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Le criticità dell’attuale fase epidemica in Italia

Il nostro medico Carlo AlfaroDirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi, spiega quali sono le criticità della SARS-CoV-2

Con altri 2.844 nuovi casi di contagi notificati il 3 ottobre e la crescita del numero di pazienti ospedalizzati, di quelli nelle terapie intensive e dei decessi, l’Italia è in piena fase di seconda ondata di Covid-19 e il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha confermato che verrà proposta una proroga dello stato di emergenza, oltre la scadenza del 15 ottobre, fino a tutto gennaio 2021.

Tante sono le criticità che la fase epidemica attuale ci costringe ad affrontare.

Il primo punto è la gestione sanitaria. Bisogna trovare un equilibrio non facile tra tante esigenze: diagnosticare precocemente gli infetti, isolarli e curarli, scovare i contatti, prendersi cura adeguatamente di tutti i malati non-Covid.

La somiglianza clinica del Covid-19 con svariate altre malattie virali rappresenta una difficile sfida diagnostica per i medici. Inoltre, la sua elevata contagiosità porta a sconsigliare al paziente di recarsi allo studio del medico o al pronto soccorso. Ecco che interviene il “triage telefonico” a cura del proprio medico, che serve a capire, di fronte ai sintomi comunicati telefonicamente dal paziente, o dai genitori nel caso di un minore, se esiste il rischio si tratti di Covid e il paziente vada inserito nel percorso diagnostico appropriato, richiedendo un tampone che sarà effettuato a domicilio da personale specializzato (le Usca) inviato dal dipartimento di prevenzione della asl. Causa l’emergenza pandemica, il triage telefonico è diventato una prassi di legge, nell’ottica di limitare i contatti interpersonali a quelli strettamente indispensabili.

Uno dei sintomi più sensibili per orientare la diagnosi verso il Covid è l’alterazione o perdita di gusto e olfatto. La studiosa Rachel Batterham della University College London, in uno studio pubblicato su PLoS Medicine, afferma che in 4 persone su 5 la perdita acuta di olfatto è legata al Covid e il deficit olfattivo, anche in assenza di febbre e tosse, va considerato un sintomo prezioso per distinguere l’infezione da SARS-CoV-2 da altre malattie respiratorie.

La difficoltà di diagnosi su base clinica costringerà comunque il medico a richiedere un numero elevato di tamponi, dato che il rapporto n° 58 dell’Istituto Superiore di Sanità (versione 28 Agosto 2020), approvato dalla Conferenza delle Regioni, inserito nel DPCM del 9/9/2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – e quindi con valore di legge – afferma che deve essere fatto il tampone ai fini della riammissione in comunità ogni qual volta il paziente presenti una serie di sintomi che includono anche la “rinorrea/congestione nasale”, ovvero anche il banale raffreddore, così comune nei bambini che frequentano la scuola. Sarebbe magari auspicabile, per evitare troppi tamponi soprattutto ai bambini, una revisione da parte del Comitato Tecnico Scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità dei criteri per l’esecuzione del tampone.

Un altro punto dibattuto riguarda la riammissione a scuola o al lavoro dopo assenza. Per chi ha eseguito il tampone rino-faringeo per sospetto Covid, la legge prevede attualmente non una “certificazione” da parte del medico, atto che implica visitare il paziente “in presenza” per fare una diagnosi, ma una semplice “attestazione” che il paziente ha o non ha il Covid, in base al percorso seguito.

Per chi invece si assenta per malattie diverse dal Covid-19, in Campania, l’Usr (Unità sanitaria regionale) nel Documento di programmazione sanitaria, puntualizza che il medico curante o pediatra di famiglia rilascia un “attestato” di rientro al lavoro o a scuola (senza necessità di visita) nel caso di percorso Covid, per confermare la negatività al tampone per virus SARS-CoV2, e un “certificato” (dopo visita medica) per patologie non-Covid, che quindi non hanno richiesto il tampone.

Il certificato è necessario dopo assenza per malattia superiore a 3 giorni (quindi al quinto giorno), nei servizi educativi per la prima infanzia/scuole dell’infanzia, o dopo assenza per malattia superiore a 5 giorni (dunque al settimo giorno) nelle scuole primarie e secondarie.

Il dottor Carlo Alfaro

I pediatri sono contrari a quest’obbligo del certificato medico per il rientro a scuola dopo malattia non Covid, che contraddice tutte le raccomandazioni sin qui promosse per contenere l’epidemia, costringendo i bambini a recarsi allo studio prima del rientro a scuola per una visita dettata solo da motivi medico-legali che li espone comunque al rischio di incontrare altri pazienti (essendo proprio i contesti sanitari quelli a maggior rischio di diffusione virale).

Molto importante è la gestione dei contatti asintomatici e il loro isolamento. Una revisione Cochrane pubblicata per la prima volta ad aprile e aggiornata nei giorni scorsi, che ha preso in esame 51 studi, conclude che tutti i lavori hanno mostrato in maniera coerente che la quarantena delle persone che sono state esposte a casi confermati o sospetti è una misura efficace nel ridurre il numero di infezioni e decessi da Covid-19. Dunque diventa fondamentale l’attività di tracciamento e conseguente isolamento dei contatti, anche attraverso la app Immuni, purtroppo fino ad oggi scaricata da un numero molto esiguo di italiani rispetto alle aspettative.

