Culturateatro

Un piccolo angelo, l’Infanta di Portici

Il piccolo mistero che avvolge il fugace passaggio su questa terra di Vittoria Clotilde Speranza Patria risolto da Alejandro De Marzo con una detective story, l’Infanta di Portici 

Chi si reca nella parte monumentale del Cimitero di Portci, nella terrasanta della Congrega dell’Immacolata, magari avrà notato una lapide “a lunetta”, risalente al 1866, intitolata a una neonata, Vittoria Clotilde Speranza Patria. E certamente ne sarà rimasto incuriosito.

Il tempo non è galantuomo, come il presunto padre di questa piccolina – uomo estremamente «galante», per usare un eufemismo – e ha quasi cancellato l’iscrizione, tanto che la sua memoria è stata tramandata prima da Beniamino Ascione, poi da Pietro Gargano, e in ultimo, ma non ultimo, lo storico Stanislao Scognamiglio nel suo libro Portici lapidaria, volume primo.

L’iscrizione, piuttosto oscura, non riporta la paternità di Vittoria, né accenna alla madre. Non invita alla preghiera, anzi pare esorti a dimenticare il suo fugace passaggio su questa terra. E non fu la madre e neppure il padre che ebbe pietas delle spoglie di questo angioletto, ma una donna dal cuore buono, nobile di lignaggio e di animo, che predispose il sacello per Vittoria.

E comunque ancora oggi viene ricordata: la pièce teatrale Infanta di Portici, scritta da Alejandro De Marzo ne ha  rinverdito il ricordo. Al centro la vicenda più che i personaggi: attraverso un metodo investigativo storico, consultando archivi e documenti, è stata ricostruito lo scenario di tempi non felici della nostra terra, quando la rapacità dei potenti coglieva tutto ciò che ritenevano una proprietà, senza rispetto per le persone né per i sentimenti.

Angelo Alejandro De Marzo, classe 1977, è nato Caracas, Argentina, ma vive a Bari. Docente di Comunicazione e Media Consultant per televisioni e istituzioni pubbliche, coltiva attività artistiche e musicali e svolge promozioni culturali. Dottore di ricerca in Teorie dell’Informazione e della Comunicazione all’Università di Macerata, è laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Roma La Sapienza. Ha inoltre conseguito i Master in Programmazione e Produzione Televisiva e in Drammaturgia e Cinematografia. Al suo attivo ha la pubblicazione Qualità televisiva, 2009, FrancoAngeli Edizione. Nel 2019 è risultato vincitore nella sezione Testi teatrali del Premio Massimo Troisi.

LoSpeakersCorner ha avuto una interessante conversazione con il professor De Marzo.

Come è nata l’idea della pièce Infanta di Portici?

La scrittura della pièce nasce su suggestione della professoressa Giuseppina Scognamiglio riguardo l’ultima pubblicazione di Stanislao Scognamiglio “Portici lapidaria”, in cui individua appunto un’epigrafe strana ed affascinante: “Vittoria Clotilde Speranza Patria, Portici 1866”. Precisamente poi l’iscrizione tombale riporta: “Qui giace Vittoria Patria / nata da due subalpine terre / qual fiore appena sbocciato / vidde troncata la vita / in tirreno lido / non pregate per lei / è un angelo in cielo”. È evidente che il carattere alquanto enigmatico della scritta mi ha incuriosito, spingendomi a inventare un Atto Unico teatrale proprio quale mia tesi di fine Master in Drammaturgia all’Università Federico II di Napoli, basandomi su tale input e operando naturalmente ricerche storiche domandando aiuto al mio prezioso Stanislao Scognamiglio.

Come mai l’argomento ha suscitato il suo interesse?

Perché riguarda in un certo qual modo la storia d’Italia, in quanto la piccola defunta Vittoria Patria sarebbe stata probabilmente il frutto dell’ennesima relazione extraconiugale del sabaudo Vittorio Emanuele II (in una delle permanenze della corte alla Reggia di Portici) e perciò sua figlia naturale illegittima. Nel 2021 inoltre. credo ricorra un anniversario storico legato a Vittorio Emanuele II, per cui la scelta di formulare una drammaturgia partendo da questa situazione ha utilità per le compagnie teatrali e illumina su temi quali la genitorialità responsabile; il senso della famiglia; la consueta prevaricazione dei ceti alti e al contempo la perpetuazione di legami di asservimento anche tra le fasce sociali più basse; la mancata vera equiparazione post-unitaria del meridione italico e denuncia di democrazia nazionale incompiuta pur se repubblicana; la contro-replica civica e popolare al sapere istituzionalizzato e la forza della cultura tradizionale delle masse; l’emancipazione della donna grazie alla Cultura ma anche mediante un Femminismo “spontaneo” di buon senso.

Nella fattispecie essi sono comunque organicamente collegati da uno stesso vulnus, ispiratore del genius drammatico, che considero basilare in virtù di quanto dichiarava Eduardo De Filippo, intervistato all’Accademia dei Lincei quando gli venne conferito il Premio Feltrinelli del 1972: “Tutto ha inizio, sempre, da uno stimolo emotivo: reazione a un’ingiustizia, sdegno per l’ipocrisia mia e altrui, solidarietà e simpatia umana per una persona o un gruppo di persone, ribellione contro leggi superate e anacronistiche, sgomento di fronte a fatti che, come le guerre, sconvolgono la vita dei popoli…”

Come ha ricostruito la storia della piccola Vittoria?

