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L’Italia “a colori” del Covid

Il nostro medico Carlo Alfaro, Dirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi, e i colori dell’Italia: cosa significa in termini di  tutela della salute e sopravvivenza economica 

La seconda ondata dell’epidemia italiana di Covid-19 ha portato attualmente il nostro Paese a superare il milione di contagi dall’inizio della pandemia e i 40mila decessi. La diffusione epidemica è attualmente allargata su tutto il territorio nazionale e di livello sostenuto, con un carico sulle strutture ospedaliere non facilmente sostenibile.

In continua ascesa l’incidenza dei casi, i ricoveri in regime ordinario e in terapia intensiva e i decessi, che hanno raggiunto i picchi giornalieri della prima ondata epidemica.

La mortalità nella settimana 4-10 novembre, secondo l’Instant Report Covid-19 dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica, è raddoppiata rispetto a quella precedente, arrivando al 4,29%, ed è cresciuta di oltre 10 volte da settembre a oggi, passando da 0,93 casi per 100.000 abitanti nel periodo 12 settembre-11 ottobre a 10,17 per 100.000 nel periodo 12 ottobre-10 novembre (anche se tra il 19 marzo ed il 17 aprile 2020 la mortalità era tre volte di più, 32 decessi per 100.000 abitanti).

Secondo il report settimanale indipendente della Fondazione Gimbe relativo al 4-10 novembre, i casi positivi, i ricoverati con sintomi e i degenti in terapia intensiva sono cresciuti rispetto alla settimana precedente di oltre il 30%, i decessi del 70%. Da un’analisi dei dati riferiti al 10 novembre a cura della Fadoi, la Società Scientifica degli Internisti ospedalieri, a livello nazionale il 68% dei letti dei reparti di area medica risultano occupati da pazienti Covid – ben oltre il 40% indicato dall’Istituto superiore di sanità (Iss) come soglia di sicurezza- e molte Regioni si avvicinano al “tutto esaurito” o l’hanno addirittura già superato, come Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia e Liguria.

A preoccupare è anche il trend di riempimento che si sta impennando di giorno in giorno in una inarrestabile escalation. Inoltre, i posti non occupati dai pazienti Covid in realtà non sono disponibili, ma in gran parte occupati da pazienti non Covid: l’area medica infatti sta attingendo ai letti di altri reparti per affrontare la richiesta abnorme di ricoveri.

E intanto le ambulanze, come denuncia la Società Italiana Sistema 118, stazionano in coda davanti agli ospedali nelle città per ore e ore in attesa di consegnare i pazienti al pronto soccorso sovraffollato, mentre l’ossigeno pericolosamente scarseggia perché le bombole di cui sono fornite non hanno una autonomia di così tanto tempo.

Il rischio del collasso degli ospedali è accresciuto dalla cronica e gravissima carenza di personale sanitario. Aggravata, peraltro, come dicono i dati del Gimbe, dalla crescita del numero degli operatori sanitari contagiati, che negli ultimi 30 giorni sono stati 19.217, rispetto ai 1.650 dei 30 giorni precedenti.

Confermano la criticità del quadro anche gli ultimi dati dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), aggiornati al 10 novembre: a livello nazionale i ricoveri Covid nei reparti di area medica superano il 50% in tutte le Regioni e quelli in terapia intensiva raggiungono il 37% come media nazionale (il limite di criticità è fissato al 30%).

Come nella prima ondata, tra le Regioni più duramente colpite Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, ma, differentemente da quella, stavolta la Campania figura ai primi posti per numero di casi. Molte Regioni hanno mostrato nei monitoraggi a cura di Iss/Ministero un salto improvviso della curva epidemica. I 30mila e oltre nuovi casi giornalieri in Italia riflettono anche l’elevato numero di tamponi, ma l’alta percentuale del rapporto tra risultati positivi e tamponi effettuati (circa 15%) testimonia la reale circolazione importante del nuovo Coronavirus.

Sono asintomatici il 50-60% dei positivi (questa estate erano il 90%). La gravità della situazione epidemiologica peraltro comporta difficoltà enormi del sistema di tracciamento delle catene di trasmissione, con conseguente sottostima dell’incidenza e possibilità che casi sfuggiti alla diagnosi continuino a diffondere il virus (aumentano infatti i casi non riconducibili a catene di trasmissione note).

Il problema è anche quello dell’esorbitante numero di tamponi richiesti e dei lunghi tempi per la processazione. Per questo possono essere molto utili i tamponi antigenici rapidi (risposte in 15-30 minuti), che fungono da screening per chi è stato a contatto con un soggetto positivo, ai fini di decidere se indirizzarlo al tampone molecolare di conferma, e nel frattempo porlo in isolamento perché non contagi altri.

Per evitare falsi negativi, il tampone rapido va effettuato almeno 4-5 giorni dopo il contatto a rischio. A far saltare il sistema di tracciamento ha contribuito anche un eccesso di tamponi senza reale indicazione, per l’ansia delle persone (e dei medici) o ad esempio per la gestione delle scuole che pretende certificazioni per ammissione in classe anche per assenze di pochissimi giorni o per motivi non di salute o per sintomi insignificanti, che hanno costretto i pediatri a ingolfare il sistema dei tamponi.

