Cultura

Napoli, la grande bellezza

di Michele Di Iorio

 

La città di Napoli fu fondata nel 680 a.C. dai greci di Cuma con il nome di Palepoli. Rifondata come Neapolis dai greci eubei nel 474 a.C., divenne quindi Municipio romano.

Infinite sono le tracce di queste grandi civiltà che sono le radici della città di Napoli. In un itinerario ancora vivo s’incontra il grande teatro greco-romano che si trova tra il Decumano superiore, l’attuale via Anticaglia, e il Decumano maggiore di via Augustale che passa accanto al foro romano edificato sopra la precedente agorà greca, non lontano dal Decumano inferiore, oggi via San Biagio dei Librai, scorrendo tra stupendi templi come quello dei Dioscuri, poi chiesa di San Gaetano, quello di Apollo, con il suo collegio delle sacerdotesse di Demetra e di Apollo,  le future sibille di Cuma e del Campidoglio di Roma, divenuto poi la chiesa di San Gregorio Armeno.

Proseguendo un tempo si potevano ammirare anche i templi di Giove, Minerva, Diana che sorgevano tra gli splendidi palazzi romani, fagocitati da architetture e stili delle dominazioni che si succedettero nei secoli. E sorsero palazzi patrizi a via Anticaglia, come quello del 1310 dei principi Capece Zurlo, dei Caracciolo di Avellino, e la dimora dell’imperatore di Costantinopoli, quella di Filippo figlio di re Roberto d’Angiò del 1360.

Tutt’intorno sorsero le chiese di Santa Maria delle Anime del Purgatorio, della Madonna della Pietrasanta, di San Lorenzo e Santa Chiara, e non lontano la chiesa di Sant’Eligio. Ancora altri palazzi nobiliari e conventi, chiese, dalla dimora reale del Maschio Angioino al normanno Castel dell’Ovo, da Castel Capuano a Castel del Carmine, dalla chiesa normanna dell’Incoronata al Carmine Maggiore e a quella di San Gaetano.

Stili diversi si stratificavano arricchendo una città che già la natura  aveva creato fantasmagorica, artisti che di secolo in secolo donavano il loro genio, alcuni famosi ancora oggi, altri non meno grandi di cui si è perso il nome … Dal regio architetto della regina Giovanna Durazzo, don Jacopo De Santis del 1300 al francese Pietro d’Angicourt del 1266, con la sua scuola francese angioina, soppiantata dalla schola di pittori e di scultori proveniente dalla Catalogna spagnola di Palma di Majorca del 1460, che  rifecero interamente il Maschio Angioino secondo il  loro stile che vide la sua apoteosi nell’Arco di Trionfo del castello “nuovo”, fino alle mura con i camminamenti di ronda, la torre del tesoro, la cappella palatina e il mistero delle croci aragonesi in ricordo delle croci templari o del nuovo ordine spagnolo neotemplare di Santa Maria di Montesa.

E ancora Palazzo Cuomo nell’attuale via Duomo, testimone dell’amore tra re Ferdinando I d’Aragona e Lucrezia d’Alagno, e Palazzo Sanseverino di Bisignano dei principi di Salerno a piazza del Gesù.

Fontane, porte, archi, canali, acquedotti, giardini, strade, piazze in una Napoli capitale della cultura, dove fiorivano accademie letterarie, come quella Pontoniana che ebbe la sua prima sede sotto i portici del Palazzo dell’imperatore di Costantinopoli. Culla dell’Università istituita da Federico  II di Svevia, che trovò spazio prima a San Lorenzo e poi  fu trasferita nella chiesa di San Domenico Maggiore dal 1269  e poi ancora a Palazzo Caracciolo in via Anticaglia. Una città la cui popolazione cresceva enormemente, sebbene funestata da epidemie e calamità naturali.

Dal 1734 Na poli ebbe una nuova fioritura con l’impulso datole dall’insediamento della dinastia dei Borbone: nuove chiese e palazzi segnarono il trionfo della capitale del Regno del Sud.

L’illuminato Carlo III fece costruire siti reali e regge: oltre al rifacimento del dimora di Largo di Palazzo, oggi  – ironia della sorte – piazza del Plebiscito, sorsero la reggia di Capodimonte e quella di Portici, e dal 1738 il volere del sovrano favorì l’insediamento della corte  nelle meravigliose Ville Vesuviane, oggi patrimonio dell’UNESCO. In particolare, la reggia porticese si trovava a due passi dal sito dove erano state rinvenute le tracce dell’antica Herculaneum.

La città e i suoi dintorni con i Borbone continuarono a crescere: non solo arte, ma anche opere pubbliche e sociali, come il  monumentale Real Albergo dei Poveri, che poteva accogliere 8mila indigenti. Furono favoriti gli studi, istituendo ad esempio il Real Orto Botanico, migliorate e create strade. Un occhio attento fu riservato alla formazione militare con l’istituzione dell’accademia militare per ufficiali della Nunziatella, ma anche al commercio, con la sistemazione del mercato coperto.

Nel 1782 venne inaugurata la Real Villa di Chiaja, l’attuale  Villa Comunale, mentre la Regia Università degli Studi trovò sede nell’attuale edificio del San  Salvatore e nel 1787 il Real Museo Nazionale al Palazzo Teresa dell’attuale via Foria.

La città ebbe anche uno sviluppo marittimo con la costruzione del Molosiglio, ovvero il porto mercantile, il molo San Gennaro, dove trovarono posto i cantieri navali e il molo San Vincenzo, il porto militare.

E Napoli nell’epoca d’oro borbonica  confermò la su vocazione di culla di artisti, che esaltarono le grandi opere del passato commissionate dai dominatori di turno a grandi artisti come Tiepolo, Giotto, Caravaggio, Belisario Corenzio, per non dimenticare le scuole pittoriche di Posillipo e di Portici.

Il genius loci del Regno attirò da ogni parte del mondo eccelsi architetti, straordinari musicisti, scrittori, scultori. Le arti fiorirono in tutte le loro espressioni, dalla porcellana alle ceramiche e all’artigianato, gli archeologi trovarono un inesauribile filone per le loro scoperte. Anche l’industria e la ricerca scientifica erano all’avanguardia e – relativamente al periodo storico – la popolazione godeva di una certa libertà e discreto benessere.

L’eredità lasciata dai dominatori stranieri che si innamorarono ed esaltarono questa magnifica terra fa parte del tessuto sociale di Napoli, ma la città purtroppo non ne ha più contezza …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *