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Migliorare la Sanità Nord | Sud: ci vogliamo provare?

Passata l’emergenza Coronavirus, la visione sul futuro della Sanità pubblica del dottor Siro Grassi, Primario Ortopedico alla Clinica Santa Rita di Atripalda

di Mario Pasquale

Il dottor Siro Grassi, Primario Ortopedico alla Clinica Santa Rita di Atripalda, Avellino, nello spirito di collaborazione e partecipazione che lo contraddistingue, mercoledì 23 aprile ha affrontato in diretta sulla pagina Facebook del Medical Center Rocco, alcune tematiche, tra cui Sanità Nord-Sud.

Siro Grassi nel suo curriculum annovera non solo brillanti risultati clinici, ma ha sempre dimostrato una grande professionalità e etica lavorativa, oltre a una rara capacità organizzativa. In questo senso ha maturato negli ultimi anni alcune proposte innovative al fine di correggere le storture e paradossi che caratterizzano la gestione del Sistema Sanitario, in particolare quello del Sud nel suo rapporto con il Nord.

Il dottor Grassi è partito dalla considerazione che in questo momento di pandemia per ovvie necessità le altre malattie vengono messe in secondo piano. Si calcola infatti che tra febbraio e maggio 2020 verranno rimandate oltre un milione di prestazioni sanitarie. Passata l’emergenza, queste dovranno comunque essere soddisfatte nel più breve tempo possibile, e le strutture pubbliche e del privato convenzionato si troveranno a sopportare un carico di lavoro enorme.

Il dottor Grassi, ha sottolineato che la gestione della epidemia Covid, ha dimostrato ancora una volta che il primo obiettivo deve essere la salute del paziente e il suo benessere.

Purtroppo oggi, soprattutto nelle regioni del Nord, con una Sanità sempre più delegata a gruppi privati, si privilegia il profitto o il pareggio di bilancio piuttosto che ricercare il miglior trattamento possibile secondo le risorse a disposizione.

Ecco così che soprattutto i grossi gruppi sanitari privati si sono organizzati allo scopo di “scegliere” le patologie più convenienti da un punto di vista economico, lasciando alla Sanità Pubblica il compito di gestire la dispendiosa emergenza, le rianimazioni e soprattutto la Medicina Territoriale e di Prevenzione, che benché indispensabili, sono quasi sempre in perdita.

Nel Sud questo tipo di visione della Sanità per ragioni storiche, economiche ma anche etiche e di tradizione, è sempre stata meno percorsa, preferendo al profitto una assistenza che è sempre stata più “solidale”. Questo è di certo uno dei motivi che ha permesso al Meridione di reagire molto meglio all’emergenza Covid.

Ma perché nelle regioni settentrionali è più semplice organizzare un sistema che determina un incredibile profitto sanitario? Va fatta una piccola premessa: gli Ospedali e le Cliniche Convenzionate di tutta Italia, sono pagate a prestazione, ovvero più prestazioni vengono eseguite (ricoveri, interventi, trattamenti), più si guadagna.

Per evitare il rischio di un eccesso di prestazioni, anche inutili o ripetitive, sono eseguiti dalle ASL e dagli organi competenti regionali, una serie di controlli.

Ancora più importante è il fatto che a ogni struttura convenzionata viene attribuito un tetto di prestazione annuale detto “budget”, che di norma viene raggiunto ben prima della fine dell’anno. Stranamente nelle regioni in deficit e commissariate, come sono state fino ad oggi quasi tutte le regioni meridionali, il budget è fisso, mentre nelle virtuose regioni del nord, un paziente che viene da un’altra regione non rientra nel budget, ma il suo rimborso viene pagato dalla regione di provenienza, e si aggiunge al “tetto” della struttura.

È logico quindi che queste strutture siano notevolmente stimolate a favorire una migrazione sanitaria, che viene ricercata in tutte le maniere possibili: alta qualità delle prestazioni con i medici più famosi e di moda, ottima qualità alberghiera, facilitazioni di tutti i tipi per pazienti ed accompagnatori. Inoltre, le liste di attesa per i pazienti extraregione sono estremamente ridotte rispetto ai pazienti della regione stessa e i medici che riescono ad invogliare i pazienti a cambiare regione ricevono, legalmente e per contratto, alte percentuali sul valore della prestazione.

