Cultura

Portici al tempo di Masaniello

Pochi sanno che Masaniello, recandosi a Torre del Greco alla testa dei rivoltosi, passò per il casale di Portici, i cui abitanti si unirono alla protesta

di Teodoro Reale

Il malcontento della popolazione per le cattive condizioni economiche del regno era stato inasprito dall’imposizione della gabella sulla frutta, necessaria per incassare un milione di ducati necessari all’organizzazione della guerra contro la Francia, che mirava ad impadronirsi del regno.

La nuova gabella colpiva direttamente i ceti più poveri, in quanto la frutta era un alimento a basso costo e quindi assai diffuso sulle loro mense, che si videro colpiti ulteriormente dal provvedimento.

In questa circostanza anche l’Eletto del Popolo della Città di Napoli Andrea Naclerio non solo non si oppose ma votò a favore della nuova imposta, tradendo così gli interessi di coloro che rappresentava nel governo municipale.

La prima città ad insorgere fu Palermo, dove il 30 maggio 1647 obiettivo dei rivoltosi erano stati i registri delle gabelle, e i posti dove queste si esigevano con i rispettivi addetti.

A Napoli la notizia si propagò insieme con il panico per quanto avvenuto: il mattino del 7 luglio, sotto la guida di Masaniello scoppiò il tumulto contro l’esazione della gabella sulle frutta.

Quel giorno una folla di bottegai, pescatori, e fruttivendoli si riunì in piazza Mercato, e fermandosi dinanzi all’ufficio del dazio si rifiutò di pagare la gabella.

L’incapacità del Naclerio di comprendere la gravità del momento fece precipitare la situazione, poiché il suo ostinato rifiuto di mettersi dalla parte del popolo, di cui era il rappresentante, per far ritirare l’odiata gabella, irritò ulteriormente la folla che, incitata da Masaniello, iniziò a rovesciare i banchi del mercato. L’Eletto si diede alla fuga trovando riparo nel Palazzo Reale.

Come nel resto del viceregno, anche a Portici la situazione economica era grave. Tuttavia non si ebbero episodi di rilievo allo scoppio della rivolta di Masaniello, ad eccezione della partecipazione di alcuni cittadini agli scontri insieme con gli uomini guidati dal pescatore. Intanto, le truppe del viceré marciavano verso Napoli per dar man forte negli scontri ai reparti che controllavano la capitale.

Il Nicolai, un cronista del tempo, così ricorda la presenza di Masaniello nella zona di Pietrabianca: «Il martedì seguente terzo dì della rivoluzione, la plebe, havuto avviso che quattro cento Alemanni d’ordine del Vicere venivano dalli quartieri caminando alla volta di Napoli, si spiccò dal Mercato in numero di circa Mille huomini, sotto la guida di Tommaso Anello d’Amalfi, e caminando verso la Torre del Greco, accresciuta dà Terrazzani di Portici, e altre terre circonvicine, s’incontravano in detti Alemanni, poco lontano da Napoli. Onde li soldati, come nuovi ch’erano, spaventati dalla moltitudine della plebe che gl’andava incontro gridando, si ricoverarono in una chiesa vicina, chiamata Santa Maria di Costantinopoli, per la qual cosa l’Anello, fatto attaccar’fuoco alle porte della Chiesa, e minacciando di fargli abbruciar’ dentro, se non s’arrendevano, li obbligò a consegnar’ l’armi e restar prigionieri in mano della plebe. La stessa mattina due compagnie di fanteria italiana del terzo, cioè del reggimento di Don Prospero Tuttavilla, nel venire à Napoli, sopraffatte da altro stuolo di plebe, corsero la stessa fortuna, restando anch’essa disarmati e prigionieri.»

La cappella di Pietrabianca davanti la quale avvenne il fatto d’armi oggi non è esiste più. Probabilmente sorgeva di fronte l’attuale caserma di Croce del Lagno.

Il rapido svolgersi degli eventi portò il viceré, il duca d’Arcos, alla decisione di concedere il ritiro delle gabelle imposte. Questo provvedimento fu annunciato al popolo dallo stesso Masaniello, con la notizia che il viceré era disposto a togliere le gabelle e a capitolare concedendo degli antichi privilegi codificati in alcuni Capitoli redatti dal suo segreto ispiratore, il sacerdote Giulio Genoino.

Il testo del Genoino affermava che attraverso il ripristino degli antichi Capitoli concessi alla città di Napoli da Carlo V si mirava a ridurre il potere dei nobili in favore del popolo.

Fra le condizioni principali che i rivoltosi ponevano al governo il 13 luglio in San Lorenzo Maggiore, sede della municipalità di Napoli, settimo giorno della rivoluzione, vi erano le seguenti: che si restituisse al popolo la parità di voto con la nobiltà (concessa da Alfonso d’Aragona e poi negata dal nipote Federico d’Aragona), l’abolizione delle gabelle posteriori all’avvento dell’imperatore Carlo V, il perdono della città di Napoli dal delitto di lesa maestà per essersi ribellata, la libera vendita di commestibili in tutti i luoghi pubblici.

Il capitolo ventiduesimo proposto al duca d’Arcos recitava: «…nel detto indulto generale vada anco compreso Tomas Aniello d’Amalfi Napolitano, e suoi compagni, li quali marciando verso Torre del Greco con la sua compagnia, accompagnati da molti di Portici e S. Giovanni a Teduccio, per incontrare alcune compagnie che intravano nella Città, et havendono quelle incontrate, si posero dentro la chiesa di S. Maria di Costantinopoli in difesa; et esso Tomaso Aniello e compagni, per avere le armi che portavano detti soldati,. fu necessario mettere fuoco alla porta della detta chiesa: e per detto eccesso in detto luogo successo, si perdoni ad esso Tomaso Aniello, e compagni, stante che si è fatto per servizio del publico, e per osservanza di privilegi, mentre che essi non tenevano armi.»

Gli abitanti di Portici vennero così compresi nell’indulto concesso dal viceré per aver partecipato agli scontri, ma certamente pagarono come gli altri abitanti del regno i costi del fallimento della rivolta di Masaniello.

La vicenda di Masaniello si concluse con il suo assassinio il 16 luglio del 1647 nel convento del Carmine, da parte del mercante Andrea Basile, con il segreto assenso dell’Eletto del Popolo Naclerio, che così si vendicò dell’umiliazione patita dal pescatore, e anche del viceré, che per evitare un’ eventuale sollevazione del popolo  rinforzare la guarnigione della capitale.

Con la morte di Masaniello si chiuse la prima fase della rivolta espressa dalle masse popolari, irritate dall’eccessiva pressione fiscale, e si aprì quella in cui si fronteggiarono le varie fazioni politiche del momento portando gli scontri dalla piazza a livelli più alti.

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