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Aversa, l’ospedale psichiatrico più antico del mondo

Aversa: Quando videro avvicinarsi da sud gli squadroni di fanteria a passo di marcia e con la fanfara in testa, ebbero paura. In fretta e furia abbandonarono le uniformi e si rivestirono con i loro abiti borghesi, poi fuggirono con le armi nascoste sotto i vestiti, e andarono a rifugiarsi nelle loro abitazioni.

Erano semplici guardie carcerarie, dei secondini loro. Non avevano mai avuto diritto a un vero e p oprio addestramento militare, e nemmeno avevano nessuna intenzione di rischiare la pelle per quei quattro mentecatti assassini che avrebbero dovuto controllare, ma non certo proteggere. Lucio Sandon, da Cuore di Ragno, Graus Editore Napoli

Real Casa de’ Matti

Così sta inciso sull’insegna marmorea che campeggia all’esterno del portone rinforzato dell’ex convento dei Cappuccini al Monte, immerso nella folta vegetazione delle lande che si stendono alla periferia di Aversa.

Negli anni, l’antico monastero era stato trasformato in una fortezza al contrario: le grate di ferro alle finestre servivano non per tenere fuori i nemici, ma solamente per difendere la società dai pericolosi mentecatti violenti imprigionati dentro quelle arcigne mura di pietra.

Il battaglione in avvicinamento verso il manicomio criminale era quello dei Cacciatori Franchi, un corpo dell’esercito sabaudo composto dai più pericolosi elementi delle varie armi: arruolati direttamente dal carcere militare di Fenestrelle, erano delinquenti di ogni tipo, sottoposti a una disciplina di ferro nel vano tentativo di correggerne il carattere e le pulsioni gaglioffe. Insomma si trattava di un battaglione punitivo formato da farabutti e carogne abituati ad ogni forma di efferatezza, ma nessuno di loro era preparato ad affrontare l’orrore contenuto tra quelle pareti insormontabili.

Quando i militari piemontesi sciamarono tra i labirintici corridoi e i chiostri interni del monastero, senza aver incontrato all’esterno nessuna resistenza e le porte spalancate, vi trovarono qualcosa che nessuno di loro aveva mai visto e nemmeno immaginato.

Celle oscure piene di pazzi furiosi, assassini seriali e rifiuti della società, che tentavano di artigliarli a sé, e che nel caso ci fossero riusciti, li avrebbero sbranati a mani nude. Gli ufficiali si limitarono a comandare di sparare alcune raffiche di fucile mirando in alto, per ottenere almeno un po’ di silenzio, e ordinarono di aprire le gabbie, lasciando così fuggire via i malati di mente più esagitati, quelli cui nessuno avrebbe avuto voglia di prendersi cura.

Il Manicomio di Aversa ha avuto molti nomi: Pazzeria degli incurabili, Reale Casa de’ Matti, Reale Manicomio della Maddalena, Real Ospedale Psichiatrico di Aversa, Reale Morotrofio di Aversa Ospedale psichiatrico S. Maria Maddalena.

La sede manicomiale del Regno di Napoli era ubicata nel cinquecentesco Ospedale degli Incurabili: era questo il primo ospedale in senso moderno d’Europa, e già dal 1519 aveva al suo interno anche una sezione dedicata ai malati di mente, chiamata senza mezzi termini Pazzeria.

In epoca borbonica ci si accorse della sua inadeguatezza, e si intravide la necessità di creare degli spazi appositamente attrezzati per i malati di mente. Fu però solo Gioacchino Murat che nel 1813 con un Regio decreto mise mano alla questione e fondò le Reali Case de’ Matti.

Il fatto che molte di queste strutture fossero ospitate in antichi conventi e ne mantenessero la struttura e l’aspetto non è un caso. La loro creazione coincise con un periodo di grandi espropri di possedimenti ecclesiastici. Murat stesso nel 1809 nel quadro di una riforma di ammodernamento dello Stato confiscò più di un centinaio di monasteri. La loro destinazione ad uso civile rimase anche dopo la fine del periodo Napoleonico.

Aversa non fece eccezione, e il primo nucleo del manicomio fu sistemato nel confiscato convento della Maddalena. La sua parte più antica del convento è di epoca angioina e risale al 1269. Del 1430 è la costruzione del bel chiostro, ampliato da Angelo Orabona, che vi aggiunse il pozzo marmoreo con lo stemma del casato, e fece affrescare le volte dei portici. I Francescani vi risiedettero fino al Marzo del 1813, anno della conversione in manicomio.

Inizialmente l’ospedale si specializzò nella cura con metodi non repressivi, attraverso il cosiddetto trattamento morale: i folli erano curati con una organizzazione di vita che era fatta di regole ed orari, ma anche divertimenti e svaghi, occupazioni in attività varie come ascolto di musica, attività teatrali e altro. Questo era davvero rivoluzionario, se si pensa che ovunque le cure previste erano salassi, purghe “per permettere l’evacuazione delle parti folli del sé”, bagni gelati, bastonature e contenzione.

I Borbone, una volta tornati sul trono dopo gli eventi rivoluzionari, non cancellarono questi metodi curativi intuendone la portata rivoluzionaria ed anzi ne fecero un vanto del Regno in tutta Europa, facendo assurgere Napoli a capitale all’avanguardia nella cura delle malattie mentali. Dalla sua creazione, la struttura manicomiale di Aversa fu un continuo susseguirsi di ampliamenti ed aggiunte, e in breve tempo la Real Casa de’ Matti di Aversa, primo manicomio in senso moderno d’Italia, diventò una struttura all’avanguardia in tutta Europa e, per quanto grande, lo spazio si rivelò sempre insufficiente per le continue domande di internamento.

L’Ospedale psichiatrico venne svuotato nel 1998, e chiuso definitivamente nel 1999.

Oggi l’Ex Ospedale Psichiatrico di Aversa versa in uno stato di totale abbandono. Il corpo più antico, è ormai fatiscente, con segni di crolli e cedimenti strutturali. La splendida chiesa ed il chiostro sono duramente segnati dal tempo, dall’incuria e dai ripetuti atti vandalici. La chiesa non ha più il tetto, e il pavimento è ormai invaso da una vegetazione cresciuta quasi ad altezza uomo. Gli altari laterali in pregiato marmo policromo cadono a pezzi. Anche i confessionali sono a brandelli, sepolti dalle macerie e dalla vegetazione, tranne uno che affiora tra le piante che cominciano ad avvilupparlo. La vegetazione ha invaso anche il chiostro e tutti i corridoi e porticati del piano terra.

 

Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio.

Notevole è il suo penultimo romanzo, “La Macchina Anatomica”, Graus Editore, un thriller ambientato a Portici, vincitore di “Viaggio Libero” 2019. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario veterinario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal suo ultimo romanzo “Cuore di ragno”, ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto Cuori sui generis” 2019.

Sempre nel 2019,  il racconto “Nome e Cognome: Ponzio Pilato” ha meritatola Segnalazione Speciale della Giuria  nella sezione Racconti storici al Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno, mentre il racconto “Cuore di ragno” ha ricevuto la Menzione di Merito nella sezione Racconto breve al Premio Letterario Internazionale Voci – Città di Roma. Inoltre, il racconto “Interrogazione di Storia”  è risultato vincitore per la Sezione Narrativa/Autori al Premio Letizia Isaia 2109. Nel 2020 il libro “Cuore di Ragno” è stato premiato come Miglior romanzo storico al prestigioso XI Concorso Letterario Grottammare

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