Cultura

il Teatro, Come tu mi vuoi

NAPOLI – Al Teatro Elicantropo in vico Gerolomini da giovedì 2 febbraio alle 21  andrà in scena (repliche fino a domenica 5) lo spettacolo Come tu mi vuoi da due racconti di Tommaso Pincio e Christian Raimo, con Giancarlo Luce, che firma anche la regia, ed Ermelinda Nasuto.

I costumi sono a cura di Mariella Putignano, il disegno luci di Franz Catacchio.

Presentato da Teatro delle Forche, Come tu mi vuoi porta in scena un tema comune, urgente come il lavoro, soffermandosi sulla carenza e la precarietà. Due racconti, due storie, due monologhi, che trasferiscono nella finzione teatrale la mancanza di direzione, di programma, o l’espropriazione di un destino: la precarietà, appunto.

Sinossi. C’è una ragazza che nella vita vorrebbe solo riuscire a combinare qualcosa di buono. E per riuscirci fa tutto quello che si dovrebbe fare.E anche qualcosa che non si dovrebbe. Cioè dimenticarsi di sé stessa.

C’è un uomo che nella vita non ha combinato granché, ma in fondo non gliimporta.Ha già tentato tutto quello che doveva tentare.Quindi aspetta.

Sullo sfondo c’è la periferia di una città qualunque, i casermoni, gli alieni,Mohammed Alì, una grande azienda che mangia l’anima e risucchia tutte le energie. E tu, come mi vuoi?

La scelta è quella della cifra del grottesco e dell’antinaturalistico, in uno spazio scenico sospeso, per attraversare la vita di queste due creature, riportate in vita dal fondo della pagina di due racconti diversi.

Il lavoro è il nucleo attorno al quale gravita tutto lo spettacolo. Eppure si nasconde, si nega costantemente nelle parole, che, talvolta, provano a dirlo senza riuscirci, indugiando, invece, su un’esasperata etica della performance, inscenata dagli abiti da fitness indossati dagli attori e dall’allenamento cui si sottopongono.

Lei trentenne e lui cinquantenne, si raccontano al pubblico, partendo proprio lavoro o dalla sua ricerca. Il risultato è un’istantanea dell’attuale vita di molte persone, tragica e a volte comica, ma, tuttavia, apparentemente normale, eccetto le derive alle quali può condurre.

È l’attuale condizione di malessere della maggioranza, di chi vive correndo sui bordi delle grandi arterie della società, tra impedimenti e ostacoli.

In uno spazio scenico sospeso, grottesco e antinaturalistico, entrambi i personaggi corrono sulla scena e nella vita, rasentando follia e smarrimento.Sono perfettamente consci che quella è la loro condizione di “normalità”, incapaci d’immaginare una via d’uscita diversa da quella che sembra piombargli addosso come una valanga, e dalla quale sembra impossibile uscirne.

I due personaggi corrono, ma non inseguono qualcosa o qualcuno. Appaiono alternativamente impegnati a tenersi pronti per qualcosa, oppure alla ricerca di un benessere posticcio che non serve a sradicare il male, ma solo provare a dimenticarlo. Sono precari nel lavoro e nell’identità, orfani di un aggregato sociale capace di dar vita a relazioni di subordinazione, dominio e costrizione, attoniti ed incapaci di prevedere la condizione futura di chi come loro, lavorando, vedrà una forma ancora diversa in cui questo sistema sociale sarà stato capace di declinarsi. 

Come tu mi vuoi è un continuo movimento, una corsa interrotta solo nel finale, quando una pistola spunta in scena e i due protagonisti mirano l’uno contro l’altro: la rabbia sociale sfocia nell’uomo contro uomo. 

«Il gesto del lavoro è senz’altro un gesto sociale, in quanto l’attività umana diretta al dominio della naturavè qualcosa che interessa la società, i rapporti tra gli uomini». (Bertold Brecht)

(Foto by Vito Montemurro)

 

 

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