Nella scritta le “due subalpine terre”: sono un richiamo indicativo di due diverse origini geografiche (ma entrambe in Italia) dei genitori della piccola defunta (detta “fiore appena sbocciato”, per cui non doveva aver compiuto il primo mese d’età). La neonata perse evidentemente la vita in territorio di Portici (il “Tirreno lido”), mentre la dicitura “vidde troncata la vita” apre ambiguamente, secondo me, ad una duplice interpretazione: morì per naturale decesso infantile (tipico all’epoca) oppure la morte le fu procurata da terzi o per una disgrazia. Il monito “non pregate per lei” è giustificato dall’ultima frase “è un angelo in cielo” (che corrisponde alla consuetudine popolare di ritenere angeli quei neonati presto morti), eppure si configura anche quale invito a “dimenticarla (l’aggiunta finale esplicativa rinvierebbe all’inutilità del continuare a dedicarle pensieri). Tutto concorderebbe insomma a definirla un’esistenza prematuramente conclusasi e convergere nell’accreditarla quale vicenda misteriosamente occultata. Responsabile della degna sepoltura dell’immatura creatura sarebbe stata la Contessa [Lydia] Morando, «…avendo contribuito alle spese delle fabbriche e nicchie nella cappella sepolcrale» alla Real Arciconfraternita dell’Immacolata Concezione, e pertanto registrata come beneficiaria di un loculo (una nicchia a lunetta … posta al centro della terra santa della Congrega e contrassegnata dal n. XLI».

La volontà di incaricarsi della sconosciuta Vittoria Patria (di cui anche la Morando risulta ignorare le date di nascita e morte) deriverebbe nella Contessa dalla sua attitudine filantropica con predilezione per gli orfani (in quanto, sposatasi nel 1892 a 16 anni, rimase presto vedova senza figli e nel 1920 fondò a Chiari un orfanotrofio e altre benemerite attività in favore degli svantaggiati).

Quando, nel 1878, Vittorio Emanuele II veniva a mancare per febbre (forse sifilica, viste le sue intraprendenze) la Contessa Morando aveva soltanto 2 anni, per cui non può esserne stata una amante né la madre di Vittoria Patria. Attestandosi ad assegnataria del suddetto loculo a Portici, allora, la data del giovedì 4 ottobre 1866 che si riscontra al camposanto nell’albo della Arciconfraternita potrebbe trattarsi del giorno di morte della nostra Vittoria Patria, e l’interessamento della Morando dipendere dall’aver potuto conoscerne direttamente la madre (probabilmente una cameriera della locale Reggia). La Contessa, morta nel 1945, poté quindi aver soggiornato a Portici per sbrigarne apposta le pratiche.

Le tessere di tale vicenda, che appunto si manifesta indubbiamente come un mistero da districare, sono andate a comporsi nell’ingegno facendomi propendere proprio alla stesura di un testo drammatico di genere detective story, in cui ho immaginato: un Medico, in quanto personaggio professionalmente utile per l’alveo ostetrico-sanitario di nascite/salute/decessi; una Anziana di Portici (protagonista della pièce), che si scoprirà essere stata cameriera della Contessa Morando e per questo informata dei fatti; Stanislao, in un ruolo che ne fa una sorta di detective; infine la giovane orfana a servizio dall’Anziana (da questa adottata anomalmente) dal nome Clotilde per segnare una continuità con la defunta Infanta di Portici su cui si indaga.

Dopo il conseguimento del Master in drammaturgia e cinematografia, quali sono i suoi progetti per il futuro?

Ho da riconoscere “debiti” di scrittura verso Eduardo De Filippo e alcuni altri drammaturghi che hanno vantaggiosamente condizionato la mia formazione al Master: Roberto Bracco (di cui ammiro lo psicologismo e l’interiorizzazione dei conflitti), Salvatore Di Giacomo (per l’afflato poetico al quale dedico la citazione intertestuale sulla “Muta di Portici”), Luigi Pirandello (nella comune istanza d’emersione di verità celate da maschere, dai ruoli, dalle situazioni) e, non ultimo, Annibale Ruccello (a noi più “contemporaneo” e perciò maestro di dialoghi e concezione d’impianto più “elettrizzanti”, ma è casuale ci sia qui una Clotilde come nel suo eccelso Ferdinando).

Ovviamente con l’intento di formarmi una “mia” voce drammaturgica, riuscire a esternare al meglio la mia weltanshauung [termine tedesco che si riferisce alla concezione del mondo, della vita, e della posizione in esso occupata dall’uomo, ndr] e distinguermi per un mio stile. Sperando di esservi riuscito. E confidando, ad ogni modo, nella disponibilità dei lettori e (auspico) spettatori di questo testo teatrale. Per cui mi immagino proiettato nel teatro napoletano come drammaturgo, ma con interessi anche nell’organizzazione teatrale e la ricerca accademica nel settore (ho un dottorato di ricerca e sono esperto anche di mass media e comunicazione istituzionale).

Mi auguro poter far sempre tesoro di quanto profittevolmente appreso dalle lezioni frequentate al Master in Drammaturgia e Cinematografia della Federico II, di cui ringrazio i docenti Pasquale Sabbatino e Vincenzo Caputo e la mia magnifica tutor prof.ssa Giuseppina Scognamiglio per la competenza, chiarezza, disponibilità, oltre i “colleghi” specializzandi per l’accoglienza e il calore. Poi, a tutti coloro (teatranti e artisti) che sono stati la mia esperienza napoletana finora, indirizzo pensieri di sincera stima e singolare affezione.

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