Cultura

La Recensione, Spiderman. Homecoming

di Francesco “Ciccio” Capozzi

Peter Parker è uno studentello 14enne del Queens: sotto l’ala di Tony Stark , Iron Man, sta diventando Spiderman. Incontra un super-criminale: l’Avvoltoio …

Il personaggio di Spiderman, il più “giovanile”, scanzonato e divertente dei ”supereroi con super problemi”,ispirato ai fumetti (Letteratura Disegnata) Marvel di Stan Lee & Steve Ditko (creato nel ‘62), è uno dei primi ad essere stato messo in pellicola con successo planetario nella spiazzante trilogia diretta da Sam Raimi dal 2002, con Toby McGuire nel ruolo di Peter, targata Sony/Columbia. Infatti il franchise le era stato ceduto dalla Marvel, “proprietaria” del personaggio, prima che, da editrice di successo, diventasse, sotto la direzione del lungimirante e geniale producer Kevin Feige, essa stessa uno degli Studios di Hollywood.

La Sony, proprietaria della Columbia Pictures, si vide costretta a norma di contratto, pena la perdita di questa commodity, a produrne un altro entro il 2012: ecco che in quell’anno nacque la dilogia di Amazing Spidermancon Andrew Garfield nel ruolo del ragazzo-ragno.

Ma di fatto, nonostante il successo, si era giunti ad uno stallo creativo: si tendevano a riprendere personaggi e situazioni già viste; in modo tale da indebolire senz’altro strategicamente l’insieme della saga o “moderna mitologia Marvel, che è costruita come una struttura unitaria, un “espanso universo narrativo coerente”con rimandi costanti da un personaggio all’altro, da uncontesto all’altro.

E si badi che non sono io ad usare questi termini alla Von Clausewitz, ma gli stessi produttori. E credo, anzi, che siano stati proprio loro a smuovere la situazione: in particolare, il sempre scetatone(assai sveglio) Feige sopra citato, e l’altro producer di peso della Marvel, Avi Arad, hanno dato al personaggio una taratura del tutto nuova, facendo propria e sviluppando l’idea originale dei due soggettisti del film (USA, ‘17), Jonathan Goldstein e John Francis Daley. In più sono riusciti a mettere in società la Sony/Columbia, che l’ha coprodotto e distribuito, e i Marvel Studios, che sono invece partecipati dalla Disney Production, che è in aspra concorrenza con la Sony.

Ciò vuol dire che sono in possesso di un margine di autonomia piuttosto ampio, rispetto perfino alla stessa Disney che attualmente è di nuovo il più potente Studio di Hollywood. E qual è la genialata dell’idea centrale di Spiderman. Homecoming? Di immaginare Peter quello che era: un ragazzotto adolescente del Queens, più goffo che altro, che si trova ad avere dei super poteri, cui deve essere “educato” nella loro gestione responsabile.

Da notare che lui già irrompeva, in maniera piacevolmente confusionaria, nel precedente film Marvel (Captain America: Civil War, ‘16), nell’animata sequenza dello scontro all’aeroporto. Che è ripresa in Spiderman. Homecoming all’inizio, dalla visuale del ragazzo che usa un telefonino in modalità selfie, per immortalare, come un ragazzino “normale”, un po’, anzi, sull’imbranato e bimbominkia, quanto stava combinando. Trasmettendoci il suo entusiasmo ancora seminfantile per essere finalmente  nella “serie A” degli Avengers.

Questo è un incipit assai simpatico sul personaggio, e che lo individua anche caratterialmente. Inizio che lo mette fin da subito, con evidenza e velocità, in medias res , risparmiandoci la solfa dell’acquisizione dei  poteri, ormai tritamente nota al mondo intero.

Inoltre fa l’occhiolino, in maniera raffinata espressivamente (metalinguistica), quanto demenziale nell’effetto conseguito, al cinema horror delle riprese video in ipersoggettiva, tipo The Blair witch project o Rec.

La regia di Spiderman. Homecoming è di Jon Watts, che ha partecipato anche alla sceneggiatura, insieme ai due soggettisti menzionati e Christopher Ford, Chris McKenna e Erik Sommers.

Da evidenziare che Watts, attivo in tv e con due piccoli film alle spalle, non aveva mai gestito budget così imponenti (si parla di 175 mln di doll)ari. Quindi è stato un azzardo. Ma i fatti stanno dando ragione a quelle volpi dei produttori: il taglio fatto proprio convintamente dagli autori (regista e sceneggiatori), ha incantato e ricatturato generazioni di spettatori vecchi e nuovi. Decretando in USA e dovunque un (meritato) successo.

Spiderman. Homecoming, anche se basato sui supereroi è strutturato con attenzione alle dinamiche particolari dei personaggi: anche con spirito da classica commedia d’azione. Così, ad esempio, il “cattivo”, interpretato da un ironico Michael Keaton, che “finalmente”, dopo l’Oscar per Birdman, può realmente volare, è costruito in maniera (relativamente) più umana e plausibile. Il suo non è un personaggio già schizzato, divenuto poi maniaco e folle, come spesso sono i vilains Marvel: in origine è addirittura un semplice, onesto e normale blue collar (operaio), con famiglia amorevole e mutuo a carico, che perde il lavoro per l’ingerenza arrogante dei Servizi Segreti Militari.

La sua è una lucida ribellione. Che però lo porta sul lato del crimine: ma lo fa senza mai perdere del tutto una sua umanità, o il controllo su quello che fa; e perfino una sua perversa simpatia istintiva: senza, ad esempio, sconfinare nel grottesco.

Keaton è un mostro di finezza, cattiveria ed equilibrio. Così anche il suo armamentario tecnologico, non è iper, come i gadget di Stark/Iron Man, che sono efficacissimi, politi e provvisti di design ineccepibile; ma sono un po’ sul “pezzottato”: benché sodamente funzionali alla bisogna, danno la voluta idea grafica di essere come fatti in casa, in una versione di ruspante artigianalità. Anche questa è una scelta intelligente di caratterizzazione del personaggio. Tra l’altro è il padre, aperto (la sua è un’unione interrazziale) e premuroso della ragazza per cui Peter ha preso la cotta, e che è riuscito ad invitare al Ballo della scuola.

Anche la zia di Peter (che è orfano), non è la zietta intristita, grigia e vedova, che abbiamo visto negli altri film: è una tizia vivace e pimpante, che non manca nemmeno di sottile sex appeal. L’attrice Marisa Tomei ne dà un ritratto energico e originale, che cattura.

Ovviamente la scelta più riuscita è quella del protagonista: il giovanissimo attore inglese, provetto ballerino moderno, Tom Holland. È un riuscito mix di fisicità, simpatia adolescenziale, senso e presenza attoriale, nell’accogliere e tratteggiare su di sé le varie sfumature del personaggio. C’è il momento in cui fa Spiderman con la tutina fatta in casa, dopo che quella ipertecno gli era stata sequestrata per “punizione” (come si fa a scuola…) dal suo méntore Stark (Robert Downey jr). Tutina che sembra quella di un bambino che va alla festa; e non quella di colui che si sta scontrando con un super cattivo…

L’implicita nota ironica se non comica, è assorbita con sicurezza e sofisticato buongusto narrativo, all’interno delle efficaci sequenze d’azione di alto livello tecnologico: ma è sempre un prendere le distanze, che rivela la complessità dell’originale e autorale approccio narrativo adottato.

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