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Il medico risponde: l’abuso dei social network induce dipendenza?

di Carlo Alfaro

Social network: uso e dipendenza è il tema del convegno organizzato a Sorrento presso la Sala Consiliare la mattina di sabato 17 febbraio dal Rotary Club Sorrento presieduto da Michele Liccardi, in sinergia con la Fidapa Bpw Penisola Sorrentina con la presidente Giovannamaria Maglio e l’Inner Wheel presieduto da Anna Maria Gargiulo Lotito, per discutere e informare la cittadinanza sull’uso e abuso che attualmente si fa dei social network da parte degli adolescenti, e non solo. Sono intervenuti il comandante della compagnia dei carabinieri di Sorrento, Marco La Rovere, la dirigente del Liceo Salvemini e del Liceo Grandi, Patrizia Fiorentino, e Edoardo Ciotola, social media manager e redattore di Positanonews.

L’argomento è di scottante attualità e portata mondiale. I social media hanno rivoluzionato in questi ultimi anni il nostro modo di vivere, trasformando il web da archivio digitale e deposito di informazioni e notizie a catalizzatore di relazioni, ambiente comunicativo integrato, dove socializzare e condividere qualsiasi cosa in modo semplice e immediato. La tecnologia si è insinuata progressivamente nella nostra vita condizionandola completamente.

I social network costituiscono, come suggerisce Maurizio Tucci, presidente di Laboratorio Adolescenza, una «tecnologia sui generis», perché, a differenza degli altri strumenti

di comunicazione degli anni precedenti (televisione, computer e telefono cellulare ante-Internet), è una sorta di passe-partout verso una “second life” che sembra competere vittoriosamente con la vita reale, complice la possibilità di una connessione h24.

L’utilizzo dei social è in continua crescita e si allarga ad ogni fascia di età. Dall’indagine Tempo del web. Adolescenti e genitori online, realizzata nel 2016 da Sos Il Telefono Azzurro Onlus su 600 ragazzi dai 12 ai 18 anni e 600 genitori dai 25 ai 64 anni, emerge che il 25% dei ragazzi è perennemente connesso, il 21% è afflitto da vamping, cioè si sveglia durante la notte per controllare i messaggi arrivati sul proprio cellulare, l’80% chatta su WhatsApp. Inoltre, il 48% dichiara di essersi iscritto a Facebook prima dei 13 anni, mentre il 71% ha ricevuto lo smartphone a 11 anni. Nondimeno gli adulti: quattro genitori su cinque dichiarano di usare i social per comunicare quotidianamente con i propri figli, uno su quattro presentano il vamping. Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale adolescenza di quest’anno, tre bambini su dieci di età compresa tra i 18 e i 24 mesi sono già capaci di utilizzare il touch di uno smartphone, il 98 per cento dei ragazzi tra i 14 e i 19 anni possiede uno smartphone personale, mentre l’età media di apertura del primo profilo social è scesa ai 9 anni.

La generazione dei millennials si caratterizza per essere nata con le nuove tecnologie, tanto da essere denominati nativi digitali, o net generation o cyber-generation. Il termine generazione non si riferisce solo al dato anagrafico (aggregato di individui appartenenti alla medesima fascia di età), ma ad un costrutto antropologico, contrassegnato da specifici marcatori socio-culturali (vissuti comuni, fatti memorabili, riti e miti) che nel caso dei millennials sono identificabili proprio nell’uso internet e nel trionfo della cultura digitale. Questa generazione ha fatto esperienza dei new-media sin dall’infanzia e quindi li considera parte integrante del proprio sistema di comunicazione. L’uso precoce di internet ha influenzato i loro circuiti neuronali, modificando il loro tipo di apprendimento, il modo di leggere, pensare, ricordare, organizzare le informazioni o elaborare i concetti, e la modalità di relazionarsi con gli altri. Questa nuova generazione apprende in maniera molto più rapida rispetto alle precedenti, ma fa più fatica a fermarsi e approfondire, e manifesta una tendenza sempre maggiore alla vita virtuale a discapito della reale.

