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A sud della musica

La voce libera di Giovanna Marini in una serata dedicata a lei e alla Musica del Sud. Proiezione del film sulla sua ricerca e interventi musicali della cantrice stessa, di Daniele Sepe e di ‘E Zezi

NAPOLI – Nel Cortile del Maschio Angioino (in caso di pioggia Sala dei Baroni) martedì 10 settembre alle 19.30 si terrà una serata tutta dedicata a Giovanna Marini, cantautrice e intellettuale pasionaria, protagonista di una lunga stagione politica e culturale.

Nel corso della serata sarà proiettato il film A sud della musica. All’origine del canto popolare di Giovanna Marini, scritto da Giandomenico Curi, Tommaso Faggiano, Fabrizio Lecce, per la regia di Giandomenico Curi.

Seguiranno interventi della protagonista e del regista, inframmezzati dalle musiche della stessa Giovanna Marini, di Daniele Sepe e di ‘E Zezi – Gruppo Operaio

L’evento è a cura dell’Assessorato alla Cultura e al Turismo, guidato da Nino Daniele, in collaborazione del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli.

La manifestazione è a ingresso libero.

Giovanna Marini scese in Salento tra il 1969 e il 1971. La sua ricerca era diversa da tutte le altre effettuate in quei luoghi:  Giovanna non è un’etnomusicologa, né un’antropologa. È solo una musicista e una donna.

E in questa ricerca la guidano il suo istinto, la sua passione per la musica e la voglia di innamorarsi di quella terra, del Sud, di quei canti, di quei cantatori e cantatrici di tradizione. Per lei la musica è prima di tutto libertà: il suo è un gesto diretto, senza nessuna strategia alle spalle.

Giovanna Marini scende in Salento per capire come funziona il canto contadino – soprattutto la sua diversità, la sua alterità – e per imparare, registrare quei canti, trascriverli, studiarli, per poi ricantarli a modo suo, farli conoscere a quanti non hanno la minima idea di quel modo straordinario e antichissimo di cantare e di comunicare.

Più tardi dirà che quei viaggi non erano di ricerca, ma di vera e propria testimonianza. Testimoniavano e testimoniano l’importanza di quella cultura, e insieme il suo amore per il Sud, per la gente del Sud.

«Quando Giovanna tornò dal Salento – ricorda Alessandro Portelli – scrisse un articolo per il bollettino del circolo Gianni Bosio, I giorni cantati, che cominciava: “Prima cercavo i suoni, adesso cerco le persone”. È stato il Salento a farle capire a fondo che i suoni hanno senso perchè appartengono alle persone, e che l’identità politica, storica, che le persone esprimono attraverso i suoni – attraverso il timbro della voce, l’emissione del fiato, il rapporto del suono col corpo – e’ il fondamento di ogni politica». Un concetto, questo, molto vicino a quello espresso da Pasolini a proposito del friulano e del suo patrimonio popolare e musicale, quando parlava di una lingua dei contadini, dei montanari, di una lingua buona per chiedere da mangiare, da bere, per chiedere di fare l’amore, di cantare, di lavorare. Anche se non era la sua lingua, e tuttavia parlata e cantata «da coloro che egli amava con dolcezza e violenza, torbidamente e candidamente.»

Pasolini è un riferimento costante nell’opera di Giovanna. Anche per quanto riguarda il Sud. Un Sud, quello del regista friulano, vivo e profondamente contraddittorio, un Sud inteso come grande periferia, un universo a parte, geografico, di classe, destinato alla fine a resistere, «… perchè i suoi valori sono superiori a quelli della borghesia.»

Perché la storia del Sud è un’altra, fuori da quella nazionale, una “nazione nella nazione”, come dirà in Le Ceneri di Gramsci, una nazione di «…analfabeti in possesso del mistero della vita.»

Un Sud che Giovanna Marini nel 1972 riporta in vita, ricantandolo a modo suo, su uno dei treni diretti a Reggio Calabria, insieme a una folla bellissima e unica di operai, contadini, emigranti, vecchi e giovani, uomini e donne, ognuno con le sue canzoni e le sue storie.

Un treno che diventerà I treni per Reggio Calabria, ballata nuovissima, perfetta, urbana: un racconto epico e poetico, su un ritmo che tira come un treno, e «…le parole che si incollano alla musica scivolandoci dentro senza sforzo.» Un brano che Pasolini, prima di morire, ha ascoltato, e amato.

Ma il Salento è anche avamposto dell’Oriente, da sempre luogo di fascino e di incontro fra le parole e la musica. Perché le parole, come dice Erri De Luca, quando vengono sollevate dalla musica e portate tra le persone, «…diventano aria, fiato, vento, musica.» Il Salento di Lomax e Bosio, delle sorelle Chiriacò e della Simpatichina, di De Martino e Rina Durante, il Salento che sposta definitivamente lo sguardo e il cuore di Giovanna Marini dal Conservatorio all’universo del mondo popolare.

«In quei giorni – scrive – registro canti che poi riproporrò in giro per piu’ di 30 anni, che tutti i miei allievi conoscono e che sono stati fondamentali, per me, sia per costruire i concerti che facevo in giro per l’Italia sia per scoprire quali erano i modi del canto di tradizione orale… Canti che mi hanno accompagnato per una vita intera

Canti che accompagnano anche il film dall’inizio alla fine, che si mischiano ai ricordi, alle testimonianze di amici e studiosi – da Sandro Portelli a Ignazio Macchiarella, da Vincenzo Santoro a Luigi Chiriatti, da Gianfranco Salvatore a Brizio Montinaro e Silvano Palamà – ai luoghi ritrovati, alle facce e alle immagini dei materiali di repertorio, soprattutto ai musicisti e ai cantanti, vecchi e nuovi, più vicini alla cultura orale e al canto di tradizione: il Canzoniere Grecanico Salentino, i Ghetoni’a, Enza Pagliara e Dario Muci, Rocco De Santis, Bucci Caldadarulo, Antonio Infantino, gli Arditi del Coro, Cinzia Villani, Luigi Lezzi, Piero Brega, Gianni Nebbiosi e altri.

Ma è Con Pasolini che il film alla fine si chiude. Quando il viaggio incrocia un film di Cecilia Mangini, Stendalì, che mette in scena i canti di morte in lingua grika, con un testo italiano completamente riscritto dal poeta friulano sul finire degli anni ’50.

Un lamento che racconta lo strazio di una madre per la perdita del figlio, dove c’e’ dentro anche il pianto della madre Susanna e la morte del fratello Guido. E in qualche modo c’è anche la sua morte. La morte di Pasolini vicino al mare di Ostia, vissuta come una perdita assoluta e incolmabile. È il 2 novembre 1975. E appena 10 giorni prima, il 21 ottobre, Pasolini era tornato in Salento, a Calimera, ad ascoltare ancora quei canti d’amore e di morte in lingua grika. È la chiusura del cerchio, sancita dal Lamento per la morte di Pasolini, scritto da Giovanna utilizzando il modulo di una passione contadina abruzzese insieme allo svolo dei lamenti funebri salentini.

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