Culturaracconti

Le spose bambine

Passano gli anni, ma spesso non si cresce con loro. È solo con le esperienze vissute sulla propria pelle che le bambine diventano donne

di Bianca Sannino

Era la fine degli anni Cinquanta, l’Italia usciva faticosamente dalla guerra. Soprattutto in quella periferia suburbana dove il tempo sembrava essersi cristallizzato, tutto era esattamente uguale a prima, tutto tranne i rossetti sulle labbra delle ragazze e le gonne svolazzanti.

Le strade erano polverose e quando pioveva un rigagnolo di lava trascinava con sé fino a mare il lerciume che i secoli aveva stratificato in quelle pietre di tufo logore e consunte.

 

In questo teatro quasi spettrale, dove il tempo sembrava davvero essersi fermato all’attimo in cui l’ultima bomba era stata sganciata, si muovevano loro le attrici principali di questo dramma grottesco e patetico, vittime ignare di un dio destino che aveva deciso di compiere il suo sacrificio, scegliendo proprio loro.

Erano bellocce le due ragazze e ridevano e scherzavano camminando lungo quelle strade polverose tornando dalla consegna della biancheria che cucivano e ricamavano per le signorine più fortunate, che si apprestavano a matrimoni importanti.

Loro sognavano il principe azzurro, nei tanti pomeriggi, mentre le loro dita svelte intrecciavano la seta con la trama del lino, mentre gli occhi si facevano sempre più stanchi, avevano ascoltato storie vere e fantasiose di matrimoni fiabeschi. Lo sognavano pure loro: alto, bello, maschio, sarebbe giunto a liberarle da quella aria pesante e asfittica in cui era piombata la loro casa da quando il fratello minore era morto, era andato via chissà perché, era giovane, bello, sano e all’improvviso era morto.

Quello che non era riuscito a fare la guerra era riuscita a farlo quella morte inspiegabile e improvvisa, di colpo su quella casa si era abbattuta una coltre di tormento, ansia, depressione che ogni membro provava, ma non comunicava agli altri, ingigantendola dentro di sé fino a farla diventare insopportabile.

Ognuno trovò la propria strada per liberarsene e loro quella dei fotoromanzi e delle storie alla radio. Ne conoscevano a migliaia e si divertivano pure a contaminarle e a modificarle, era il loro passatempo preferito e nel frattempo intrecciavano i fili di seta a quelli della tela in un disegno che era l’espressione del loro amore e del loro desiderio di vita.

Un giorno al ritorno da una di quelle passeggiate alleggerite dal carico di lavoro si accorsero di essere state accompagnate silenziosamente da un giovanotto. Era distinto, con un bellissimo capello messo un po’ di sbieco, l’aria un po’ sognante e lo sguardo misterioso.

Da quel giorno il silenzioso accompagnatore le seguì in tutti i loro spostamenti. All’inizio erano lusingate e incuriosite, ma poi incominciarono a sentirsi inquiete per quella strana presenza a cui cercavano di dare un nome e un ‘identità.

Si chiama Antonio, diceva Maria, sono sicura che si chiama Antonio. Rosa, invece, era sicura che si chiamasse in un altro modo, il suo viso, il portamento, la sua baldanza richiamava un altro nome. Forse si chiamava Goffredo, come il protagonista dell’ultimo romanzo che aveva letto.

E da quel giorno cominciò a prestare più attenzione a come si vestiva, perché era sicura che quell’accompagnatore misterioso seguiva lei. Lo sentiva, lo avvertiva, da come la guardava, dall’imbarazzo che provava nel rivolgerle la parola, dall’energia impalpabile che le arrivava dall’altra parte della strada.

Un giorno si presentò con degli amici, che impertinenti cominciarono a rivolgere la parola: Signorina, scusi il mio amico vorrebbe conoscere il suo nome, vorrebbe sentire il suono della sua voce, si può fermare???

Scappò a gambe levate con il cuore che le batteva in gola, con la paura che qualcuno si fosse accorto di quell’affronto, che i fratelli nei paraggi affrontassero lo sfacciato.

Ma aveva anche il rimpianto di non essersi fermata, oramai era rapita dal misterioso accompagnatore, lo voleva conoscere e ne era già innamorata, senza neppure sapere chi fosse e cosa facesse.

 

Bianca Sannino, docente appassionata nella scuola statale italiana, vive e insegna a Portici da più di vent’anni.

Dopo aver attraversato perigliosi mari in vari ambiti e settori ed essersi dedicata alla redazione di libri saggistici e specifici del settore dell’insegnamento, esordisce oggi nel genere novellistico.

 Due lauree, corsi di specializzazione, master non sono bastati a spegnere la sua continua, vulcanica e poliedrica ricerca della verità. 

Da sempre, le sue parole che profumano di vita e di umanità, arricchite dalla sua esperienza e sensibilità, restituiscono delicati attimi di leggerezza frammisti a momenti di profonda riflessione.

Nel 2021 inizia la collaborazione con LoSpeakersCorner pubblicando una serie di novelle, tutte al femminile.

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