Gli adolescenti, in particolare, sono più esposti alle suggestioni del social-web: cercano rimedio, con la comunicazione online, al disagio e alla precarietà esistenziale che vivono nella realtà.

L’adolescenza è un momento di grande cambiamento, per la formazione e lo sviluppo della propria identità, ed è in questa fase della vita che i ragazzi sono particolarmente attenti ad aspetti quali i legami sociali e la comunicazione con i coetanei. In tale contesto internet rappresenta un potente facilitatore comunicativo-relazionale, per vincere la timidezza, divertirsi e avere relazioni con minore inibizione che nella vita reale.

D’altro canto i genitori di oggi, sempre più impegnati, stressati e avvitati sui problemi irrisolti delle proprie esistenze spesso percepite come fallimentari, appaiono concentrati ossessivamente sugli aspetti del benessere fisico e materiale dei propri figli, e non sanno rispondere alle istanze di accoglimento del malessere psichico dei ragazzi, che si sentono soli.

La vita stessa dei ragazzi di oggi è complessa, piena di stress, delusioni, tensioni e frustrazioni: in una società malata e fagocitante come la nostra, emerge un senso di incertezza, di smarrimento, cui il mondo virtuale, proponendo copie del reale indolori e comode, sembra offrire una rapida scorciatoia. Piuttosto che affrontare il contatto diretto col mondo esterno che li mette a nudo, i ragazzi preferiscono costruirsi un alter ego virtuale, annullando il proprio corpo e cercando relazioni compensative nei videogiochi o sui social network.

In questo scenario, spiega ancora Tucci, latitando una figura genitoriale di riferimento, e senza istruzioni per l’uso, gli adolescenti stanno creando la loro socialità virtuale, che per molti aspetti ha una potenza d’urto molto superiore alla socialità reale, in modo brado e istintivo, con la maturità e le consapevolezze che si possono avere a quell’età, e l’alto rischio che siano le regole self-made di questa socialità second-life a plasmare i comportamenti di quelle della vita reale e non viceversa. Partiti da Facebook, gli adolescenti oggi utilizzano intensivamente Whatsapp, utilizzato a tutti gli effetti come un potente social, e i più pericolosi Instagram (vetrina di foto ad alto tasso di esibizionismo), ASK (che la possibilità di comunicare sotto anonimato ha reso teatro di numerosi casi di cyberbullismo), Snapchat.

La permanenza eccessiva di giovani e giovanissimi davanti a pc, smartphone e consolle digitali – che, avverte l’Accademia americana di Pediatria, arriva in media a circa sette ore al giorno, a dispetto delle due o tre ore giornaliere consigliate – può avere conseguenze negative per la loro salute psicofisica, con riflessi sulla sfera cognitiva e comportamentale, distorsioni nei processi di costruzione dell’identità e dell’immagine personale, fenomeni dissociativi fino alla dipendenza patologica e al ritiro sociale, incidenza negativa sullo sviluppo e sul sano funzionamento del corpo.

Il primo rischio è l’isolamento sociale. Trascorrere la gran parte del tempo in una realtà virtuale può diventare un pericoloso surrogato della realtà quotidiana e un sostituto inautentico della relazione fisica, fino alla creazione di un nuovo sistema sociale, parallelo alla realtà quotidiana, che può portare a trascurare le relazioni reali, di amore, amicizia, lavoro, interessi. Se internet diventa un rifugio narcisistico e autoreferenziale, come espressione di paura della realtà e del confronto diretto con gli altri, si può arrivare alla sindrome da ritiro sociale, come nella figura, proveniente dal Giappone, dello ikikomori, recluso, e indica chi decide di autosegregarsi nella propria stanza, tra social network e videogiochi online, avulso da ogni tipo di relazione sociale, scuola o amici.

Altro rischio comportamentale è la dipendenza patologica da internet (Internet Addiction Disorder),  disturbo simile a quello causato dalla dipendenza da alcol, fumo e gioco d’azzardo, caratterizzato da un uso ossessivo del web e relativi disagi nell’ambito relazionale, scolastico-lavorativo e familiare, con sintomi quali disturbi dell’umore, dell’appetito e del sonno, stanchezza cronica, ansia e depressione, fino ai disagi fisici da astinenza.

