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Le delizie Borboniche: La Reggia di Capodimonte

Fase2: questa domenica il nostro autore ci accompagna virtualmente a visitare la Reggia di Capodimonte 

di Lucio Sandon

Il 10 settembre 1738, con una pubblica cerimonia venne posta la prima pietra del palazzo reale di Capodimonte, nell’area adiacente all’omonimo bosco, dove Carlo di Borbone, appena salito sul trono di Napoli dopo esser stato per due anni duca di Parma e di Piacenza, aveva deciso di creare una grande riserva di caccia e una residenza di corte in un luogo da cui si può ammirare il panorama del golfo e della città, tra il Vesuvio, la collina di San Martino e Posillipo, affidando i lavori agli architetti Canevari e Medrano.

La reggia venne edificata in stile neoclassico, reso originale dal grigio del piperno e dal rosso napoletano, che ancora oggi ricordano la maestosità della dinastia borbonica. Non è certo però se il sovrano avesse avuto dall’inizio l’intenzione di destinare la nuova costruzione a residenza oppure a sede delle raccolte d’arte e alle antichità che giacevano ancora nelle casse sotto i portici di Palazzo Reale. Già dal 1735 Carlo aveva dato disposizione di trasferire a Napoli, le collezioni farnesiane ereditate da sua madre Elisabetta.

La raccolta, costituita da dipinti, disegni, bronzi, oggetti d’arte e d’arredo, medaglie e monete, gemme, cammei, e vario materiale archeologico, venivano dai palazzi della Pilotta e del Giardino a Parma, dal palazzo ducale di Piacenza, dalla residenza di Colorno e da palazzo Farnese a Roma.

Nel 1739 una commissione di esperti venne incaricata dal sovrano di studiarne la più idonea sistemazione a Capodimonte: si stabilì allora di riservare ai dipinti le sale esposte a mezzogiorno e verso il mare, perché più asciutte e meglio illuminate, mentre per i libri, le medaglie e gli altri oggetti furono scelte le stanze che affacciavano verso il bosco.

Prima del saccheggio operato dai napoleonici nel 1799, nella reggia vi erano 1783 dipinti (da notare che l’originale pinacoteca farnesiana contava solo 329 quadri, e neanche tutti furono portati a Napoli da Carlo).

I francesi d’altra parte attuarono numerose opere di urbanizzazione, tra cui la realizzazione di Corso Napoleone, oggi Via Santa Teresa degli Scalzi, con il ponte che supera il vallone della Sanità e mette in comunicazione la reggia con il centro cittadino.

Nel corso dell’ottocento il museo venne arricchito di altre importanti sezioni: dipinti e oggetti preziosi provenienti da monasteri soppressi, donazioni reali e di privati e da successive acquisizioni. E poi antichità egizie, etrusche, volsce, greche, romane, tra cui il famoso Globo celeste, e tutta la collezione Borgia. Vi vennero in tempi successivi trasferite un gran numero di porcellane e Biscuit, l’armeria nel 1864, un salottino di porcellana realizzato per volere della regina Maria Amalia di Sassonia e originariamente collocato nella reggia di Portici, e un pavimento in marmo ritrovato circa cento anni prima in una villa imperiale a Capri, e sistemato temporaneamente a villa Favorita a Ercolano.

Attualmente Capodimonte custodisce opere di Raffaello, di Caravaggio, del Masaccio, di Sandro Botticelli, di Andrea Mantegna, del Tiziano, di Simone Martini, di Annibale Carracci, di Francisco Goya e di tantissimi altri grandi maestri.

Anche i Savoia dimorarono nel palazzo, e a tal proposito vi è una curiosità: la prima pizza margherita, che viene considerata ormai come la pizza napoletana per antonomasia, venne sfornata nel 1899 proprio in questa residenza reale. Raffaele Esposito della pizzeria Brandi inventò la pizza con pomodoro, mozzarella e basilico, i colori dell’Italia. Esposito era stato convocato dai reali per omaggiare Margherita di Savoia, e l’artigiano scelse di attribuire il nome della regina alla pizza creata per l’occasione. C’è una lettera del 1889 di Camillo Galli, capo dei servizi della tavola della casa reale, che riporta: Le confermo che le pizze da Lei confezionate per Sua Maestà la Regina vennero trovate buonissime.

