Società

Un autunno col Coronavirus

Dal nostro medico Carlo Alfaro: come affrontare questo strano autunno contrassegnato dall’aumento dei contagi

Il dottor Alfaro è Dirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi, componente  della Consulta Sanità del Comune di Sorrento, Consigliere Nazionale di SIMA e Responsabile del Settore Medicina e Chirurgia dell’Associazione Scientifico-culturale 

Volge al termine questa strana estate “col” Coronavirus, gravata dalla tensione per la costante risalita dei contagi, in rapporto al rifiorire delle occasioni sociali e della ripresa di attività quali discoteche e viaggi, e dalle preoccupazioni del non facile ritorno alla quotidianità del dopo-vacanze, col momento cruciale della riapertura delle scuole.

L’Italia, colpita da un’epidemia particolarmente violenta, in particolare in Lombardia, a partire dalla fine di febbraio 2020, è stata presa a modello, a livello internazionale, per la capacità di risposta al virus, anche perché è stato il primo Paese occidentale a essere colpito e ha dovuto urgentemente sviluppare una strategia di contenimento. In Italia il lockdown ha funzionato: le misure del Governo, come quelle delle Regioni, e il comportamento degli Italiani, sono riusciti a piegare la curva epidemica, più che nella stragrande maggioranza dei Paesi europei.

Dopo il lockdown, che ha posto fine alla cosiddetta “prima ondata”, da giugno è iniziata la seconda ondata di Covid-19, in Italia come nel resto del mondo.

La seconda ondata era inevitabile, in quanto, in fase di convivenza col virus, il tasso “zero contagi” è impossibile, e all’aumento dei contatti, a seguito delle riaperture, il virus riprende a circolare.

Secondo gli scienziati, la seconda ondata globale partita da giugno rappresenta non un nuovo inizio, ma piuttosto il prosieguo naturale della prima ondata interrotta dai lockdown, che sono stati efficaci ma non sostenibili a lungo in termini socio-economici.

La seconda ondata si sta caratterizzando, a livello globale, come sottolinea l’Oms, per un aspetto sostanzialmente diverso dalla prima: i contagi si verificano nei giovani sotto i 40 anni e sono spesso asintomatici e paucisintomatici: mentre nella prima ondata c’era una percentuale significativa di casi severi, casi critici, casi già deceduti al momento della diagnosi (riconosciuti mediante tamponi post-mortem), attualmente prevalgono i casi asintomatici e non gravi. Ne consegue che la letalità è bruscamente crollata dalla prima ondata (febbraio-aprile) alla seconda (giugno-agosto).

Le cause di questo cambiamento possono essere molteplici, e variamente intrecciate:

  • sottostima del numero dei casi nella prima ondata per ridotto numero di tamponi (ad esempio in Italia, l’esito dell’indagine sierologica dell’Istat, che ha stimato il numero reale dei contagi sino a giugno, ha rivelato che sono 1 milione e mezzo gli Italiani entrati in contatto con il virus nella prima ondata, circa 6 volte di più di quanti ne sono stati identificati coi tamponi),
  • maggior esposizione al virus dei soggetti più giovani (mentre gli anziani e i malati cronici, più a rischio di malattia grave, sono più preservati),
  • sospetta ridotta patogenicità del virus (uno studio ha internazionale ha provato l’esistenza di una mutazione di una proteina di Sars-CoV-2 che renderebbe questa variante in circolazione più fragile),
  • co-adattamento virus-ospite (che rende la circolazione virale di tipo endemico, cioè a livello basso e poco aggressivo, e non epidemico),
  • misure di contenimento (monitoraggio, igiene, distanziamento, mascherine).

L’abbassamento della media di età dei contagiati (meno a rischio di forme gravi) spiega, almeno parzialmente, la ragione per cui la pressione sulle strutture sanitarie è significativamente inferiore che nella prima fase.

La principale differenza è che attualmente la maggioranza dei casi vengano scoperti e isolati in fase asintomatica, attraverso screening e tracciamento dei contatti, mentre nella prima ondata i tamponi venivano eseguiti solo a persone con sintomi di una certa entità e non si cercavano i portatori asintomatici. I numeri della seconda ondata non possono essere dunque confrontati con quelli dei primi mesi della pandemia. Noi non abbiamo mai conosciuto la fase iniziale dell’epidemia, quando il virus circolava insidiosamente con probabilmente migliaia di asintomatici e paucisintomatici.

L’entità della seconda ondata in Italia si è accentuata nel mese di agosto, complice sicuramente un abbassamento del livello di rispetto delle misure di prevenzione nei comportamenti individuali. Un senso di sottovalutazione del rischio e di ribellione alle regole ha spinto molte persone a un comportamento “normale” per quanto attiene alla vita sociale. Secondo uno studio dell’Università La Sapienza di Roma, pubblicato su Frontiers in Psychology, chi non rispetta le regole per il contenimento dell’epidemia da Covid-19 lo fa spinto dal “disimpegno morale”, che è il comportamento di chi, mettendo in pausa la propria coscienza, si comporta male senza sentirsi in colpa.

L’ultimo report di monitoraggio redatto da ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità rileva che attualmente in Italia ci sono 1374 focolai attivi, con un indice di trasmissione nazionale (Rt), calcolato sui casi sintomatici (e quindi tendente alla sottostima dei casi) pari a 0.7.  Da notare che il report dei casi riflette sempre comportamenti di 3-4 settimane prima.

La Fondazione GIMBE ha confrontato i dati in Italia nell’ultima settimana di luglio e l’ultima di agosto, riscontrando un aumento del 540% dei positivi. Certamente c’è stato anche un aumento dei tamponi (in particolare per una significativa intensificazione dei test rapidi negli aeroporti), e ovviamente “più si cerca più si trova”, ma l’aumento di contagiati è reale: il rapporto casi positivi/casi testati è salito dallo 0,8% al 2,3%. Aumentando i casi totali, aumentano anche i pazienti ospedalizzati (quasi raddoppiati) e proporzionatamente quelli in terapia intensiva, pur senza alcun segnale di allarme per sovraccarico dei servizi sanitari.

Dei nuovi casi che vengono diagnosticati in Italia, circa un terzo sono identificati tramite attività di screening, un terzo nell’ambito di attività di contact tracing, un terzo in quanto sintomatici.

La lotta al virus si basa sul tenere alta la guardia circa i comportamenti individuali (mascherine, distanziamento e lavaggio delle mani) e il livello di sorveglianza clinica (sospetto e accertamento diagnostico di potenziali casi, isolamento dei casi confermati e dei loro contatti stretti, attività di “contact tracing”, in modo da identificare precocemente tutti i potenziali focolai di trasmissione).

Cruciale dunque la disponibilità di molti tamponi, che restano l’unico test standardizzato per la diagnosi di Covid-19. Secondo la proposta del professor Crisanti, il Governo si appresta a varare un piano di estensione massiccia dei tamponi sul territorio nazionale, da 75.000 a 300-400.000 al giorno (applicando il modello veneto di tamponamento di massa).

Dovranno inoltre essere potenziati i sistemi di “caccia ai contatti”, tenendo conto che, data la scarsa adesione degli italiani all’app Immuni (si è arrivati a 5 milioni di downloads, ancora pochi), non si potrà fare troppo affidamento sul sistema di tracciamento informatizzato. Per implementare le misure di ricerca dei contatti, si sta pensando al tracciamento tramite google dei telefonini delle persone che viaggiano, e a incentivi (tampone subito) a chi usa la app Immuni, per la quale hanno finora fatto da deterrente il non essere scaricabile da tutti i telefonini, il consumo veloce della batteria, il timore di limitazioni della propria privacy e, soprattutto, la paura di restare bloccati in casa in attesa del tampone se ci si auto-segnala.

L’autunno segnerà ora il ritorno a scuola e alle altre attività dei bambini e al lavoro di chi stava in smart-working, con le grandi sfide che ciò comporta.

La pandemia ha creato la più grande interruzione dei sistemi educativi nella storia, privando della scuola in presenza quasi 1,6 miliardi di studenti in più di 190 Paesi. Tornare a scuola in sicurezza e garantire il regolare svolgimento delle lezioni in presenza è una priorità di tutti i Governi a livello globale. Con la ripresa delle scuole e del lavoro in presenza per la gran parte dei lavoratori, ogni individuo che presenterà sintomi sospetti – febbre, tosse, raffreddore e mal di gola, diarrea, astenia, disturbi di gusto e olfatto, dispnea – dovrà restare a casa. Per essere riammesso, se manca oltre 3 giorni, sarà necessario il certificato del pediatra o del medico curante che attesti che non è a rischio di contagiare il Covid-19.

Ciò comporterà la necessità da parte del medico o pediatra di famiglia di richiedere molto spesso il tampone (comunicandolo al Dipartimento di prevenzione perché provveda all’esecuzione), essendo impossibile escludere su base clinica l’infezione da Sars-Cov-2 in presenza di sintomi simil-influenzali, con la difficoltà delle famiglie a stare a casa con il minore assentandosi dal lavoro.

D’altra parte, in attesa di tampone, obbligatoriamente il soggetto (anche se non i suoi familiari) è in isolamento, e quindi non può avere contatti (es, nel caso di un bambino, nonni, baby-sitter) e per i genitori non sono stati al momento previsti permessi lavorativi specifici per questa evenienza.

Se tampone positivo, il soggetto va messo in quarantena e isolamento per minimo 14 giorni e riammissione dopo 2 tamponi negativi, se negativo, sarà riammesso dopo scomparsa dei sintomi ed eventualmente- a giudizio del medico- nuovo tampone negativo. L’indicazione è di non fare il tampone ai primi giorni di febbre/sintomi per il rischio di falsa negatività (si positivizza in genere dopo 2-3 gg), a meno di sintomi già all’inizio molto evocativi come disturbi di olfatto e gusto o febbre con tosse e dispnea.

Collegato al problema della frequenza scolastica, c’è quello delle attività extra-scolastiche dei bambini: si raccomandano più attività all’aperto come calcio, tennis, atletica, pattinaggio, equitazione, mentre palestre e piscine richiedono maggiori precauzioni (numeri piccoli di utenti, spazi adeguati al distanziamento, misurazione temperatura all’ingresso, igiene delle mani, sanificazione di ambiente, attrezzi, suppellettili, evitare prolungata permanenza in docce e spogliatoi).

Frattanto, continuano alacremente le ricerche nel mondo per cercare di capire meglio il Sars-Cov-2 e come difendersene. Oggi sappiamo che il periodo di incubazione è di norma di 2-14 giorni dal contagio, in media 5-6 giorni. L’infettività è massima nei giorni precedenti e successivi all’esordio clinico e decade con il tempo. L’infettività è proporzionata alla carica virale (che emerge dal titolo nel tampone).

Non sempre la carica è correlata alla severità della malattia, ma varia da ammalato ad ammalato (può essere alta anche in asintomatici). Esistono i cosiddetti “super-contaminatori”, che sono il 10% dei positivi e contagiano l’80% dei successivi infetti. Sono i soggetti con una carica virale particolarmente alta. Gli asintomatici rappresentano il 26-38% dei casi, ma tra i giovani possono arrivare fino al 60%.

Gli asintomatici spesso però sono dei pre-sintomatici, nel senso che vengono identificati in stadio estremamente precoce ma presentano sintomi successivamente. Gli asintomatici sono contagiosi, ma non si sa esattamente in che misura. Sembrerebbero eliminare il virus in misura minore e per meno tempo e sviluppare meno anticorpi e meno duraturi.

Non è chiaro il motivo per cui alcuni individui rimangano asintomatici mentre altri sviluppino forme gravissime. Dall’indagine Istat sui sierologici, sappiamo che solo il 40% dei conviventi si infetta, eppure i conviventi sono esposti per tempi prolungati, spazi ristretti e norme igieniche meno rigorose. Ci sono aneddotiche infezioni scatenate da contatti fugaci e persone non infettate dopo giorni di convivenza assieme a sintomatici.

Non è noto quanto tempo duri l’infettività. L’infettività è ancora possibile quando compaiono anticorpi documentabili col test sierologico, per cui, in caso di sierologo positivo, è sempre necessario effettuare il tampone. Per documentare la non contagiosità sono richiesti due tamponi negativi. Secondo l’Oms, si può interrompere l’isolamento dopo 3 giorni dalla fine dei sintomi, mai meno di due settimane totali.

La ricerca del Sars-CoV2 mediante PCR nel tampone è un esame molto specifico, ossia c’è una bassissima probabilità di falsi positivi, ma questa probabilità non è zero e aumenta inevitabilmente col numero di tamponi effettuati. Soprattutto, è possibile che, in infezioni di vecchia data, residuino delle particelle virali non più vitali, che danno positività al tampone ma in assenza di infettività.

Uno dei molti dubbi che gravano sul Covid-19, che impatta sulla efficacia dei vaccini e sulla immunità di gregge, è se dopo una infezione ci si possa contagiare di nuovo. In USA è stato riportato un caso in cui una reinfezione ha causato un quadro più grave della prima infezione.

Le grandi speranze per il futuro vengono dalla terapia con anticorpi monoclonali e vaccini. Fino a quando non saranno disponibili, con l’indesiderato Coronavirus dovremo conviverci.

Anticorpi monoclonali© Science Photo Library/AGF

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