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L’ultima meraviglia di Portici

di Tonia Ferraro

La grandiosa struttura del Galoppatoio Reale coperto della Reggia di Portici nacque per volere di Ferdinando IV di Borbone.

Non è cosa da poco descrivere l’aria che si respira tra quelle mura: riempie d’orgoglio trovarsi all’interno di questa magnifica opera d’ingegneria borbonica.

La struttura, per lungo tempo dimenticata, violentata dagli stolti e dagli incivili, adesso è salvaguardata dall’Ateneo Federico II e dal Dipartimento di Agraria, cui è stata affidata dal Demanio in concessione perpetua.

Nel corso del lungo recupero, sapienti restauri fatti con passione hanno riportato  agli antichi fasti il Galoppatoio. Nel corso dei lavori, dapprima vennero demolite le sovrastrutture risalenti a metà del ‘900 – quando fu utilizzato come deposito – e poi si passò al risanamento dall’umidità e alla disisnfestazione delle strutture lignee. Quindi iniziò il recupero vero e proprio: staticità,  consolidamento delle pavimentazioni, degli elementi lapidei, delle strutture lignee,  in particolare della capriata palladiana.

I lavori, realizzati con fondi europei e diretti dall’architetto Ciro La Greca, proseguirono tra mille problemi da affrontare volta per volta, ma anche tante soddisfazioni, non solo per la meraviglia della capriata palladiana  ma anche per le intuizioni nel ricostruire le parti mancanti, per la probabile individuazione dell’uso originario di alcuni elementi, per il ritrovamento di tracce di vissuto quotidiano. Come ad esempio, la scoperta sotto strati e strati d’intonaco – rimosso con un bisturi da restauro –  del graffito di un vascello inglese, forse un omaggio alla forte presenza dei figli d’Albione nel Regno, e del disegno di un pentagramma con alcune note – tracciato con la “sanguigna”, una matita rossa in uso fino al 1806 – che all’epoca suscitarono grande interesse tra gli esperti.

Per saperne di più LoSpeakersCorner ha richiesto al disponibilissimo Maestro Leopoldo Fontanarosa una consulenza musicologica, che ha precisato che il pentagramma « … sembra essere scritto da qualcuno che aveva i primissimi rudimenti della musica ma non da un musicista. All’inizio del rigo sembra non esserci la chiave, almeno che quella C non volesse indicare una chiave di basso, che però correttamente va scritta al contrario. Anche il tempo non è segnato ed il valore delle note non è coerente con una misura stabile. Le prime quattro note sono quattro sol semiminima che vanno ad indicare un 4/4. La seconda battuta dovrebbe essere anch’essa costituita da note che vanno a riempire i 4/4, invece sono quattro semicrome che riempiono un solo quarto. Le note sono fa, mi, re, mi. La terza e la quarta battuta si leggono male ma presentano lo stesso problema. Quindi penso si tratti solo di uno scarabocchio di qualcuno che voleva “giocare” con i rudimenti di musica acquisiti.»

Mentre la consulenza sul vascello è stata gentilmente fornita dall’ingegnere navale Lucio Militano, autore, tra l’altro, di libri molto ben documentati sulla Marineria Borbonica: «Il disegno è molto schematico e fatto, probabilmente, non da uomo di mare per certi errori sulla struttura degli alberi e la forma dello scafo. Armata a “nave” con tre alberi a vele quadre, tre vele di prua (fiocchi) e vela di poppa. La vela di poppa (randa di mezzana) fa pensare ad un armamento velico tipico della seconda metà del XVIII secolo in poi; sullo scafo si vedono i portelli dei cannoni, ve ne sono 32 evidenti nei due ponti inferiori e dovrebbero essercene altri 5/6 sul ponte di coperta, per un totale (stimato) di 80 cannoni. In tal caso sarebbe un vascello di terzo rango secondo la terminologia in uso preso la Royal Navy (secoli XVIII, XIX). La nave potrebbe essere la rappresentazione di una della flotta di Nelson al tempo di Ferdinando IV ( ma anche successivo). Era un tipo di nave molto diffuso nella Royal Navy, infatti nel 1805 su 175 navi, 147 erano di terzo rango. Per la cronaca il vascello Monarca della Marina Duosiciliana (costruito a Castellammare di Stabia) e trasformato in nave a propulsione meccanica ad elica nel 1854, apparteneva a questa classificazione (detta anche a due ponti). Potrebbe essere stata una nave di questo tipo.»

