Cultura

La recensione: Suicide squad

di FRANCESCO “CICCIO” CAPOZZI

Una tostissima e cinica funzionaria dello Stato propone di creare una squadra di ipercriminali per sconfiggere minacce super al genere umano. E c’è una strega incantatrice in giro …

Ormai è guerra aperta nell’immaginario universale, Cina compresa, tra la DC Comics, targata Warner e la Marvel Entertainment, che ormai gioca in proprio, essendo diventata essa stessa uno Studio.

Ognuna di queste due compagnie, una volta di fumetti, che di fatto stanno reggendo le sorti spettacolari e finanziarie di Hollywood di questo inizio millennio, risponde rilanciando colpo su colpo alle mosse dell’altra.

All’inizio sembrava la DC più in affanno, benché abbia cominciato per prima, perché le teste di serie erano solo Superman e Batman: ma il nuovo Batman di Christopher Nolan le ha fatto riprendere il centro della ribalta alla grande. Inoltre la DC Comics aveva già da tempo intrapreso una lunga e intelligente corsa nelle “periferie” della tv, proponendo una efficace serializzazione-approfondimento dei suoi eroi, che le ha ridato lena e forza immaginativa, portandola a riscoprire personaggi della loro scuderia un po’ appannati come Flash, Lanterna Verde ed altri.

Sembrava che solo alla Marvel si addicessero anche le variationes più sopra le righe, come nel simpaticissimo, iconoclasta e geniale, tra l’altro grande e inaspettato successo al box office, di Deadpool. E invece no. «Numble…numble…che si fa? », hanno ponzato e riponzato gli executives della DC/Warner …

E qui entrano in scena Charles Roven, il produttore che ha suonato la riscossa alla DC con la trilogia di Batman, e Zack Snyder, regista di 300 e dello sfortunato ma assai interessante Watchmen (‘09), per certi versi non alieno dalla tematica di Suicide Squad, qui in veste di produttore.  Ai quali il regista e sceneggiatore del presente film (USA, ‘16) David Ayer sottopose il testo.

I personaggi sono entità minori dell’”Universo espanso” DC Comics: esistenti sulla carta fin dal 1959; ma è del 1987 l’idea della “squadra suicida” e della sua “capa” civile dei Servizi, Amanda Waller, che probabilmente è la più “cattiva” di tutti.

È il “Sistema” istituzionale che sfrutta, dopo averla alimentata, la violenza cieca, facendola diventare socialmente accettabile. Anzi, essa diventa l’unico antidoto alle stesse storture che l’attuale società produce. In un certo senso, l’anarchia ossessiva di questi borderline, se non completamente stracotti, è perfettamente funzionale allo stesso meccanismo del sistema, e coloro che vi dovrebbero portare “ordine” lo sanno, ne approfittano. E in modi lucidi, sono ancora più cotti.

Ed è proprio questo tipo di riflessioni uno degli elementi di maggior interesse del film. Che, lo dico preliminarmente, non è piaciuto per niente alla critica ma è stato un botto non del tutto inaspettato al botteghino estivo in USA, dove le pre-wiews avevano già indicato il suo destino schizofrenico. Ma, come critico, mi domando: «Perché è piaciuto così tanto? Quali meccanismi collettivi ha fatto scattare, non solo in USA. Ma anche da noi, dove ha letteralmente “arrevotato” le spente, anzi prima inesistenti, classifiche estive?» Addirittura sfatando la mitologica consuetudine dell’assenza della gente dal cinema estivo in sala.

A parte le inesplicabili e misteriose alchimie che si stabiliscono, tra “il cuore profondo e nascosto” di un testo – sia esso film, romanzo, fiction tv, musica o altro – e i suoi pubblici, è evidente che Suicide Squad obbedisce alle”leggi” narrative della letteratura disegnata sul grande schermo. Ma lo fa con ritmo e intelligenza. Scandendo i tempi narrativi in unione con gli approfondimenti sui personaggi.

Risultano particolarmente vivaci e azzeccati quello interpretato da Will Smith, il femminile di Margot Robbie e il Joker di Jared Leto. Smith è Deadshot, l’infallibile serial killer su commissione: ma a cui sta a cuore la figlia che lui ama e vorrebbe proteggere. E sarà questa l’arma di ricatto dell’implacabile Waller.

È interessante seguire gli smottamenti della volontà di questo assassino, che lo portano sul lato “chiaro della forza”. Intendiamoci: nulla di dostoevskiano, ma rapide e concise notazioni gestuali, che Smith supporta con eleganza, limitando, ma non eliminando del tutto, ma anzi rendendolo funzionale al complesso, il lato istrionico della sua recitazione. Da dire che questo versatile talento, ha intelligentemente e coraggiosamente preferito partecipare a questo film, piuttosto che al sequel di Indipendence Day, che, infatti, al botteghino è andato maluccio.

Alla Robbie si deve il personaggio più squinternato ed “esagerato”: l’ex psichiatra di Joker che se n’è innamorata diventando una perfetta sciroccata del crimine. È sua una delle più fulminanti battute: «Che c’è? Faccio questo perché sono cattiva…E’ così che mi hanno fatta…»

Al di là del citazionismo (Jessica Rabbit, ad es.), la Robbie, che ha già dato un’impronta di forza alla sua Jane nell’ultimo Tarzan, è un misto d’innocente cattiveria, assurda infantilità, dirompente sensualità e follia compulsiva: miscela esplosiva allo stato puro. Suo degno compare e amante è il Joker di Jared Leto: la sua perfida cattiveria, tutta incrostata di narcisismi e di eccessi è totalmente lastricata di schizofrenia: un degno continuatore degli storici Joker del cinema DC. La sua è una riuscita sfida trasformativa, da bravo ragazzo a genio del male.

Ma anche l’Incantatrice, nel suo entrare e uscire dal corpo di June, interpretata dall’ex indossatrice Cara Delevingne, è una figura i cui effetti visuali ne accompagnano la valida rappresentazione.

Nel film, proprio per la natura dei suoi personaggi, tutti parte di un precedente fiume inarrestabile di situazioni, sono sintetizzate delle sottostorie di collegamento che solo grazie all’efficiente e veloce montaggio di John Gilroy riescono a palesarsi solo in forma di accenni. Alcune hanno più evidenza, come quella del rapporto tra Joker e Harley ma sempre rigorosamente incastonate nel flusso centrale. E anche le scene d’azione sono perfettamente ritmate.

A finale: non solo come giocattolone è divertente, perfettamente e intelligentemente funzionale, ma si presenta con una sua forza generale, una qual originalità e irriverente personalità.

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