Questo spiega perché tanti medici del Nord vengono nel meridione a fare studio e perché tanti medici meridionali preferiscono – e in un certo modo sono costretti, come vedremo dopo – a operare extraregione.

Dall’altra parte, invece nelle regioni in deficit la situazione è paradossale: il paziente extraregione rientra nel budget regionale, e non lo incrementa in alcun modo. Anzi, operare ad esempio in Campania un paziente di Milano significa sottrarre ai campani una prestazione. Per di più, essendo i budget regionali per struttura convenzionata relativamente bassi, queste non hanno alcun interesse ad incrementare l’attività, con il risultato che negli ultimi mesi dell’anno gli interventi vengono rimandati regolarmente all’anno successivo (il budget è di solito già esaurito) e i chirurghi libero-professionisti campani, che sono tra l’altro estremamente bravi, non sono ricercati dalle stesse cliniche convenzionate campane per svolgere la propria attività in casa, visto che queste raggiungono con facilità il tetto.

Secondo i dati del Censis (Centro Studi Investimenti Sociali), i ricoveri fuori regione calcolati da Quotidiano Sanità sulla base delle SDO (schede dimissione ospedaliera) nel 2017 sono stati circa 930.000, con un giro di affari di circa 4,6 miliardi di euro.

Uno dei primi passi da compiere è dunque correggere questi possibili conflitti di interesse che porta a innescare nelle regioni non commissariate un meccanismo tortuoso che favorisce cliniche e medici a procurarsi più malati per incrementare il guadagno.

E la migrazione dal Sud verso il Nord è una delle principali cause del dissesto della Sanità nel Meridione. Ogni anno, ad esempio, la Campania paga oltre 300 milioni di euro per la migrazione sanitaria verso il Nord, circa un quinto dell’intero fatturato, sottraendo risorse che potrebbero essere impiegate in casa e arricchire le regioni di destinazione in modo che possano così investire ancora di più in strutture e personale.

E in questo meccanismo la regione che riceve più denaro nella migrazione è proprio la Lombardia, con circa 800 milioni di euro all’anno.

Un fenomeno che viene incoraggiato dalla politica sanitaria del nord: sono state create strutture ospedaliere specializzate in alcune malattie, molto remunerative, a scapito della assistenza di solidarietà e di alcune prestazioni a basso incasso economico, con le conseguenze drammatiche che si sono riscontrate in questo grave stato di pandemia.

Invece se in Italia ogni attore – non solo medici, infermieri, operatori del settore ma soprattutto i politici – svolgessero i compiti che gli competono nel migliore dei modi e con coscienza si potrebbe raggiungere dappertutto una Sanità d’eccellenza a costi ridotti rispetto a quelli attuali.

Infine il dottor Grassi ha sottolineato che per rendere veramente efficiente la Sanità Nazionale bisogna che la Politica ristabilisca il giusto equilibrio tra nord e sud del Paese e tra pubblico e privato.

Un primo correttivo sarebbe proprio quella di creare nelle regioni del sud le condizioni per trattenere in casa i tanti ottimi specialisti che emigrano fuori regione con i propri pazienti, magari rendendo extrabudget le prestazioni che più frequentemente vengono attirate extraregione.

Un’altra idea particolarmente intrigante sarebbe quella, cancellato il vincolo dell’intrabudget per prestazioni sanitarie effettuate extraregione, di creare in Campania delle strutture di eccellenza, anche con accordi pubblico-privato magari in luoghi di alto interesse turistico (Penisola Sorrentina, Costiera Amalfitana, Cilento…) dove attrarre una migrazione sanitaria di alto livello legata a bellezze e attrattive uniche al mondo, con enormi ricadute anche di tipo economico su tanti altri settori come l’alberghiero e la ristorazione.

Un pensiero su “Migliorare la Sanità Nord | Sud: ci vogliamo provare?

  • Elisa Festa

    Il dr Siro Grassi persona di grande sensibilità ed etica, si potrebbe apportare una rinascita e ripensare la sanità on spirito nuovo, così come fu dopo il 25 aprile di 75 anni fa

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