La dipendenza creata dall’iperconnessione ha creato nuove entità psicopatologiche di recente tipizzate, che vanno dalla social network addiction, con ossessione di aggiornamento e controllo del proprio profilo, alla friendship addiction, la spasmodica ricerca di nuove amicizie virtuali, alla dipendenza da videogioco, al vamping ossia il trascorrere numerose ore notturne sui social media, alla sindrome FOMO (Fear Of Missing Out), ossia la paura di essere esclusi, che porta a monitorare costantemente le proprie bacheche, alla nomofobia o cellularomania, che indica la fobia di restare senza connessione col proprio smartphone: fino al 53% di chi utilizza lo smartphone manifesterebbe stati d’ansia quando rimane a corto di batteria, di credito o senza copertura di rete, per la paura di non esser raggiungibili.

Oltre a creare isolamento e dipendenza, i social espongono a rischi psico-sociali: in uno studio recentissimo della Royal Society of Public Health britannica su 1500 giovani dagli 11 ai 25 anni, Instagram e Snapchat sono le piattaforme che suscitano maggiormente un senso di inadeguatezza e generano ansia, visto che portano ad un continuo confronto tra il proprio stile di vita e quello degli altri, mentre è su Facebook che è più frequente il fenomeno del cyberbullismo. Poi c’è il rischio di esposizione in rete a predatori on line, i cui scopi possono andare da innocue ricerche di marketing, alla molestia sessuale, al ricatto e alla violenza.

Lo spirito di desiderio di comunicare e confrontarsi proprio degli adolescenti e il senso di protezione fornito dalla mancanza di contatto diretto li spinge talvolta a diffondere in rete informazioni personali senza nessuna prevenzione, facilitando l’adescamento. Secondo Telefono Azzurro, i casi di adescamento online sono triplicati in 3 anni. Altre insidie nascoste nel cyberspazio, sono quelle di visualizzare materiale potenzialmente traumatico, incappare in siti pornografici o pedopornografici, ricevere offerte sessuali, essere guidati verso siti che inneggiano all’autolesionismo o alla violenza. Sei ragazzi su dieci non hanno problema nel dichiarare di essersi divertiti nel ricevere o inviare foto o video hot (pratica definita sexting).

Una nuova frontiera è quella dell’autolesionismo digitale: uno studio pubblicato sul Journal of Adolescent Health e condotto da esperti dell’Università del Wisconsin, ha trovato che uno su 20 di 5593 giovani di 12-17 anni intervistati ha ammesso di aver postato commenti negativi su di sé online. Il fenomeno riguarda soprattutto i maschi e le motivazioni vanno dal vedere la reazione di amici e genitori al bisogno di ottenere attenzione al disagio a disturbi depressivi, fino anche a odio per sé stessi.

Secondo numerosi studi, esisterebbe anche una relazione tra la tendenza degli adolescenti a utilizzare il cellulare e i social network in maniera eccessiva (hypernetworking) e le cattive abitudini per la propria salute nella vita reale quali il fumo, il consumo di alcol e di sostanze, l’attività sessuale non controllata, l’esecuzione di diete alimentari incongrue per grave insoddisfazione verso il proprio aspetto fisico.

Tra i rischi dei social, la diffusione incontrollata di fakenews (bufale), che possono innescare comportamenti sbagliati nell’accesso alle cure, nell’uso di farmaci o nell’adozione di particolari diete.

Sul piano fisico, vanno segnalati i rischi di obesità, disturbi del sonno, danni alla vista e posture scorrette. Il rischio di obesità da schermo è stato denunciato dagli esperti dell’European Academy of Pediatrics e dell’European Childhood Obesity Group, che hanno pubblicato un documento condiviso su Acta Paediatrica, segnalando che, secondo l’ultimo studio del 2017 condotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa un bambino su cinque, in Europa, è sovrappeso o obeso, e sottolineando che vi sono prove di un forte legame tra i livelli di obesità nei Paesi europei e l’esposizione a tv, computer, tablet e cellulare nell’infanzia.