La situazione di carico per il sistema sanitario potrebbe aggravarsi con l’epidemia influenzale, anche se quest’anno le misure di controllo del Covid e l’estensione delle vaccinazioni potrebbe mitigarne l’impatto. Il Centro studi della Fimmg, la Federazione dei Medici di Medicina generale, comunica che ad oggi sono già più di 11 milioni le persone vaccinate dai medici di famiglia, dunque già più della metà dei 18 milioni di dosi previsti nel piano vaccinale.

L’Italia si colloca al momento in uno scenario di tipo 3, secondo la classificazione indicata nel documento Prevenzione e risposta a Covid-19: evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno-invernale. Gli scenari di tipo 3 sono quelli che richiedono lockdown locali e “pulsati” di 1-2 settimane, intermittenti.

Tuttavia, il Ministero segnala che tutte le Regioni/PA manifestano un rischio alto di una epidemia non controllata e non gestibile o moderato ma con alta probabilità di progredire a rischio alto nelle prossime settimane: quindi il rischio di evoluzione in scenario 4 (lockdown generale) esiste.

L’età mediana dei casi sta salendo, siamo attualmente attorno ai 50 anni e questo rappresenta un fattore di rischio per le forme più gravi che incidono con l’aumentare dell’età.

L’indice di trasmissione del virus a livello nazionale però per fortuna si sta stabilizzando grazie alle misure restrittive messe in essere, ma per raffreddare la curva dei contagi l’obiettivo è ridurlo sotto 1, e ciò sarà possibile solo in virtù dello stretto rispetto delle stesse:

  • ridurre drasticamente le occasioni di interazione fisica tra le persone al di fuori del proprio nucleo abitativo,
  • rimanere a casa il più possibile,
  • rispettare rigorosamente le misure igieniche,
  • usare correttamente le mascherine,
  • eseguire accurato isolamento dei casi accertati e attenta quarantena dei loro contatti stretti.

Una risorsa importante in tal senso saranno i Covid Hotel, che serviranno a ridurre la pressione sui reparti ospedalieri e a curare i contagiati senza sintomi gravi che hanno difficoltà a restare in isolamento domiciliare. Gli indennizzi ai proprietari degli hotel dovrebbero essere a carico dello Stato, il personale sarà a carico delle Regioni.

Un’altra urgenza è l’attivazione in misura efficiente sul territorio delle USCA, Unità Speciali di Continuità Assistenziale, per l’assistenza degli ammalati al proprio domicilio. Così come sarebbe importante dotare capillarmente il territorio di saturimetri per il monitoraggio dei soggetti infettati a domicilio.

In base a due parametri principali: l’indice Rt e la classificazione del rischio attraverso i 21 indicatori stabiliti nel Dpcm del 30 aprile 2020, il Governo suddivide le Regioni in aree di rischio crescente di una trasmissione non controllata e non gestibile di Sars-CoV-2, definite dal colore giallo, arancione e rosso. Poiché però i dati si riferiscono a 2-3 settimane prima, si rendono necessari rapidi “cambiamenti di colore” delle Regioni all’aggiornamento dei riscontri epidemiologici. Con l’ordinanza del 10 novembre, altre 5 Regioni erano passate da “area gialla” ad “area arancione” (Abruzzo, Basilicata, Liguria, Toscana e Umbria), aggiungendosi a Puglia e Sicilia, mentre era entrata in “area rossa” anche la PA di Bolzano, in aggiunta a Lombardia, Piemonte, Calabria e Valle d’Aosta. Con una ulteriore ordinanza, operativa dal 15 novembre, basata sui nuovi dati dell’ultimo monitoraggio, sono salite a 7 le Regioni di “area rossa” (anche Toscana e Campania) e a 9 quelle di “area arancione” (aggiungendosi Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Marche).

Restano dunque in “area gialla” solo Lazio, Veneto, Molise, Trento e Sardegna. Sono a questo punto circa 20 milioni i cittadini che si trovano nelle aree rosse e altrettanti nelle aree arancioni.

In Italia si percepiscono come due mondi distinti in questo momento: quello dei sanitari, che, soffocati dall’impatto devastante dell’ondata di ammalati sulle strutture di cura (considerando, come ricorda il sindacato CIMO-FESMED, che negli ultimi 2 mesi i nuovi casi sono aumentati del 251%,  i ricoveri ordinari del 1.459%, i ricoveri in terapia intensiva del 1.711%), invocano misure restrittive drastiche per salvare tanto i pazienti Covid quanto gli altri, e quello di molte persone non coinvolte direttamente dalla malattia, che non percepiscono la gravità dell’epidemia o la pericolosità clinica del Covid, ma piuttosto, avvertendo la situazione come “quasi normale”, si sentono ingiustamente defraudati della propria vita, del lavoro, del guadagno e della libertà.

Purtroppo, le misure di restrizione causano per molte persone privazioni, sofferenze, difficoltà, miseria. Ma in realtà, come ha affermato Medici senza Frontiere in una nota, dobbiamo essere consapevoli che tutti i cittadini, nessuno escluso, hanno delle responsabilità collettive di fronte alla pandemia, ricordando che è l’interesse della comunità ciò che garantisce il benessere di tutti. Solo così si può comprendere che i due valori in gioco, la tutela della salute e la sopravvivenza economica, dei singoli e del Paese, non sono contrapposti ma strettamente dipendenti l’uno dall’altro.

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