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L’umanizzazione delle cure pediatriche

Carlo Alfaro, Dirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi (Na), ove è titolare di Incarico professionale di consulenza, studio e ricerca di Adolescentologia, parla dell’umanizzazione degli ambienti ambulatoriali e ospedalieri 

Il nuovo modo di concepire la Medicina, sempre più centrato non sulla malattia ma sul paziente nel suo insieme di componenti fisiche, psichiche, sociali e culturali che lo rendono unico e irripetibile, ha portato a un crescente interesse per gli aspetti relativi alla umanizzazione degli ambienti ambulatoriali e ospedalieri, delle pratiche medico-assistenziali, delle cure, ma soprattutto della relazione tra il medico e il paziente, o la sua famiglia.

Tale relazione viene sempre più improntata ai principi di una comunicazione aperta, chiara, paritaria, realistica ed empatica. Proprio in virtù dell’avanzare della tecnologia, diventa più impellente la personalizzazione e umanizzazione dell’atto medico, per non perderne la vera ed ultima essenza, che è la relazione umana tra “persone che curano altre persone”.

Il paziente e la sua famiglia vengono oggi resi sempre più consapevoli e partecipativi al processo di cura e guarigione, nell’ottica di un’alleanza strategica con il team sanitario. Il percorso diagnostico-terapeutico non può essere visto solo come intervento e cura sul corpo, bensì anche come risposta alle esigenze psicologiche e sociali del paziente, attraverso l’informazione, il dialogo, il conforto.

Il percorso di umanizzazione delle cure mira a far sentire il paziente una persona, non un malato. La sfida è ri-organizzare l’approccio culturale dei sanitari e l’assetto dei luoghi di cura affinché siano orientati in funzione dei pazienti.

Nel mio ambito di lavoro, la Pediatria, la necessità di umanizzazione si avverte in modo cruciale per l’impatto negativo che procedure sanitarie e ricovero possono avere su una mente non dotata ancora degli strumenti cognitivi adeguati per elaborare razionalmente le emozioni negative, come ansia, paura, disorientamento, sradicamento dalle proprie certezze, rottura degli equilibri della quotidianità.

Per un bambino un ricovero, tanto più se prolungato, rappresenta un trauma per la brusca e violenta imposizione di cambi di ambiente, abitudini, dieta, orari, oltre che per la paura del dolore derivante dalle pratiche mediche.

L’attenzione ai bisogni emotivi, affettivi e sociali dei bambini e adolescenti ricoverati compendia una vasta gamma di interventi:

  • avere accanto in ogni momento i genitori;
  • ricevere accoglienza empatica e rassicurante e assistenza solerte dai sanitari;
  • godere di informazioni adeguate e supporto emotivo e cognitivo su dubbi, ansie, incertezze;
  • trovarsi in reparti specificamente dedicati all’età evolutiva, puliti, confortevoli, luminosi, abbelliti con decorazioni, arredi, pupazzi, disegni;
  • avere possibilità di svago, gioco, intrattenimento, istruzione;
  • soffrire il meno possibile.

Il gioco, in particolare, è l’attività per eccellenza dei bambini, fondamentale per il loro corretto sviluppo psico-emotivo. Poter giocare in ospedale significa mantenere continuità con l’ambiente domestico e fantastico di riferimento; sentirsi connessi alla vita normale fuori dal reparto; recuperare la dimensione sana del bambino in un ambiente che ne sottolinea invece quella malata; dar voce al proprio subconscio; scaricare rabbia e frustrazioni; superare inibizioni e conflitti e dare espressione a sentimenti, emozioni, sensazioni, idee, timori, tensioni, paure, desideri; difendersi da tristezza, angoscia e ansia; evadere con la fantasia in un mondo immaginario; distrarsi dalla sofferenza e dalla noia. Altrettanto importante la presenza di strumenti per la valutazione del dolore e la prevenzione e cura della sofferenza. L’effetto benefico di un contesto ospedaliero umanizzato è stato dimostrato in studi che hanno riportato uso ridotto di farmaci, guarigioni più rapide e miglior stato di benessere globale.

Peraltro, gli interventi di umanizzazione in ambito ospedaliero offrono beneficio anche agli stessi operatori, portando a maggior capacità lavorativa, più elevato grado di soddisfazione, minor livello di stress e burn-out, ovvero uno stato di esaurimento sul piano emotivo, fisico e mentale.

Un ruolo ulteriore di aiuto all’umanizzazione delle cure ospedaliere pediatriche è fornito da progetti come la lettura ad alta voce, la frequenza di lezioni scolastiche, con programmi personalizzati e flessibili e una didattica veloce e interattiva, atti a creare un percorso cognitivo, emotivo e formativo individualizzato, la presenza di associazioni di volontariato che hanno la mission di regalare un sorriso ad un bambino malato.

Tra queste ultime, la “clownterapia”, considerata una vera e propria tecnica terapeutica, in cui si utilizzano modalità espressive proprie del circo o del teatro di strada per “far ridere” il paziente. La scienza dimostra che ridere attiva una serie di funzioni fisiologiche positive quali miglioramento del battito di cuore e della frequenza del respiro, aumento dell’ossigenazione del sangue, abbassamento della pressione arteriosa, rilassamento muscolare, rilascio dal surrene delle beta-endorfine che innalzano il tono dell’umore e combattono la sensazione di dolore, riduzione degli ormoni “dello stress”(cortisolo, adrenalina, dopamina), stimolazione immunitaria.

Il “Clown Dottore” è un operatore specificamente formato, che applica le arti del Clown (umorismo, improvvisazione teatrale, prestidigitazione, marionette, musica ) per elevare lo stato vitale ed emotivo delle persone.

Il medico Hunter Adams (noto come Patch Adams, reso celebre in tutto il mondo dal film interpretato da Robin Williams), il primo “teorico” della pratica, scrisse … L’humour è l’antidoto per tutti i mali.

Credo che il divertimento sia importante quanto l’amore. La vita è un tale miracolo ed è così bello essere vivi che mi chiedo perché qualcuno possa sprecare un solo minuto! Il riso è la medicina migliore.

Ho raggiunto la conclusione che l’umorismo sia vitale per sanare i problemi dei singoli, delle comunità e delle società. Ho tentato di rendere la mia vita stessa una cosa buffa. Non nel senso in cui si usa oggi questa parola, ma nel senso originario, di ‘buffo’ come buono, felice, benedetto, fortunato, gentile e portatore di gioia. Indossare un naso di gomma ovunque io vada ha cambiato la mia vita.

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