biografie

Chi ha paura del gatto mammone?

di Michele Di Iorio

Il gatto mammone, lo spauracchio che usavano  i genitori per far star buoni i bambini, è una figura popolare citata in una fiaba di Giovan Battista Basile. Nel ‘700 però dietro questo mito si nascondeva un personaggio terribile, un maniaco omicida e sanguinario della provincia di Sora.

Gatto Mammone o Gaetano Mammone era in realtà Gaetano Coletta, nato ad Alatri in Ciociaria, da una agiata famigli di mugnai che sul fiume Liri gestiva diversi mulini ad acqua del duca Buonconpagni.

Gaetano era nato il 27 marzo 1756 e da giovanissimo coi fratelli aiutava il padre. Non volle mai frequentare la scuola parrocchiale. Sin da subito mostrò una certa originalità: amava farsi i salassi e poi beveva il suo sangue.

A 18 anni si unì a giovinastri ubriaconi e malviventi. La specialità di Gaetano Coletta era rubare animali domestici per poi berne il sangue. Presto fu costretto a darsi alla macchia. Divenne “brigante di strada maestra” nel 1796, quando prese a rapinare corrieri e diligenze con suo fratello Luigi, facendosi chiamare Mammone.

A Napoli il 25 gennaio 1799 fu proclamata la Repubblica giacobina, e Sora aderì istituendo la Municipalità repubblicana, Gaetano Mammone insieme alla banda si mise in contatto con il  vescovo di Sora Agostino Colajanni e capeggiò la rivolta contro i giacobini. Mammone guidò 200 contadini e montanari e catturò 19 guardie civiche e 7 consiglieri della Municipalita, spezzò l’Albero della Libertà eretto in piazza e e calpestò il tricolore. Arrivò fino alla casa del sindaco, lo uccise e bevve il suo sangue.

In tre giorni di tregenda, fece una “pulizia” radicale, uccidendo, imprigionando i ribelli e mettendo a ferro e fuoco i paesi limirofi, arrivando ad assassinare persino l’abate di Montecassino, ritenuto complice dei Giacobini.

I prigionieri rinchiusi nella torre però erano troppi e senza acqua e cibo: Mammone ne fece scannare gran parte. Poi allestì  un lauto pranzo davanti ai superstiti: si fece vedere  mentre beveva il sangue dei loro compagni morti da un teschio. Non finì qui: Il giorno dopo massacrò altre 20 persone che superavano i quarant’anni e continuò le sue macabre libagioni. I comuni vicini gli inviarono denaro perché cessassero le atrocità.

Mammone si alleò quindi con il guerrigliero borbonico Michele Pezza di Itri, detto Fra’ Diavolo, e ne divenne il luogotenente a Sora. Anche così però le violenze su bambini e donne e massacri erano all’ordine del giorno. All’appressarsi delle truppe francesi a Isola Liri in difesa dalla popolazione fuggi nel vicino Molise con il fratello e pochi uomini fedeli. Purtroppo anche i francesi entrati nella cittadina  si diedero a compiere atrocità alla stessa stregua di Gatto Mammone.

Un certo Alonzi, zio del fututro bandito Chiavone del 1860, avvertì Fra’ Diavolo: con Mammone si appostò sulla strada di Roccasecca per tendere un’imboscata ai giacobini in ritirata: vennero uccisi e feriti molti militari francesi e gli altri catturati. Gaetano Coletta continuava a bere il sangue dei nemici.

Vennero occupate Isernia e Venafro, e le stragi  in Molise continuarono fino a maggio, quando Mammone raggiunse il cardinale Ruffo ad Altamura, ove prese parte con i suoi uomini alla vittoria sandefista e al massacro dei cittadini repubblicani.  In chiesa questo terribile maniaco omicida stuprò una ragazza davanti al padre e improvviso unaa messa sacrilega, bevendo nel santo Calice il sangue della ragazza ancor prima di ucciderla, e così con il padre dopo averlo morsicato.

Ad Ariano Irpino il cardinale Ruffo lo nominò colonnello dell’esercito sandefista e gli diede una divisa donata dalla regina in esilio a Palermo, unitamente ad una lettera firmata dal re che lo proclamava suo salvatore e amico.

Il 5 giugno 1799 Mammone sfilò a passo di parata  i suoi 400 armati davanti a Ruffo e il 17 luglio prese parte all’assedio di Capua.

Dopo la resa repubblicana, il generale regio Scipione La Marra rimase innoridito davanti alle violenze che Mammone compiva sui prigionieri francesi e giacobini e lo spedì con i suoi uomini all’assedio di Gaeta, dove il generale sandefista  Vincenzo Durante, anch’egli inorridito, si lamentò per iscritto con Ruffo. Lo allontanò mandandolo in avanscoperta in Ciociaria, ma anche qui continuò il massacro, non discriminando nemmeno tra repubblicani e filoborbonici.

Scacciò da Sora il vescovo don Agostino Colajanni per le sue proteste per gli eccidi e saccheggi perpetrati da Mammone. Fu dunque chiesto aiuto per fermare questo pazzo sanguinario e venne in soccorso il generale di brigata marchese Giambattista Rodio, regio governatore di Teramo con un reparto di dragoni a cavallo, che a Sora catturarono Mammone e lo tradussero in catene a Napoli al Maschio Angioino, dove era in cella con Vincenzo Cuoco e altri detenuti repubblicani. Li spaventò salassandosi e bevendo il suo sangue o morsicando a sangue di notte i prigionieri. Fu trasferito a Ischia su richiesta del governatore, ma evase pochi giorni dopo con l’aiuto di alcune guardie carcerarie e rientrò a Napoli, chiedendo aiuto al re: addirittura il sonno della ragione permise che venisse nominato generale di brigata. Venne dunque rinviato a Sora. Naturalmente qui Mammone compì le sue vendette private e le bevute di sangue.

Nonostante i suoi orrendi crimini, il re lo nominò anche cavaliere costantiniano, e questo sanguinario individuo e rimase a Napoli senendosi protetto, continuando indisturbato abusi e violenze.

Recatosi a Gaeta nel 1801  fu arrestato dal regio generale principe d’Assia Phillipstad, e per ordine del primo ministro Acton venne richiuso come malato di mente nelle segrete della Vicaria a Castel Capuano di Napoli, sotto stretta vigilanza del generale Parisi.

Gatto Mammone ebbe l’ardire di continuare a chiedere il perdono del re, ricorrendo persino allo sciopero della fame. Messo in isolamento e ai ceppi, intanto si preparava la corte marziale per la sua impiccagione. Il Gatto Mammone non vi arrivò mai davanti: morì avvelenato l’8 gennaio del 1802.

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