Il senso comune
Una fenditura nel senso comune: la bella e libera Carolina si avventura nei segreti di Napoli e rivendica la sua identità
di Mario Scippa
C’era una volta una ragazza che non poteva essere se stessa. E allora decise di essere un altro.
Così comincia Il senso comune di Adriana Capogrosso, Homo Scrivens edizioni, come un sussurro nella nebbia di una Napoli del 1840, dove i vicoli sono trappole e i palazzi custodiscono segreti.
Carolina de Marinis, figlia della nobiltà e dell’inquietudine, bella come un pensiero libero, indossa i panni di Nando, giovane uomo dagli occhi spalancati sul mondo, con la sete della libertà.
Si traveste per sentirsi viva. Per respirare. Per cercarsi.
Ma non si sfugge mai davvero alle ombre.
E Carolina, nel suo travestimento, inciampa in un orrore doppio: due donne, madre e figlia, le baronesse D’Aquino, uccise come si uccidono i simboli.
Con rabbia. Con paura. Con quel “senso comune” che protegge l’ordine e annienta il dissenso.
Adriana Capogrosso non racconta solo una storia. Crea un varco. Una fenditura nel tempo. Scrive con una lingua sobria e visionaria, che accarezza e ferisce, che scava nell’anima delle cose.
Il suo romanzo è un sortilegio: prende la cronaca e la trasforma in rito.
Prende la donna e la fa specchio.
Prende la voce e la rende eco.
Nel corpo diviso di Carolina/Nando c’è la verità di tutte le donne che hanno dovuto farsi piccole, mutare forma, tacere per esistere. Ma anche il fuoco di chi non accetta più. Di chi indossa la maschera per strapparla.
Il senso comune è un romanzo sull’identità che esplode, sulla libertà che si dissimula, sul patriarcato che si fa nebbia e mattanza. È un canto d’inverno e una rivolta di primavera. Un’indagine, sì, ma dell’anima. Un gesto d’amore verso tutte le verità negate.
Leggerlo è come entrare in una stanza chiusa da secoli e sentire che l’aria, finalmente, ricomincia a girare.