Il contact tracing risulta cruciale perché gli asintomatici hanno un ruolo determinante nella diffusione dell’infezione. Ma anche sugli asintomatici ci sono tante incertezze. In realtà, secondo una review dell’Università di Berna su 79 studi pubblicato da PLoS Medicine, solo il 20% degli infetti non sviluppa sintomi, mentre la maggior pare dei cosiddetti asintomatici sono in realtà dei pre-sintomatici, che prima o poi manifesteranno sintomi del Covid-19. La contagiosità sarebbe massima in fase immediatamente pre-sintomatica.

Secondo altri studi, l’infettività raggiunge il massimo il giorno prima la comparsa dei sintomi e scende drasticamente dopo 7 giorni. Diventa quindi importante identificare gli infetti prima ancora che sviluppino i sintomi, per isolarli in tempo, accorciando al minimo la distanza tra contagio e diagnosi.

Resta sempre un mistero il ruolo dei bambini nell’epidemia. La teoria secondo cui i bambini hanno maggiori probabilità degli adulti di essere portatori asintomatici del nuovo Coronavirus (secondo uno studio cinese i bambini asintomatici rappresentano il 15% degli individui positivi per Sars-CoV-2) non trova conferma in uno studio appena pubblicato su Jama Pediatrics a cura del Policlinico Fondazione Ca ‘Granda Ospedale Maggiore di Milano, che ridimensiona molto la percentuale di bambini asintomatici (1,2%).

Un’altra criticità riguarda i tempi della diagnostica. L’importante e crescente impegno dei servizi territoriali (Dipartimenti di Prevenzione) per far sì che i focolai presenti siano prontamente identificati e indagati al fine di interrompere tutte le catene di trasmissione e garantire una efficiente gestione dei casi e contatti, comporta una lunga attesa sia per eseguire il tampone, una volta che il medico ne ha fatto richiesta, sia per ottenerne il risultato.

La criticità delle attese per i tamponi in Campania viene segnalata più marcatamente che altrove. Queste attese lunghissime, oltre allo stress per le persone coinvolte, rischiano di bloccare il Paese, perché nell’attesa dell’esito il paziente resta confinato in isolamento fiduciario e, se si tratta di un bambino, anche i genitori. Altrettanto gravosa la situazione per effettuare i due tamponi richiesti per attestare la guarigione da Covid: c’è il rischio di rimanere “prigionieri” in quarantena ben oltre i 14 giorni e la guarigione clinica, nell’attesa dell’esecuzione del tampone o del suo risultato.

Diventa perciò urgente la diffusione dei test rapidi. Infatti, il Ministero della Salute, in una circolare del 30 settembre, ha autorizzato l’utilizzo nelle scuole dei test antigenici rapidi attualmente già in uso in porti e aeroporti. I test antigenici rapidi si effettuano, come i test molecolari, su tampone naso-faringeo, i tempi di risposta sono molto brevi (circa 15 minuti), ma la sensibilità e specificità sembrano essere inferiori, con la possibilità di falsi negativi in presenza di bassa carica virale (nel “periodo-finestra” tra il momento del contagio e la comparsa della positività) o falsi positivi che richiedono comunque la necessità di conferma mediante un tampone molecolare.

Tra le varie tecniche in fase di verifica per la diagnosi precoce di infezione da Covid-19, si sta rivelando promettente anche l’utilizzo dei cani addestrati a riconoscere la presenza del virus, che in passato erano stati utilizzati per la ricerca di altre malattie come diabete e tumori. Quattro cani addestrati per la ricerca del Covid-19 hanno iniziato a lavorare all’aeroporto di Helsinki, all’interno di uno studio pilota. Un cane è in grado di riconoscere la presenza del Covid-19 in 10 secondi. Nei test preliminari i cani, debitamente addestrati, sono stati in grado di trovare il virus SARS-CoV-2, con un’accuratezza vicina al 100%, spesso giorni prima che un paziente sviluppasse i sintomi della malattia, essendo in grado di rilevare concentrazioni virali di sole 10-100 molecole, mentre i test PCR hanno bisogno di una quantità intorno ai 18 milioni.

Un test futuribile prevede il riconoscimento dell’impronta vocale del Covid utilizzando un algoritmo di intelligenza artificiale. Nature online riferisce che la start-up israeliana Vocalis Health sta raccogliendo le voci degli ammalati di Covid per sviluppare un sistema di identificazione della malattia dalla voce del paziente.

In generale, il Covid ha messo a nudo le criticità della gestione sanitaria e accelerato la rivoluzione strutturale della sanità italiana: sarà necessario puntare sempre più sul territorio e sull’assistenza a casa del paziente (la cosiddetta “sanità di prossimità”), visto che l’impostazione ospedalocentrica che negli anni ha depauperato progressivamente le risorse sul territorio è stata deleteria per il Covid, per cui agli ospedali vanno riservate solo le situazioni gravi.

