’azione, con quelle chiaroscurali e notturne, sia domestiche e d’interni che esterne.

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