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La Recensione, Black panther

di Ciccio Capozzi

Il Principe T’Challa, è l’erede designato al trono del misterioso regno di Wakanda, beneficiato dal minerale Vibranio, di provenienza stellare, nell’Africa Nera, ed è anche, grazie all’infuso di un’erba, Black Panther. Ma un suo cugino lo sfida.

Obiettivamente, tra la Dc Comics e la Marvel Studios, quella che è la più originale e in cerca di soluzioni nuove è la seconda (escludendo -ma questa è una mia personale ”capata” di gusto- il personaggio di Batman, che è della Dc). E si vede chiaramente nel presente titolo, che è ben il 18esimo di quello che è chiamato il Marvel Cinematic Universe, ovvero di ciò che narratologicamente si definisce come l’universo espanso (Expanded Narrative Universe), che ha a che fare con i personaggi dei fumetti targati Marvel, portati al cinema in associazione con la Walt Disney. Parallelo e concorrente a quello della DC Comics, che è anche prodotto dai loro Studios e distribuito dalla Warner, invece, ad essi collegata.

A mio avviso non si riflette abbastanza sull’originalità di questa operazione colossale: e non solo dal punto di vista produttivo. Si badi che si parla di investimenti di centinaia di milioni di dollari, ma che hanno fruttato nel loro insieme decine di miliardi. È, nello stesso tempo, molto sofisticata dal punto di vista intellettuale E fu il lungimirante, geniale produttore Kevin Feige che, da generico executive della Marvel, colse l’importanza e la ricchezza del complesso Universo narrativo che si celava, come una miniera senza fondo, nei personaggi, idee, spunti e storie della Marvel, e le fece fare il salto.

Su suo impulso e personale investimento di rischio, si assunse la responsabilità del percorso di trasformazione della Marvel Comics, editrice di fumetti prestati al cinema, occasionalmente ma con imprevisto e costante successo, in una potente maJor di Hollywood, ovvero una Company stabilmente produttrice in proprio, tra cinema e tv series, dello stesso prodotto: la Marvel Studios. Lo so che a molti intellettuali queste considerazioni, che sembrano di mera economia, faranno storcere il naso e raggrinzire i labbruzzi.

Ma domando: perché hanno tanto successo? Ovviamente nell’insieme: però anche questo recente film (USA, ‘18) ha raggranellato i suoi quasi 400 mln di dollari, a fronte di un costo di 200mln, e sta ancora incassando. Perché sono forme direi ancestrali di miti narrativi, adeguati all’immaginario attuale delle platee e dei pubblici dell’intero pianeta. Indubbiamente possono essere letti come aspetti della colonizzazione culturale, portata con aggressività planetaria da parte dell’industria culturale Usa. Però faccio notare che la Marvel ha “digerito” e fatto proprio, con quella tipica risolutezza della cultura americana, non solo vorace ma concreativa, ad esempio, anche tranches dell’immaginario mitologico biblico, o classico-antico, tipo Ares, o Hercules, ma soprattutto quello nordico europeo, raccolto nell’”Edda” islandese, del mito di Odino: si pensi a Thor.

Gli Usa hanno “postato” nel loro immaginario numerosi modelli narrativi storici: con la stessa spregiudicatezza e decisione con cui i latini conquistatori fecero propri quelli greci. E come i greci, prima, sia nella fase classica che nella grande cultura greco-bizantina, avevano fatto con quelli orientali (indiani e persiani), e così gli arabi con i greci e l’oriente…

