arteCultura

L’acquedotto Carolino e i Ponti della Valle

Arte e ingegneria a servizio del popolo: l’acquedotto Carolino e i Ponti della Valle, la dimostrazione di quanto i Borbone tenessero al benessere dei sudditi

di Lucio Sandon

Fulvo di mattoni e immenso davanti a noi, si stagliava un ponte. Un ponte enorme, che sembrava costruito soltanto per scavalcare una vallata, senza nessun fiume sotto di esso. Dalla nostra posizione riuscivo a distinguere diecine di piloni spropositatamente grossi e altissimi, disposti su tre file di arcate sovrapposte, più alte quelle in basso e un po’ più piccole quelle nella parte superiore. Era lungo almeno mezzo chilometro e il suo capo più lontano spariva tra la nebbia e gli alberi della collina dall’altro lato della valle. Il sentiero che avevamo percorso sino ad allora si allargava dapprima nella piccola pianura davanti a noi, poi proseguiva in modo regolare sulla sommità del ponte, dove si trasformava in una strada diritta e perfettamente lastricata che avrebbe potuto ospitare la corsa di un calesse con due cavalli affiancati. Tutto intorno, i boschi e le colline erano immersi nella nebbia. Si distingueva chiaramente, però, a metà del dirupo che affiancava il ponte, una costruzione bassa e quadrata che certamente dava accesso alle viscere del manufatto. Sul davanti della casupola c’era una robusta porta di legno a sbarrare l’accesso alla maestosa costruzione.

«Questo è l’acquedotto Carolino – esordì Generoso – e non si tratta di un vero ponte, serve solo per portare l’acqua alla reggia di Caserta. Ora è in disuso, ma lì dentro l’acqua ancora ci scorre. Mio padre racconta che per costruirlo ci sono voluti dieci anni e non so quanti operai, e addirittura è dovuto venire un architetto olandese per progettarlo. Dentro ci sono due gallerie: in una ci passa l’acqua, mentre l’altra è stata costruita per la manutenzione. Chi ha preso Marianna deve avere stabilito il suo covo in qualche anfratto nei piloni».

(Da  Cuore di Ragno di Lucio Sandon, Graus Editore)

Luigi Vanvitelli

L’acquedotto Carolino venne progettato dal genio di Luigi Vanvitelli il cui vero nome era Lodewijk Van Wittel, per alimentare il complesso industriale di San Leucio. L’opera però fornisce non solo l’acqua alla Reggia e alle Reali Delizie di Caserta costituite dal parco, dal giardino inglese e dal bosco di San Silvestro,  ma va servire anche la reggia di Carditello, compresi mulini che ne sfruttavano l’energia e aziende agricole nei dintorni: una palese dimostrazione di come la famiglia Borbone tenesse molto al benessere del suo popolo.

Il prezioso liquido viene prelevato dalle sorgenti del Fizzo alle falde del monte Taburno, e viene trasportato lungo un tracciato che si snoda per una lunghezza di trentotto chilometri. L’opera richiese sedici anni di lavori e il supporto dei più stimati studiosi e matematici del regno di Napoli destando l’attenzione dell’Europa intera, tanto da essere riconosciuta come una delle opere di maggiore interesse architettonico e ingegneristico del XVIII secolo.

Il capolavoro edilizio dell’acquedotto Carolino fu l’orgoglio di Vanvitelli e delle maestranze che avevano lavorato sotto la guida tecnica degli architetti Collecini e Patturelli. L’acqua, che segue la pendenza precisa di un millimetro per ogni metro di percorso, dopo aver superato in quattro ore l’intero tratto dal Taburno a Caserta, zampilla dalla collina di Briano alimentando le numerose cascate del parco della reggia a salutare la vittoria della fatica umana e la giovinezza della nuova regina di Napoli, Maria Carolina, di cui l’acquedotto di Vanvitelli ricorda il nome.