Altro punto di discussione sono le vie di trasmissione del virus e le conseguenti pratiche da mettere in atto per contenerlo. Una revisione degli studi finora condotti pubblicata su Annals of Internal medicine conclude che è molto raro, a differenza di quanto si riteneva in base ai primi studi in laboratorio, che il Covid si trasmetta attraverso il contatto con superfici infette, mentre il “droplet” (goccioline di saliva da starnuti e tosse) è di gran lunga il modo più comune di diffusione e, molto più raramente e in particolari contesti (es. reparti Covid) la via aerosol (respiro).

Non sono stati mai segnalati casi di trasmissione della Sars-CoV-2 per via fecale-orale, sessuale o ematica e neppure attraverso il latte materno. Infatti, anche una ricerca multicentrica coordinata dalla Città della Salute di Torino, pubblicata su Frontiers in Pediatrics, ha escluso che il virus si trasmetta al neonato durante l’allattamento, supportando le recenti raccomandazioni dell’Oms che, in considerazione di tutti i benefici, anche immunologici, dell’allattamento materno, lo ha recentemente raccomandato anche per le mamme positive.

Un ultimo punto è l’opportunità del vaccino anti-influenzale. Durante la stagione fredda che è alle porte si pone l’ardua sfida di evitare il sovraccarico del Servizio Sanitario Nazionale causa la doppia circolazione di virus influenzali e SARS-CoV-2: ciò potrebbe essere ovviato con l’estensione delle coperture della vaccinazione antinfluenzale, come recita la circolare del Ministero della Salute, “… a tutti i soggetti a partire dai 6 mesi di età che non hanno controindicazioni al vaccino”, con offerta attiva e gratuita per alcune categorie di popolazione a rischio.

Il vaccino antinfluenzale potrebbe anche offrire protezione dal Covid-19: uno studio del Centro Cardiologico Monzino di Milano ha trovato che nelle Regioni con un più alto tasso di copertura vaccinale tra gli over 65enni, si sono verificati meno contagi, meno pazienti ricoverati con sintomi, meno casi in terapia intensiva e meno morti per Covid-19. Si stima che un aumento dell’1% della copertura vaccinale negli over 65 avrebbe potuto evitare 78.560 contagi.

Si presenta tuttavia il problema che non ce ne sarà disponibilità in farmacia per almeno 2 persone su 3, secondo quando denuncia la Fondazione Gimbe, causa una programmazione inadeguata del fabbisogno che ha portato ad approvvigionamenti assolutamente preminenti dalle Regioni senza lasciarne sufficienti scorte per le farmacie.

L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha rassicurato di aver reso disponibili oltre 17 milioni di dosi, mentre nella stagione precedente ne sono state distribuite 12,5 milioni, con un incremento circa del 70% rispetto allo scorso anno. Tuttavia questo aumento delle scorte, essendo stato acquistato dalle Regioni per le categorie a rischio, non servirà all’incremento di domanda della popolazione generale, dove mancano 1,25 milioni di dosi di vaccino antinfluenzale per le categorie attive.

Al momento le Regioni hanno ceduto alle farmacie solo l’1,5% delle dosi acquistate (circa 250.000), che potrebbe rappresentare un quantitativo assolutamente insufficiente per il fabbisogno della popolazione non a rischio. Oltretutto, le farmacie non sono riuscite ad approvvigionarsi dosi per mancata disponibilità del vaccino sul mercato, per cui non possono che aspettare un aumento delle dosi fornite loro dalle Regioni, cosa che potrà accadere solo se si deciderà di escludere una o più categorie a rischio (es. bambini 6mesi-6anni) dall’offerta attiva e gratuita o di accontentarsi di un target inferiore al previsto.

Un altro problema è rappresentato dal fatto che il vaccino va praticato negli studi medici, sia per le categorie cui è destinato gratuitamente, sia per la popolazione dai 6 ai 60 anni di età che voglia vaccinarsi, ma non rientra nelle fasce protette, che potrà acquistare il vaccino presso le farmacie previa la prescrizione del medico di famiglia: ma per i medici e i pediatri di famiglia tale carico di lavoro potrebbe rivelarsi insostenibile. Per questo motivo la Regione Lazio ha deciso di organizzare un servizio di somministrazione/inoculazione dei vaccini all’interno delle farmacie, iniziativa che potrebbe essere seguita anche da altre Regioni.

Citando le parole di Papa Francesco “… peggio di questa crisi c’è solo il rischio di sprecarla…”, possiamo concludere che da tutte queste criticità possiamo solo sperare di trarre dei miglioramenti per il nostro futuro: una Medicina più agile e moderna, con meno affollamenti inutili di ambulatori e pronto-soccorso, meno certificazioni superflue, maggiore attenzione all’igiene e implementazione delle vaccinazioni, più prevenzione e più consapevolezza da parte di tutti. E soprattutto, maggiore investimento sulla Salute, sulla Ricerca, sull’Innovazione Tecnologica, sulle Politiche Sanitarie.

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