Altrettanto pericolosi gli effetti nocivi sul sonno, con la possibilità dell’inversione del ritmo, cioè stare svegli tutta la notte sul web e dormire di giorno.

Riguardo alla vista, è stato trovato che l’esposizione notturna alla luce blu, emessa ad alti livelli da dispositivi elettronici come smartphone, tablet, computer portatili, TV a schermo piatto e altri schermi a LED, è nociva per la vista, avendo una lunghezza d’onda corta e una maggiore frequenza ed energia, che può provocare, oltre che mal di testa e disturbi del sonno, rossore, secchezza, affaticamento agli occhi, fino a danni alla retina, degenerazione maculare e cecità. Inoltre, sopprime la produzione della melatonina, portando a uno squilibrio dei naturali ritmi circadiani del corpo.

Tra gli effetti negativi dell’abuso di tecnologia i problemi ortopedici, tra cui è emersa di recente una nuova sindrome, la postura del “text neck”, un insieme di sintomi dolorosi e fastidi al collo e alla schiena provocati dal guardare il display del tablet o dello smartphone dall’alto in basso, continuamente e per un lungo periodo di tempo, mantenendo posizioni scorrette e nocive alla colonna vertebrale fino ad arrivare, nei casi più gravi, all’inversione delle curve fisiologiche.

Secondo gli esperti, i bambini che oggi hanno 8 anni e che sono già utenti assidui di dispositivi elettronici probabilmente avranno necessità di essere sottoposti ad un intervento chirurgico sulla colonna già a 28 anni. Per evitare ciò si consiglia di tenere i telefoni cellulari o il monitor del pc davanti al volto, o all’altezza degli occhi, mentre si sta guardando il display, e di usare due mani e i due pollici per creare una posizione più simmetrica e confortevole per la colonna vertebrale. Altre alterazioni già note sono la tendinite al polso, dovuta al tenere in mano per troppo tempo il telefono cellulare, e il cosidetto “pollice da smartphone”, in cui la posizione che assume la mano per scrivere messaggi ed email sul telefono predispone all’artrosi.

Il problema dell’abuso di social spesso riguarda anche gli adulti, con ripercussioni sulla salute dei figli. Uno studio statunitense pubblicato sulla rivista Children Development nel 2017 ha trovato che i genitori molto assorbiti dai dispositivi tecnologici, che controllano continuamente i loro cellulari per scrivere testi, inviare/ricevere mail e guardare video, hanno maggiori probabilità di avere figli con  problemi comportamentali. Inoltre, è stato individuato un legame tra abuso di cellulare in gravidanza e iperattività dei bimbi: uno studio spagnolo pubblicato nel 2017 su Environment International, che ha esaminato oltre 80mila coppie di madri e figli di età dai 5 ai 7 anni in Danimarca, Spagna, Norvegia, Paesi Bassi e Corea, ha riscontrato che i bimbi nati da mamme cellulare-dipendente nel periodo gestazionale avevano oltre il 28% in più di possibilità di avere bimbi iperattivi.

In conclusione, internet è mezzo, e come tale in sé non è né buono né cattivo, ma sta all’uso che se ne fa se diventa opportunità di accrescimento delle conoscenze, occasione di inclusione sociale, veicolo di miglioramento personale, amplificatore delle possibilità di informazione, scambio, partecipazione, supporto nella costruzione della propria identità, o rischio per la salute psicofisica. Perché il rifugio in internet non diventi una malattia, è fondamentale il ruolo dei genitori, che si sappiano porre come una risorsa costitutiva essenziale per le identità reali e materiali dei figli, in contrapposizione al mondo virtuale.

 

Il dottor Carlo Alfaro, sorrentino, 54 anni, è un medico pediatra Dirigente Medico di I livello presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi della ASL NA3Sud, Responsabile del Settore Medicina e Chirurgia dell’Associazione Scientifica SLAM Corsi e Formazione, e Consigliere Nazionale della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA). 

Inoltre è giornalista pubblicista, organizzatore e presentatore di numerosi eventi culturali, attore di teatro e cinema, poeta pubblicato in antologie, autore di testi, animatore culturale di diverse associazioni sul territorio, direttore artistico di manifestazioni culturali.

 

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