Il Real Bosco di Capodimonte nasce come riserva di caccia che si estende a ridosso della reggia per circa 134 ettari, con oltre 400 diverse specie vegetali impiantate nel corso di due secoli. Grazie al clima mite e all’attività di rinomati botanici, sono state impiantate qui molte specie rare ed esotiche, tra le quali canfora e camelie provenienti dall’Asia, magnolie e taxodi delle Americhe ed eucalipti australiani.

Tra i viali sono disposti 17 edifici storici, tra residenze, casini, laboratori, depositi e chiese, oltre a fontane e statue, orti e frutteti. Per il suo patrimonio storico, architettonico e botanico, il Bosco di Capodimonte è stato nominato nel 2014 parco più bello d’Italia.

Il Bosco venne progettato nel 1734 da Ferdinando Sanfelice, uno dei più grandi architetti del barocco napoletano, il quale immaginò due sezioni distinte per stile e funzione: il giardino vero e proprio nell’area intorno alla reggia, con ampie aperture panoramiche sul golfo di Napoli, e il bosco per la caccia, disseminato di statue, grotte e costruzioni destinate a usi diversi, come la chiesa, le manifatture e le aziende agricole.

Attualmente il Real Bosco di Capodimonte si compone di quattro aree principali:

Lo Spianato, che circonda la reggia tra le due porte ottocentesche di accesso al parco, Porta Piccola e Porta Grande, e offre ai visitatori lo straordinario panorama del Belvedere, che si apre sulla città e sul golfo. Il giardino presenta oggi un assetto frutto delle trasformazioni volute dai Savoia, che vi impiantarono le alte palme delle Canarie che circondano il palazzo e commissionarono la scenografica fontana, composta da maestose figure e delfini di marmo bianco.

Il giardino Anglocinese, una delle principali delizie del Real Sito, conserva la conformazione datagli intorno al 1840 da Friederich Dehnhardt, capo giardiniere dell’orto botanico: una composizione armonica di praterie e boschetti con alberi secolari, dove si osservano rari esemplari esotici. Nei boschetti circostanti si trovano magnolie, tassi, cipressi, pini, uno splendido cedro del Libano, e una Melaleuca pianta piuttosto rara, impropriamente detta albero della carta.

Il giardino Barocco: qui una porta maestosa che conserva i gigli borbonici nella bella cancellata di ferro, conduce attraverso un ampio emiciclo al tracciato settecentesco del bosco, ispirato al giardino barocco con impianto geometrico. Delineato nel 1735 da Antonio Canevari, l’impianto fu ultimato da Ferdinando Fuga verso il 1760. Dall’emiciclo partono cinque viali che s’irradiano a ventaglio nel folto del bosco, la cui vegetazione prevalente è costituita da lecci, tigli, aceri, roverelle e carpini.

Il giardino Paesaggistico pastorale, da Porta Caccetta a Porta Miano, ospitava fino ai primi decenni dell’ottocento, il cosiddetto Chiuso della Fagianeria, un recinto per la schiusa dei fagiani, alimentati col frumento coltivato nei terreni adiacenti, e utilizzati per le battute di caccia reali.

A partire dal 1835, i botanici Gussone e Dehnhardt rimodellarono il terreno creando colline e praterie, macchie a bosco ed alberature isolate, esotiche o autoctone. Un paesaggio pastorale, in cui sopravvivono edifici monumentali come l’antica fabbrica della porcellana di Capodimonte e la chiesa di San Gennaro, insieme a strutture legate alle attività produttive del cosco come la Capraia, che includeva locali per usi agricoli, stalle e rimesse.

 

Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio.

Notevole è il suo penultimo romanzo, “La Macchina Anatomica”, Graus Editore, un thriller ambientato a Portici, vincitore di “Viaggio Libero” 2019. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario veterinario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal suo ultimo romanzo “Cuore di ragno”, ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto Cuori sui generis” 2019.

Sempre nel 2019,  il racconto “Nome e Cognome: Ponzio Pilato” ha meritatola Segnalazione Speciale della Giuria  nella sezione Racconti storici al Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno, mentre il racconto “Cuore di ragno” ha ricevuto la Menzione di Merito nella sezione Racconto breve al Premio Letterario Internazionale Voci – Città di Roma. Inoltre, il racconto “Interrogazione di Storia”  è risultato vincitore per la Sezione Narrativa/Autori al Premio Letizia Isaia 2109.

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