Cultura

La spada del destino

di Michele Di Iorio

Un giorno dell’anno 1734  nelle campagne di Bitonto, in Puglia,  mentre gli eserciti austriaco e quello spagnolo di Carlo di Borbone si fronteggiavano, il giovane ischitano Leone Di Iorio, recluta della cavalleria del viceré austriaco di Napoli, non avrebbe mai pensato che la sua nuova sciabola acquistata dagli armieri napoletani fratelli Turco, poteva essere il simbolo del suo destino e di quello della sua famiglia, che originaria di Campagna d’Eboli si era trasferita nel 1129 a Campagnano d’Ischia.

Uomo semplice, Leone era vissuto tra umili mugnai, mezzadri, vinai e pescatori. Appena ventenne, in quel giorno impugnando la sua arma disertò con molti suoi camerati dal servizio dell’odioso austriaco per passare nelle file del Reggimento Dragoni borbonico a cavallo di linea del giovane sovrano.

Mise ancora a disposizione la sua spada in Sicilia e si coprì di gloria. Mai venne ferito in battaglia, fino al 1744, anno in cui da semplice soldato raggiunse il grado di capitano.

 

Nel 1749 Leone si ascrisse alle famiglie aristocratiche e nel 1750 divenne barone della frazione ischitana del Testaccio.

 

Suo nipote Sebastiano Di Iorio nel 1792 si arruolò nei Fanti da sbarco, di guarnigione nella Reggia di Portici. Da alfiere impugnò la spada avita nelle battaglie di Lombardia contro i francesi del generale Bonaparte. Nel 1796 venne promosso per meriti bellici tenente in seconda e  tra le varie altre partecipò alla battaglia del 13 giugno del 1799, tanto che venne promosso capitano dei Sandefisti del cardinale Ruffo e quindi cavaliere di San Ferdinando. Impugnando sempre la spada di famiglia nel 1802 combattè la battaglia di Monteriggioni, Siena, contro i soldati napoleonici, arrivando al grado di tenente colonnello e quindi colonnello nel 1806.

 

Prigioniero di guerra delle truppe di Giuseppe Bonaparte, divenne uffiziale superiore del re Gioacchino Murat e partecipò alla presa di Capri nel 1808, passando poi nei dragoni del colonnello Manhès, in Calabria nel 1810.

Il fil rouge della spada di famiglia portò suo nipote Crescenzo Di Iorio a diventare ufficiale borbonico. Crescenzo nel 1838 per successio maritalis divenne nobile di Termoli, nel Molise.

Nel 1839 nacque a Montecilfone il figlio Luigi, che nel 1860 fu cadetto della prestigiosa accademia militare della Nunziatella: a lui venne affidata la spada degli avi paterni. Luigi si coprì di gloria nella sua lunga carriera militare.

Infine la spada del destino passò al giovane Florindo Di Iorio, nato nel 1908 a Larino, Campobasso, che si arruolò negli avieri italiani. Nel 1932 combattè a Tripoli e poi  nella campagna abissina e quindi in quella spagnola e in quella albanese. Durante il II conflitto mondiale tornò di nuovo in Libia  e si distinse a Giarabub, Tobruck ed El Alamein, e nella disperata difesa della Sicilia del 1943.  In seguito partecipò alle 4 giornate di Napoli e poi a Cassino e Aquino come tenente dell’esercito del generale Badoglio.

Nel 1944 e con la sua spada avita entrò a Firenze liberata e nel ’45 a Genova. Umberto II Savoia confermò Florindo Di Iorio capitano e VII barone di Testaccio d’Ischia. Figlio di cotanta speme, Florindo conservò fino alla morte la spada del destino del suo casato.

La spada cesellata a mano nel ‘700 passò infine al suo erede, che la conserva gelosamente tra i cimeli di famiglia. Una spada forgiata 287 anni fa che ancora rifulge …

 

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