Culturaracconti

Un delitto quasi perfetto

Questa domenica il nostro autore ci racconta di un delitto che fu all’origine della Cappella della Pietatella 

di Lucio Sandon

Ne reminiscaris Domine delicta nostra

In quella che al tempo dei greci era l’antica agorà napoletana, verso la metà del 1500 Giovan Francesco Paolo de Sangro, primo principe di Sansevero, diede all’architetto Giovanni Merliano da Nola l’incarico di costruire un palazzo signorile: il principe voleva sfruttare un vasto giardino di sua proprietà in piazza San Domenico Maggiore e, come fondazione volle riutilizzare quanto rimaneva del tempio di Iside di memoria ellenica. Macerie che deturpavano la piazza più antica di Napoli. Poiché poi lo spazio non mancava, a fianco della costruzione principale, venne eretto un altro edificio, detto Palazzo Piccolo, con lo scopo di darlo in affitto a persone di un certo rango.

 

Al termine dei lavori della lussuosa costruzione, nella parte residua del giardino era rimasto ancora dello spazio, e per utilizzarlo venne edificata una semplice una cappella votiva, che fu consacrata dal figlio Alessandro, vescovo di Benevento.

Mentre i Sansevero abitavano nella costruzione principale, nella seconda dimora venne presto ad abitare una giovane coppia famosa per la bellezza della sposa, la principessa Maria dell’illustre famiglia d’Avalos, proveniente dalla Castiglia e trasferita a Napoli al seguito di re Alfonso I d’Aragona, e per la fama dello sposo, Carlo Gesualdo principe di Venosa, il più importante compositore di canzoni e madrigali del suo tempo, amico intimo del poeta Torquato Tasso.

Diciamo, due piccoli Fedez e Chiara Ferragni ante litteram.

La vita dei due nobili coniugi era serena, anche se Maria a volte non trovava gradevole il marito anche perché egli pensava solo alla sua musica, che lei invece non apprezzava per nulla. Gesualdo era piuttosto brutto, basso e perennemente accigliato e aveva modi rudi, ma in ogni caso ben presto gli sposi misero al mondo un bel bimbo, il principino Emanuele.

Un amore improvviso fu invece quello che durante un ballo, colse la bella Maria quando conobbe il giovane Fabrizio Carafa duca d’Andria e conte di Ruvo, considerato il cavaliere più bello di tutta Napoli. Quasi subito tra i due nacque una forte attrazione: tra incontri fortuiti e passeggiate romantiche, l’amore sbocciò sempre più potentemente.

Purtroppo però anche Don Giulio Gesualdo, zio di Carlo, si era da tempo invaghito di Maria, ma a nulla erano servite le sue lusinghe e i regali: il cuore della bella Maria apparteneva solo a Fabrizio. Don Giulio però, venne a sapere della tresca tra la giovane e il conte, e per gelosia ne informò subdolamente suo nipote Carlo, il quale iniziò ad indagare.

I due amanti erano però molto astuti e accorti, e il principe di Gesualdo non riusciva a raccogliere nessuna prova. Carlo decise allora di organizzare una trappola: il 16 ottobre del 1590, organizzò una finta battuta di caccia al bosco degli Astroni, e annunciò alla moglie che non sarebbe tornato a casa a dormire. Quella sera, la cameriera di donna Maria si accomodò su una seggiola fuori dell’appartamento dove i fedifraghi si erano incontrati. La sua signora le aveva raccomandato di non addormentarsi, ma la fatica colse la giovane servetta, che cadde in un sonno profondo, interrotto poco dopo da un improvviso frastuono.

Donna Maria invece non dormiva di certo tra le braccia del duca Fabrizio, quando la povera serva si ritrovò innanzi alcuni uomini armati, che si introdussero nella stanza della contessa, seguiti dal principe di Gesualdo.

«Avvicinandosi a Donna Maria D’Avalos che era rimasta fino ad allora sulla sponda del letto, la spinse con la punta della spada fino all’angolo dove si trovava il baule nuziale e tenendola lì inchiodata le disse: “Puttana!” Poiché si vergognava di trovarsi nuda, ella cercò di tirare a sé la coperta che pendeva dal letto. Il Principe glielo impedì con un colpo che le ferì il fianco. Lei allora si coprì con le braccia e attese, e poiché non la uccideva, la Principessa ebbe paura. Per allontanare da sé il terrore, cercò nella sua memoria il motivo di un canto che aveva spesso cantato da bambina e prese a sibilarlo tra i denti. Il Principe, furioso nel vedere che lei lo sfidava, la colpì al ventre gridando: «Ah, sporca puttana!» Lei smise di cantare e disse: «Signore, sono due anni che non mi confesso». A tali parole, il Principe di Venosa pensò che se lei fosse morta dannata, sarebbe tornata di notte a trascinarlo all’inferno con lei, poi le attraversò il corpo con la lama della spada e la colpì più volte al ventre e al petto.»

Così Anatole France descrisse la scena dell’omicidio, anche se è da dubitare che ne sapesse più di molti altri. Quel che è certo è che i due amanti vennero straziati da colpi di spada e archibugio, ed esposti nudi appesi al balcone dell’appartamento, in modo da rendere pubblica l’offesa subita dal principe.

Il sangue dei due giovani scorreva via dai loro corpi, e le cronache dell’epoca dissero che veniva leccato dai cani randagi. A segnare ancor di più l’orrore di quella notte, sembra che il cadavere della bella Maria sia stato violato da un sacrestano gobbo, nella chiesa dove le salme erano state trasportate dopo il delitto.

L’omicidio non venne mai punito: a parte la potente parentela del principe, le circostanze lo giustificavano dal punto di vista della legge e del costume del tempo, tanto che il viceré Miranda, dal quale Carlo si recò personalmente a dare notizia dell’accaduto, lo esortò ad allontanarsi da Napoli non per sfuggire alla legge, ma per non esasperare il risentimento delle famiglie degli uccisi.

Carlo fuggì da Napoli e si rifugiò nell’inaccessibile e inespugnabile fortezza di Gesualdo, facendo disboscare ettari di bosco tutto intorno al castello, onde evitare agguati, e dopo qualche anno fece uccidere anche il figlioletto Emanuele, forse impressionato dalla sua bellezza che gli ricordava quella di Fabrizio Carafa.

Il processo per omicidio a Carlo Gesualdo venne archiviato il giorno dopo la sua apertura: «Per ordine del Viceré, stante la notorietà della causa giusta dalla quale fu mosso don Carlo Gesualdo Principe di Venosa ad ammazzare sua moglie e il duca d’Andria

Oltre che dal Vicerè di Spagna, Gesualdo era protetto anche dalla parentela: suo zio era il cardinale di Milano Carlo Borromeo, che diventò santo poco dopo la sua morte.

Anche il povero Fabrizio però, aveva dei parenti importanti. Sua madre, Adriana Carafa Della Spina era la moglie di Giovan Francesco di Sangro principe di Sansevero. Donna Adriana si recò a supplicare Orsola Benincasa, la suora eremita che viveva non lontano da lì, che le assicurò l’indulgenza divina per l’anima di suo figlio.

Così la nobildonna fece trasformare la cappella votiva del suo palazzo in una vera chiesa, dedicata alla pietà materna: la Pietatella.

Sopra l’altare maggiore della Cappella Sansevero, vi è un sole raggiante, sul quale vi è la scritta Mater Pietatis.

Il 22 settembre del 1771, nella stessa dimora maledetta morì, probabilmente avvelenato dalle sostanze che usava per i suoi esperimenti, il principe mago e sapiente, don Raimondo di Sangro principe di Sansevero.

Maria D’Avalos è sepolta nella basilica di San Domenico Maggiore, ma il suo fantasma viene sentito vagare urlante e insanguinato lungo i vicoli della Napoli più antica alla ricerca del suo bambino e forse del suo giovane amante.

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Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio.

Notevole è il suo penultimo romanzo, “La Macchina Anatomica”, Graus Editore, un thriller ambientato a Portici, vincitore di “Viaggio Libero” 2019. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario veterinario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal suo ultimo romanzo “Cuore di ragno”, ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto Cuori sui generis” 2019.

Sempre nel 2019,  il racconto “Nome e Cognome: Ponzio Pilato” ha meritatola Segnalazione Speciale della Giuria  nella sezione Racconti storici al Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno, mentre il racconto “Cuore di ragno” ha ricevuto la Menzione di Merito nella sezione Racconto breve al Premio Letterario Internazionale Voci – Città di Roma. Inoltre, il racconto “Interrogazione di Storia”  è risultato vincitore per la Sezione Narrativa/Autori al Premio Letizia Isaia 2109. Nel 2020 il libro “Cuore di Ragno” è stato premiato come Miglior romanzo storico al prestigioso XI Concorso Letterario Grottammare

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4 pensieri riguardo “Un delitto quasi perfetto

  • Ancora uno scintillante frammento di storia. Minimo eppure essenziale nella composizione di una galassia della conoscenza, dove anche la più piccola fiammella concorre a rischiarare un intero universo. Grazie

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