Cultura

Perfect day, la recensione

di Francesco “Ciccio” Capozzi

1995, all’indomani della fine della guerra nell’ex-Jugoslavia, in Bosnia, un gruppo di cooperanti alle prese di un cadavere da alzare da un pozzo: ma manca la corda…

Un film (SPAGNA, ‘15) strano: prodotto europeo, ma con un cast hollywoodiano; “si presenta” con un’ambientazione e con fatti di Bosnia, ma girato in Sierra Nevada  e Granada. Il regista è il madrileno purosangue Fernando Leòn de Aranoa, che l’ha anche sceneggiato.

Eppure c’è molta verità, sulla straziante pagina della guerra che dal ‘92 al ‘95 ha insanguinato quella parte d’Europa a noi così vicina. Soprattutto in relazione alla fase più difficile: la fine di essa e la ricostruzione se non della pace, almeno di una decente convivenza.

In Bosnia i cooperanti galleggiano in un’atmosfera rarefatta. Perché sono gente che fa il volontario non solo per vocazione, ma anche  per mestiere. Sono uomini di buona volontà che cercano di mettere delle pezze: limitate, poco incisive, ma almeno ci provano. E vanno incontro alle difficoltà e intralci più svariati, alcuni oggettivi ma altri – molti, per la verità – dettati da pura e presuntuosa  stupidità cui si accoppia il più spregevole utilitarismo. Ma – ed è questa la più riuscita caratteristica del film – dando all’insieme un ritmo da commedia.

La soggettività è filtrata dalle dialettiche interne al gruppo, di come i volontari s’interfacciano tra loro e con la autorità di fatto cui sono sottoposti. Gli attori sono a loro agio in questa dimensione sospesa: Benicio Del Toro, il protagonista, su tutti, per intelligenza e apparente cinismo. Tim Robbins, con eleganza, spinge sul pedale dell’eccesso grottesco.

La fotografia, di Alex Catalàn, ha creato una stupenda quanto inaccessibile Bosnia tra le montagne dell’Andalusia.

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