L’entusiasmo dei tecnici che hanno lavorato al recupero e al restauro del Galoppatotio Reale aleggia ancora tra quelle mura. Dispiace perciò che i due graffiti rinvenuti, lasciati a vista, non siano adeguatamente protetti e segnalati. Il loro valore non è certo scientifico né artistico, ma sono una testimonianza preziosa lasciata da persone vissute secoli fa che erano al servizio dei Borbone.

Visitare il Galoppatoio coperto è un’esperienza speciale. Il cavalcatoio è secondo per dimensioni solo a quello  austriaco della residenza imperiale di Hofburg, ma pochi sanno che è stato il primo ad essere costruito: quello austriaco fu inaugurato  solo tre anni dopo in occasione della visita a Vienna della coppia reale Ferdinando IV e Maria Carolina. Si sa, infatti, che l’imperatore Giuseppe, accompagnando a Napoli la sorella che andava sposa a Ferdinando, rimase ammirato dalle opere borboniche, tanto da far eseguire disegni sia del cavalcatoio che dei giardini della Reggia di Capodimonte, per poi realizzarli in Austria.

Il Galoppatoio di Palazzo Mascabruno si estende su un’area di circa 600 m²: è un rarissimo esempio di maneggio coperto per l’addestramento dei cavalli.

I lavori iniziarono intorno al 1742 sotto la direzione dell’ingegnere camerale Tommaso Saluzzi, trasformando una struttura preesistente nelle Reali Scuderie.

Qui un tempo i cavalleggeri si addestravano sul Cavallo Napolitano, una razza equina autoctona, forte e affidabile in battaglia, vanto della cavalleria borbonica e famoso in tutt’Europa. La sua conformazione morfologica predisponeva il cavallo sia al tiro che alla sella, in particolare al dressage e all’alta equitazione.

Ai lati del portone di Palazzo Valle, proprio di fronte al Palazzo Mascabruno, sono visibili due teste in marmo del Corsiero Napolitano che ben evidenziano il forte carattere e le caratteristiche di questo splendido animale.

Le esercitazioni militari dei cavalleggeri duosiciliani avvenivano infatti nella grande piazza d’armi interna a questo antico edificio.

Nel Galoppatoio si trova uno scalone interno di ottima fattura – in pietra lavica di superficie e perciò chiara, estremamente pregiata – che mette in comunicazione con il giardino. Dall’importanza di questa struttura in piperno si suppone che non fosse una semplice scala di servizio ma piuttosto l’ingresso riservato al re, che vi accedeva direttamente passando dal grande bosco di elci.

La capriata – ovvero la controsoffittatura lignea del Galoppatoio – del tipo usato dal Palladio nelle sue famose Ville Venete, è una grande opera d’ingegneria che ha sfidato i secoli. In uno degli angoli aveva ceduto, ma nonostante tutto reggeva ancora e grazie agli interventi statici continuerà a reggere chissà per quanto. A vederla dall’alto si nota che è una chiglia rovesciata: si pensa perciò sia stata realizzata dai maestri d’ascia marinari del luogo.

La capriata è un’opera talmente grandiosa che per scelta architettonica è stata lasciata a vista. Originariamente, esisteva un camminamento che permetteva il controllo e la cura degli elementi lignei, ormai scomparso. Si era pensato di ricrearlo, non solo per effettuare la necessaria manutenzione, ma anche per dare la possibilità ai visitatori di osservare da vicino la capriata, ma purtroppo non è arrivato il placet della Soprintendenza.

L’Università Federico II ha deciso di condividere il Galoppatoio Reale coperto mettendo a disposizione gli spazi per eventi di alto valore, come quelli scientifici della Fondazione Portici Campus ma anche per quelli natalizi organizzati dal Dipartimento di Agraria.

A questa prestigiosa istituzione, che con la sua presenza ha preservato nei secoli l’integrità del Complesso Monumentale della Reggia di Portici, va il caloroso plauso della cittadinanza per l’intraprendenza, la lungimiranza e la disponibilità.

(Si ringrazia Michele Malaspina per le foto gentilmente concesse)

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