Insomma, nelle fasi socialmente ascensive della civiltà, è fisiologico trarre spunti da altre culture riconosciute come modelli. Marvel Comics,  un normale dare e prendere. In Black Panther, invece, è di scena l’Africa. Rip Kirby e Stan Lee idearono questo personaggio nel ‘66. Attenti alle trasformazioni interne alla società americana, valutarono con positività e intelligenza la sempre più consapevole e forte presenza della comunità black, il cui ingresso a pieno titolo nei diversi livelli della società era improcrastinabile. Tanto che da subito, proprio nel ‘66, il nome Black Panther divenne il vessillo delle componenti ribelli irriducibili e antiistituzionali dei Neri (il Black Panther Party). Del resto, all’inizio il personaggio aveva valenze di antieroe. Ma non era affatto come L’Uomo Mascherato, un bianco che affettava manie di protezione e di paternalismo, ma un nero africano a tutti gli effetti. Che vive e si confronta, ovviamente sul livello del mito e della favola utopica, ma possibile, con quella cultura tipica di del continente. Facendo propri, però trasformandoli in chiave moderna e tecnologica, alcuni valori della società sua: come la fratellanza tribale, il senso immediato della contiguità con la natura, il rispetto delle tradizioni e della propria visione ambientale. Come nelle serie recenti di Black Panther, in letteratura disegnata (il fumetto) scritte da Ta-Nehisi Coates, nota figura di intellettuale black impegnato.

Lo sforzo, a mio avviso riuscito, della visionarietà del film è di aver saputo innestare la tecnologia ultramoderna nella visione possente e intatta dell’Africa “profonda”. Il lavoro che ha fatto la Production Designer (scenografa) Hannah Beachler, è stato di alta qualità: anch’essa di colore, come tutti i protagonisti e la gran parte del cast sia degli attori che tecnico. Ha reso gli spazi aperti e possenti, come nel capolavoro Il Re Leone, parte integrante di un’idea di Africa.

Così anche i colori del loro abbigliamento sono assolutamente (ed elegantemente) sviluppati su questa idea atavica, in linea con le loro tradizioni e vita, ma contemporaneamente futuribile, della visione del grande continente, curati dal set decorator Alan Hook .

Come i conflitti che dilaniano i due antagonisti sono su questa chiave. Da una parte le ragioni della continuità, dall’altra, quelle della vendetta storica contro i bianchi schiavizzatori: utilizzare questa potenza, fino ad oggi tenuta nascosta, per trasformare il regno di Wakanda nel centro del nuovo potere: distruggendo e sottomettendo tutti i vecchi oppressori dei neri, sostituendo un nuovo ad un vecchio imperialismo. Il regista e sceneggiatore del film Ryan Coogler gestisce i conflitti con particolare attenzione a queste dialettiche. Il cattivo, Michael B. Jordan (già visto in Creed con Sylvester Stallone), specie nel finale, colpisce per la forza e concentrazione delle diverse sfaccettature e motivazioni con cui è costruito, pur obbedendo alle dinamiche di questo avventuroso, coloratissimo e movimentatissimo action movie, ma con un percettibile e non invasivo sottofondo antirazzista. Il suo confrontarsi col “buono”, l’attore Chadwick Boseman, ha risvolti riflessivi interessanti e tali da caratterizzare l’intera narrazione.  Così si interfacciano anche gli altri comprimari: tra cui il sempre attentamente “sul pezzo” Forest Whitaker.

Come nel cartone animato, capolavoro del ‘94, l’idea centrale è sempre il conflitto shakespeariano del potere e del suo uso.  Pure figurativamente valide sono gli altri personaggi comprimari: come le guerriere della guardia, che hanno “salute” ed energia da vendere… Assai simpatica è la sorellina tecnologica e iconoclasta: l’attrice Letitia Wright, ne dà un’incisiva raffigurazione, sempre in bilico tra autorironia, velocità e freschezza adolescenziale: in questo aiutata molto dalla azzeccata “voce” italiana di Erica Yoko Necci.

 

Ciccio Capozzi, già docente del Liceo Scientifico

porticese Filippo Silvestri, è attualmente

Direttore Artistico del Cineforum

dell’Associazione Città del Monte|FICC al

#Cinema #Teatro #Roma di Portici.

 

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