Cultura

La recensione: Can’e presa

di Tonia Ferraro

Alfredo Ferrara, classe 1959, è un napoletano D.O.C. Personalità eclettica, nella vita è geometra. Nonostante  la professione che svolge nell’ambito della razionale progettazione edilizia, Alfredo  scioglie la briglia alla sua fantasia scrivendo storie. Fa anche questo con un certo rigore scientifico, ambientandole in luoghi che conosce bene e che ama, passando dalla suspence alla valorizzazione degli elementi del territorio, passando per il rispetto del linguaggio e della caratterizzazione dei personaggi fino ad un’attenta ricostruzione storica dei periodi in cui si svolgono i fatti.

Arrivato un po’ tardi alla scrittura, Ferrara ha al suo attivo tre libri: “Le sette opere di Misericordia” , “Dalla parte sbagliata del cuore” e “Can’è presa”.

I primi due volumi sono dei thriller che hanno per protagonista Alfonso Bellodi, geometra e investigatore per vocazione. In questi libri traspare la sua ammirazione per  Sciascia: non a caso il cognome del protagonista è lo stesso del capitano di “Il giorno della civetta”.

L’ultima fatica letteraria di Alfredo Ferrara, “Can’e presa”, è uscita fuori dallo schema precedente. Si presenta come un noir ma non tende alla ricerca dell’assassino, individuato sin dalle prime pagine del libro, bensì alle motivazioni interiori che spingono l’investigatore Francesco Bruno Mercuri a non mollare mai le indagini. Proprio come un mastino, ‘o can’e presa, che quando serra con le mascelle la preda non la lascia più.

Mercuri ha “afferrato” sin da subito l’autore di una serie di atroci delitti, e sin da subito si è scontrato con i poteri forti che proteggono il tenente Rosche, ufficiale dell’esercito borbonico, e i suoi due complici.

La caccia di Mercuri si snoda tra vicende alterne negli ultimi anni del Regno delle Due Sicilie, dal 1850 al 1860, in un crepuscolo di “gattopardi” che proteggono i soldati dell’esercito, fiore all’occhiello di sua Maestà Ferdinando II. Trasferito più volte, ostacolato in ogni modo, l’investigatore integerrimo comunque non molla mai la presa.

La vicenda di fantasia si intreccia alla realtà storica: dopo anni di “caccia” Mercuri sarà presente al Campo di Marte, quando Agesilao Milano tentò di uccidere il re. Il suo provvidenziale intervento impedì all’attentatore di colpire a morte Ferdinando.

Entrato nella benevolenza del sovrano, da quel momento si apre uno spiraglio per il compimento della missione di Francesco Mercuri. Non aveva mai smesso di seguire la scia di morte lasciata da Rosche, che nel frattempo aveva continuato la sua carriera fino ad arrivare agli alti gradi militari.

Ed è proprio Ferdinando II, ormai alla fine dei suoi giorni, che dal suo letto di dolore gli affida il compito di catturare il feroce ufficiale, dopo l’ultimo efferato omicidio che ha coinvolto molto da vicino il sovrano.

Sono anche gli ultimi giorni del Regno: Mercuri si reca in Sicilia per arrestare l’ormai fuggitivo Rosche, che ha già voltato gabbana ed è protetto dalle alte sfere piemontesi.

Gli ultimi concitati passaggi del finale si dipanano nel clima di confusione di una Sicilia testimone e complice dello sbarco garibaldino …

Ciò che era destinato si compie. Il resto è storia.

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