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La Recensione, Widows. Eredità criminale

di Ciccio Capozzi

Chicago, giorni nostri. Le vedove di un gruppo di criminali deceduti in una rapina andata a male, devono restituire la cifra di 2 milioni di dollari rubata, o persa, dall’organizzatore, anch’egli colà defunto. Su impulso di Veronica, la più tosta e intelligente, si danno da fare: na’ bella rapina…

Avviso ai naviganti (di cinema)! Non fermatevi ai trailer! Non è solo un riuscito film d’azione (un heist movie: basato su un colpo grosso), ma un’opera d’autore. Occhio al regista! È lo Steve McQueen, Oscar ‘14 per il Miglior Film per 12 anni schiavo. A domanda sul perché si sia abbassato”, a farne uno che appartiene da un genere narrativo ben identificato, ha spiazzato tutti, affermando che «Chicago è stata la mia ispirazione», intendendo la Chicago dei nostri giorni, «… una città molto estrema dal punto di vista sia politico che razziale», che difatti è il perno narrativo insieme alle Vedove.

Naturalmente, quella di sopra è una asserzione farlocca, posta secondo i criteri sballati dei cinefili iperculturalizzati europei (il regista, per quanto operante a Hollywood è inglese), tra cui spiccano i pippeurs italiani. Il protagonismo messo in campo, infatti, che è di vera ispirazione autorale, è globale, ed è l’intera città: in quanto dà corpo ad un’idea chiave, un’intuizione interpretativa di essa, che permea e dà tono e dinamismo all’intera narrazione. E non solo è tale dal punto di vista ambientale-scenografico, ma proprio sociale.

McQueen “legge” quella realtà in modi sintetici ed unitari, suggerendo, ad esempio,  la complessità dell’agire dei politici. Come quando illustra, in pochi ma essenziali tocchi, la pelosa e interessata funzione di alcuni “programmi” di sostegno ai “giovani imprenditori” popolari, ovvero privi di capitali di partenza: in realtà è una forma un po’ più sofisticata di strozzinaggio. Oppure mentre illustra la funzione dei “predicatori religiosi”: la loro cinica demagogia, mistificata dalle forme della religiosità popolare e partecipata, è solo posta la servizio di chi paga di più.

Il regista ha indagato su personaggi  politici, rappresentativi dell’intero ceto, vecchi e nuovi, e sulle motivazioni che li spingono ad operare, così male, tra residui fortissimi e violenti, specie tra le forze dell’ordine (come è riportato dalle cronache), di razzismo e un’incontrollabile e quasi regimica corruzione. Qui abbiamo politici che sono perfino dei gangster riciclati, o vecchi bonzi intoccabili, ipocriti e razzisti. Come la coppia padre e figlio: il primo è un politico vecchio stampo, duro, sprezzante e determinato, ma  screditato e plurindagato (il grande, davvero iconico Robert Duvall): il suo essere frastornato dall’incalzare dei tempi lo squilibra, ma non gli toglie quella rudezza che l’ha reso ricco e influente, dandogli la capacità di resistere.

Il figlio, l’attore Colin Farrell, è cinico nella sua parte, e tendenzialmente come il padre, di cui tutto sommato è allievo: però ha un barlume di consapevolezza che in qualche modo lo mette in crisi. Il suo ruolo è narrativamente articolato e con diverse sfumature.

La serie originale tv dell’83, da cui Widows. Eredità criminale ha tratto ispirazione, era ambientata a Londra, scritta da una autrice d’indubbio spessore, Lynda La Plante, poi diventata giallista di rilievo internazionale; e  i cui protagonisti sono spesso donne che affrontano gravi difficoltà, e da cui escono con determinazione, senza perdere umanità e empatia. Del film (USA-UK, ‘18) il regista è stato anche sceneggiatore, insieme a Gillian Flynn (autrice di L’amore bugiardo): e difatti la scansione dei personaggi è di una precisione e concisione notevole; ma anche con numerose sfumature di umanità.

Come anche lo svolgersi dell’azione è serrato, logico e portatore di tensione nello spettatore: grazie anche all’individuazione di cattivi determinati e plausibili. Come il giovane fratello ancor più criminale del candidato, l’attore inglese Daniel Kaluuya: esprime un concentrato di fredda e crudele determinazione, a limite del sadismo; ben più del fratello aspirante politico che, più o meno, sa dove fermarsi. Kaluuya è  giustamente noto e apprezzato per essere stato il protagonista, un nero vittima di una ben architettata trappola di asservimento schiavista, di Scappa. Get out (‘17), prodotto dal “mago dell’horror a microbudget”, l’assai simpatico Jason Bloom.

La radicale diversità di registro attoriale, adottato in Widows. Eredità criminale, mostra come e quanto sia bravo. Gli spaccati cui ho accennato, sono numerosi, asciutti e ben fatti, ma non intralciano vicenda core del film: anzi l’“avvolgono”, la innervano. Le danno come un tappeto volante in cui manifestano differenze psicologiche non piccole tra le protagoniste, nel mentre compiono gesti di violenza, peraltro benissimamente montati e fotografati. Tutte grandi attrici.

Ma su tutte è Viola Davis, la protagonista, a svettare. La sua innata eleganza, è supporto alla complessità del suo ruolo e alla sua capacità di leader. C’è un commento del regista molto significativo sulla sua performance, dopo averla paragonata a Katherine Hepburn, ed altre attrici mito: «Ha questa gravitas personale che porta sulla scena come facevano le grandi dive dei film realizzati negli ani ‘30, ‘40, ‘50. I film che hanno lei come protagonista (…)  hanno qualcosa di epico». Concordo in pieno.

 

 

Ciccio Capozzi, già docente del Liceo Scientifico

porticese Filippo Silvestri, è attualmente

Direttore Artistico del Cineforum

dell’Associazione Città del Monte|FICC al

Cinema Teatro Roma di Portici.

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