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Il Racconto, Disaccordi

di Giovanni Renella

Erano chiuse lì dentro da diverse ore e alcune di loro già manifestavano una forte insofferenza per la situazione.

Con il trascorre del tempo appariva ormai chiaro a tutte che da quella stanza con le pareti imbottite sarebbero venute fuori solo se si fossero messe d’accordo.

Gli equilibri erano saltati insieme ai nervi e le parole non aiutavano a ricomporre l’armonia perduta.

Stizzite per la proposta ricevuta, che a loro dire travalicava i limiti della decenza, avevano cominciato a dare fuori di matto, così da finire con l’essere rinchiuse in quella stanza insonorizzata: lì avrebbero potuto sfogarsi senza infastidire nessuno.

In passato erano state protagoniste di interpretazioni di ben altro livello; ed ora, invece, avevano la sensazione di essere cadute in disgrazia.

Chiamate a dare un senso, o meglio un minimo di dignità, a quella che ritenevano un’insulsa messinscena, in quella angusta stanza provavano e riprovavano alla ricerca di una sincronizzazione con quelle immagini rimandate in continuazione sui monitor, la cui ripetizione non sortiva altro effetto che farle ulteriormente indispettire.

Non erano snob, ma per loro l’armonia era tutto, perché senza avrebbero vissuto vite monotone.

Ma ora si trovavano davanti ad un caso disperato.

Con una sceneggiatura scritta male e interpretata peggio, era la pellicola più brutta che avessero mai visto e a cui ora, combinandosi in una melodia, avrebbero dovuto dare anche una colonna sonora.

Si consumò così, nel chiuso della sala di registrazione, il piccolo dramma delle note musicali, che di fronte a quel  film rimpiansero i tempi del cinema prima dell’avvento del sonoro.

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