Cultura

L’Osservatorio Vesuviano, il più antico del mondo

di Michele Di Iorio

L’Osservatorio Vesuviano è una delle tante eccellenze borboniche dovute a Ferdinando II. Infatti, durante il viaggio a Parigi del 1838, il re rimase colpito dall’innovazione tecnologica e dagli strumenti scientifici del Conservatorio di Arti e Mestieri. Si rivolse dunque al fisico francese François Arago per farsi consigliare uno scienziato che avrebbe potuto dirigere una analoga istituzione a Napoli.

Arago, invece, consigliò che era più importante la costruzione di un Osservatorio Vulcanologico per monitare il Vesuvio. Suggerì dunque al sovrano di rivolgersi allo scienziato Alexander von Humboldt, eminente geologo tedesco, caldeggiando inoltre la candidatura del suo amico e allievo Macedonio Melloni.

Il fisico Melloni, nativo di Parma, liberale e massone, nel 1831 era stato allontanato dal ducato e dall’Università. Esule a Londra, si trovava da tempo a Parigi, dove collaborava con eminenti scienziati che studiavano la propagazione del calore e il campo magnetico terrestre.

Contattato da von Humboldt, Macedonio Melloni accettò l’incarico e giunse a Napoli il 10 luglio del 1839. Venne nominato da Ferdinando II direttore del Real Osservatorio Vesuviano.

La costruzione della sede, posta su Monte dei Canteroni o Colle del Salvatore del vulcano, fu realizzata da operai del Genio Militare borbonico nel 1841 su progetto dell’ingegnere Gaetano Fazzini (1806-187). L’Osservatorio vesuviano è dunque il più antico osservatorio vulcanologico del mondo.

L’Osservatorio Vesuviano, una elegante palazzina in stile neoclassico, venne inaugurato il 28 settembre 1845 in occasione del Congresso Italiani degli Scienziati, tenutosi a Napoli. Gli importanti ospiti furono ricevuti dal Melloni che nel suo discorso di benvenuto illustrò il programma di lavoro e di studio del  Real Osservatorio Metereorologico Vesuviano.

Macedonio Melloni utilizzò i fondi stanziati da Ferdinando II – ben 300mila ducati d’oro – anche per abellire e decorare l’edificio, dotando l’Istituto di pregevoli affreschi e di una ricca biblioteca.

Nel 1847 Melloni si recò a Parigi per acquistare strumenti scientifici all’avanguardia, ma al suo ritorno ebbe una amara sorpresa: sospettato di complicità con i patrioti liberali nei moti del 1848 di Napoli, dopo un severo giudizio venne destituito da ogni incarico.

Il fisico Melloni restò confinato agli arresti domiciliari nella sua abitazione di Portici, Villa Luisa, dove morì di colera nel 1854. Tutta la strumentazione scientifica dell’Osservatorio venne portata al Gabinetto di Filosofia della Real Università di Napoli.

Ferdinando II fece riaprire l’attività scientifica e di controllo del Vesuvio e dei terremoti e della Meteorologia dell’Osservatorio, nominando un nuovo direttore, Giuseppe Palmieri, docente di Filosofia, che ottene nel 1852 il permesso di utilizzare l’Osservatorio vesuviano per i suoi studi. Intanto era stata sistemata della strada che portava al vulcano.

Palmieri realizzò il Museo dell’Osservatorio Vesuviano, esponendo i primi reperti delle eruzioni dal 1850, strumenti e sismografi del 1700 e una parte dei libri nella biblioteca dell’Osservatorio. In bacheche di vetro mise in mostra la collezione geofisica, ovvero esemplari di lava, rocce, minerali e ceneri vulcaniche.

Alla morte di Palmieri, il direttore fu per breve tempo il pontoniano Eugenio Semmola. Successivamente, la guida dell’Osservatorio passò al geologo Raffaele Vittorio Matteucci, che lo resse fino al 1909. Fu quindi la volta del geologo, sismologo, vulcanologo e sacerdote cattolico Giuseppe Mercalli, che resse la guida fini al 1914.

In seguito l’istituto dell’Osservatorio fu retto da molti altri scienziati, tra cui ricordiamo Alessandro Malladra, Giuseppe Imbò, Paolo Gasparini, Giuseppe Luongo, Lucia Civetta, Giovanni Macedonio, Marcello Martini, Giuseppe De Natale.

Al giorno d’oggi la suggestiva antica sede dell’Osservatorio vesuviano ospita ancora il Museo e la Biblioteca storica. I laboratori e la Sorveglianza sono stati trasferiti al Centro di osservazione di Fuorigrotta.

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