La cerimonia di Inaugurazione della cascata della reggia è stata dipinta da Antonio Joli nel 1768, in una tela conservata nelle collezioni casertane.

La parte del condotto Carolino che costituisce Ponti della Valle di Maddaloni è rappresentata da una imponente struttura in tufo con tre ordini di archi a tutto sesto, e costituisce l’elemento più spettacolare dell’intero condotto.

Il ponte Carolino, patrimonio mondiale dell’UNESCO. con i suoi 529 metri di lunghezza – all’epoca della sua costruzione era il più lungo d’Europa – e con le sue triplici arcate ben proporzionate testimonia il genio di Vanvitelli.

I 44 piloni della parte superiore sono a pianta quadrata e terminano con una strada larga quasi due metri, racchiusa da due spalliere. I passaggi interni sopra ciascun ordine formano gallerie luminose, utili al controllo del sistema, mentre l’intonaco rosso sui mattoni crea fasce decise ed armoniose sul grigio del tufo.

Le condotte in ferro furono realizzate nelle otto ferriere fatte costruire appositamente dal Vanvitelli in Calabria, lungo il corso della fiumara di Guardavalle e che divennero parte costituente delle Regie ferriere di Stilo. Le ferriere utilizzarono come minerale la limonite, estratta dalle miniere di Pazzano e Bivongi.

Il condotto largo 1,2 m ed alto 1,3 m, è segnalato da 67 torrini, costruzioni a pianta quadrata e copertura piramidale destinate a sfiatatoi e ad accessi per l’ispezione.

L’enorme portata d’acqua, oltre ad alimentare tutti i sistemi idrici esterni alla Reggia serviva anche a supportare un innovativo e sperimentale metodo di coltivazione e riproduzione delle piante non autoctone: vennero infatti sperimentate nuove tecniche per riprodurre nuovi tipi di piante esotiche, sfruttando le conoscenze che le spedizioni scientifiche portavano in Europa dalle colonie. Alla fine del suo percorso, l’acqua intercetta l’acquedotto già costruito dagli antichi romani, e potenzia il rifornimento idrico per la città di Napoli.

La qualità dell’opera, fatta con materiali di prima eccellenza e con minuziosità di costruzione è testimoniata anche dalla sua resistenza ai tre violenti terremoti che hanno colpito l’area negli ultimi due secoli senza intaccare l’impalcatura del viadotto.

Per iniziativa dell’Associazione dei Superstiti delle patrie battaglie di Napoli, nel 1888 ai Ponti della Valle sorse un monumento per raccogliere le ossa dei caduti nella battaglia del Volturno dell’ottobre 1860, sparse sotterra per quei campi.

Il monumento consiste in un obelisco di forma triangolare, in cima al quale è posta la stella d’Italia.

L’obelisco sorge su una base in mezzo alla quale si apre la porta che dà l’accesso all’ossario. Ai lati di questa porta ci sono degli altorilievi rappresentanti, insieme a Garibaldi, Nino Bixio, Pilade Bronzetti, Fabrizi, Cairoli, Dezza, Avezzana, Medici, De Martino ed altri ancora.

 

Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio.

Notevole è il suo penultimo romanzo, “La Macchina Anatomica”, Graus Editore, un thriller ambientato a Portici, vincitore di “Viaggio Libero” 2019. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario veterinario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal suo ultimo romanzo “Cuore di ragno”, ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto Cuori sui generis” 2019.

Sempre nel 2019,  il racconto “Nome e Cognome: Ponzio Pilato” ha meritatola Segnalazione Speciale della Giuria  nella sezione Racconti storici al Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno, mentre il racconto “Cuore di ragno” ha ricevuto la Menzione di Merito nella sezione Racconto breve al Premio Letterario Internazionale Voci – Città di Roma. Inoltre, il racconto “Interrogazione di Storia”  è risultato vincitore per la Sezione Narrativa/Autori al Premio Letizia Isaia 2109.

Articolo correlato:

https://wp.me/p60RNT-4kS

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *