Società

Il Racconto,Talento divino

di Giovanni Renella

Sembrava che, lassù, qualcuno gli avesse conferito un talento naturale e che lui dovesse solo fare attenzione a non sciuparlo.

Sin da piccolo riusciva ad attirare l’attenzione su di sé, e a catalizzarla, compiendo pochi gesti, all’apparenza semplici, ma che risultavano tali solo a lui: se anche qualcuno avesse provato ad imitarlo, sicuramente non avrebbe ottenuto lo stesso effetto.

Veniva dall’altra parte del mondo e ancora si meravigliava che avessero scelto proprio lui, fra tanti.

Da ragazzino aveva sofferto la fame e la privazione di tutto ciò che potesse desiderare un bambino della sua età, a causa delle difficoltà economiche della famiglia; e aveva imparato ad apprezzare quel poco di cui disponeva, che per lui era già tanto.

Con il tempo, quando il suo talento si era manifestato, le cose erano migliorate e gli stenti erano finiti.

Ora, che era famoso in tutto il mondo, quei tempi bui erano solo un ricordo sbiadito.

Ovunque andasse gruppi di persone festanti lo accoglievano e si accalcavano intorno alla sua figura minuta, sperando di potergli stringere la mano o di abbracciarlo.

Qualche genitore addirittura gli porgeva le proprie creature, affinché ne baciasse le testoline e tanti, fra i nuovi nati, erano stati chiamati con il suo stesso nome.

Riusciva ad infiammare le folle, talvolta portandole fin quasi alla soglia del delirio.

Per celebrarne la grandezza, uomini, donne, vecchi e bambini si riunivano in stadi colmi in ogni ordine di posti, pronti ad evocarne il nome e ad esultare al suo apparire.

In un boato ripetuto e scandito da due sole sillabe: Die-go! Die-go! Die-go!

E il Pibe, talento divino, riusciva a sollevare in alto una città e il suo popolo, semplicemente toccando un pallone.

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